Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20196 del 02/02/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 20196 Anno 2018
Presidente: ROCCHI GIACOMO
Relatore: VANNUCCI MARCO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PANDOLFI PIETRO BENIAMINO nato il 31/10/1969 a BERGAMO
i’ or4v.bei
avverso è’

del 16/02/2017 della CORTE APPELLO di BRESCIA

sentita la relazione svolta dal Consigliere MARCO VANNUCCI;

Data Udienza: 02/02/2018

Letta la requisitoria depositata dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore generale dott. Giulio Romano, che ha chiesto la declaratoria di
inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa il 19 luglio 2016 la Corte di appello di Brescia: rifiutò la
consegna di Pietro Beniamino Pandolfi all’autorità giudiziaria della Grecia, che ne
aveva fatto richiesta con mandato di arresto europeo emesso il 19 giugno 2015 per
l’esecuzione della sentenza di condanna di tale persona emessa il 15 giugno 2015

essa inflitta (otto anni di reclusione) venisse eseguita in Italia, specificando che la
pena residua da espiare era pari a sette anni, dieci mesi e diciannove giorni di
reclusione.
Questa Corte, con sentenza n. 35254 del 18 agosto 2016 rigettò il ricorso da
Pandolfi proposto per la cassazione di tale sentenza.
2. Con ordinanza emessa il 16 febbraio 2017 la Corte di appello di Brescia, in
funzione di giudice dell’esecuzione, ha dichiarato inammissibili, in ragione delta
relativa manifesta infondatezza, le domande con cui Pandolfi ha chiesto la
sospensione dell’esecuzione della sentenza straniera riconosciuta in Italia, la
rimessione nel termine per l’impugnazione della sentenza emessa dal giudice greco,
la sospensione dell’esecuzione della pena, nonché la rideterminazione della misura
detta pena stessa.
Questa la motivazione fondante tali decisioni: con la sopra indicata sentenza del
18 agosto 2016 la Corte di cassazione dichiarò infondato il ricorso dal condannato
proposto contro la sentenza di riconoscimento dell’efficacia esecutiva in Italia della
sentenza emessa dalla Corte di assise di Chania; e ciò, tanto in riferimento alla pena
da eseguire (dal momento che le condotte accertate dal giudice greco costituiscono
la più grave fattispecie prevista dall’art. 600-ter cod. pen., con conseguente non
predicabilità di eccezione di disparità di trattamento), quanto in relazione all’ambito
della cognizione del processo svoltosi in Grecia, dai momento che la sentenza può
essere impugnata solo in tale Stato, con la conseguenza che la cognizione sul punto
non appartiene alla giurisdizione italiana; l’eccezione di prescrizione del reato era
del pari manifestamente infondata, dal momento che il reato oggetto di
accertamento da parte della sentenza emessa dall’autorità giudiziaria greca non era
stato commesso in Italia.
Per la cassazione di tale ordinanza Pandolfi ha proposto ricorso (atto dallo
stesso personalmente sottosaitto) deducendo che: con la sopra citata sentenza del
18 agosto 2016 la Corte di cassazione aveva ritenuto che il comportamento
delittuoso accertato in Grecia fosse compreso nell’ambito di applicabilità dell’art.
600-ter cod. pen., con conseguente compatibilità con la legge italiana della durata e

dalla Corte di assise di C.hania; riconobbe tale sentenza e dispose che la pena con

natura della pena inflitta dal giudice greco ai sensi dell’art. 10 del dAgs. n. 161 del
2010; t’art. 600-ter cod. pen. prevede però al suo interno diverse ipotesi di reato e
la Corte di appello non avrebbe specificato in riferimento ai fatti accertati dalla
sentenza emessa in Grecia (costituenti reato secondo la legge greca) quali fra tali
fatti sono dall’una ovvero dall’altra disposizione del citato articolo del codice penale
previsti come reati; sussisterebbe il presupposto richiesto dall’art. 18, lett. l), della
legge n. 69 del 2005, disciplinante il mandato di arresto europeo, per
l’accertamento dell’avvenuta estinzione dei reati per prescrizione, dal momento che

stato intrapreso procedimento di indagini preliminari da parte del Procuratore della
Repubblica di Bergamo e nell’ambito di tale procedimento era stata eseguita
perquisizione presso il domicilio di esso ricorrente; tale procedimento era stato poi
archiviato e dallo stesso poteva desumersi che il fatto era stato commesso in Italia;
la sentenza emessa dal giudice greco non sarebbe poi divenuta definitiva, anche
perché la stessa non sarebbe stata mai notificata ad esso ricorrente, con
conseguente non possibilità di proporre impugnazione; la Corte di appello di Brescia
avrebbe poi dovuto applicare l’art. 10 della legge n. 69 del 2005, condizionante la
consegna a garanzia che al condannato in absentia sia riconosciuto il diritto di
richiedere un nuovo processo in Grecia, Stato membro di emissione del mandato di
arresto europeo; «per permettere un’azione giudiziaria corretta… è il rinvio della
consegna o consegna temporanea – Art. 24 L. 22/4/2005 n. 69»; inoltre la pena
avrebbe dovuto essere rideterminata secondo l’ordinamento italiano, dal momento
che i fatti, per come accertati dalla sentenza ellenica, sarebbero in Italia punibili
come delitto previsto dall’art. 600 quater, comma 1, cod. pen.

Il ricorrente ha anche depositato memoria (atto sottoscritto dal relativo difensore
di fiducia, avvocato Monica Marciano) con la quale, premessa la non presenza nel
fascicolo d’ufficio trasmesso dalla Corte di appello di Brescia della sentenza emessa
dall’autorità giudiziaria ellenica e del decreto di cumulo di pene concorrenti emesso
dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Brescia, sono proposti i
seguenti motivi di impugnazione aggiunti:
nessuna congrua motivazione sarebbe contenuta nell’ordinanza impugnata
quanto al richiesta di rimessione in termini per appellare la sentenza emessa il 15
giugno 2015 dalla Corte di assise di Chania ai sensi dell’art. 157, commi 7 e 8, cod.
proc. pen.;
violazione della legge sul mandato di arresto europeo (artt. 6, 18, lett. g) e n),
19, lett. a) n. 69 del 2005);
violazione dell’art. 5 della legge n. 149 del 2016, contenente ordine di
esecuzione della Convenzione relativa all’assistenza giudiziaria in materia penale tra

2

per gli stessi fatti accertati dal giudice greco nei confronti di esso ricorrente era

gli Stati membri dell’Unione europea fatta a Bruxelles il 29 maggio 2000, nonché
dell’art. 10, lett. f), del digs. n. 161 del 2010.
CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile in quanto:
sono prive di oggetto, in sede incidentale di esecuzione di sentenza estera
riconosciuta in Italia, le questioni relative alla disciplina contenuta nella legge n. 69
del 2005 (di conformazione dell’ordinamento interno alta decisione quadro
2002/584/GAI del Consiglio del 13 giugno 2002, relativa al mandato di arresto

Corte di appello di Brescia, con sentenza emessa il 19 luglio 2016, rifiutò la
consegna del ricorrente all’autorità giudiziaria della Grecia, che ne aveva fatto
richiesta con mandato di arresto europeo emesso il 19 giugno 2015 per l’esecuzione
della sentenza di condanna di tate persona emessa il 15 giugno 2015 dalla Corte di
assise di Chania; con conseguente non rilevanza di tale disciplina legale in sede di
esecuzione della sentenza da ultimo indicata, riconosciuta, ai fini della sua
esecuzione in Italia, con la citata sentenza della Corte di appello di Brescia del 19
luglio 2016;
il giudice dell’esecuzione italiano non ha giurisdizione quanto alle questioni
relative all’impugnazione della sentenza emessa dall’autorità giudiziaria ellenica (nel
caso di specie, richiesta di rirnessione in termine per l’impugnazione della sentenza
emessa dalla Corte di assise di Chania), dovendo le stesse essere valutate da tate
autorità giudiziaria secondo la disciplina processuale vigente in Grecia;
con l’incidente di esecuzione non possono essere dedotte questioni (nel caso di
specie, quelle relative: alla, dedotta, non definitività della sentenza emessa
dall’autorità giudiziaria ellenica; alla qualificazione secondo la legge italiana del
reato accertato dalla sentenza ellenica in funzione del giudizio di compatibilità di cui
all’art. 10, comma 5, del digs. n. 161 del 2010; alla prescrizione del reato secondo
la legge italiana) relative al merito del giudizio di riconoscimento della sentenza
emessa dall’autorità giudiziaria ellenica per la sua esecuzione in Italia (in questo
senso, cfr. Cs. sez. 6, n. 44601 del 15 settembre 2015, S., Rv. 265882);

il 12 maggio 2017 è entrato in vigore il digs. n. 52 del 2017, recante, in
esecuzione della legge delega n. 149 del 2016, norma di attuazione della
Convenzione relativa all’assistenza giudiziaria in materia penate tra gli Stati membri
dell’Unione europea, fatta a Bruxelles il 29 maggio 2000: tale disciplina, di natura
processuale, non trova dunque applicazione al caso di specie, dal momento che il
riconoscimento della sentenza ellenica avvenne (con la sentenza del 19 luglio 2016)
prima dell’entrata in vigore di tate disciplina.

3

europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), sul semplice rilievo che la

Dall’inammissibilità del ricorso deriva la condanna dei ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della sanzione pecuniaria che si stima equo determinare in
euro duemila, da versare alla Cassa delle ammende (art. 616 cod. proc. pen.).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente ai pagamento delle spese
processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende.

Il Consigliere estensore
Marc? Va nuca

Il Presidente
Giacomo Rocchh
/

Così deciso in Roma il 2 febbraio 2018.

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