Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20187 del 20/04/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 20187 Anno 2018
Presidente: TARDIO ANGELA
Relatore: APRILE STEFANO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
ATTANASIO CIRO nato il 21/01/1964 a NAPOLI

avverso la sentenza del 16/02/2017 della CORTE ASSISE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere STEFANO APRILE
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Paola FILIPPI,
che ha concluso per il rigetto del ricorso
Udito il difensore
– avvocato TUCCILLO Enrico, difensore delle parti civili, che conclude chiedendo
il rigetto del ricorso e deposita conclusioni e nota spese
– avvocato COLA Sergio, difensore di Attanasio Ciro, che conclude chiedendo
l’accoglimento del ricorso.

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Data Udienza: 20/04/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento impugnato, la Corte d’assise d’appello di Napoli ha
confermato la dichiarazione di responsabilità di Ciro ATTANASIO, pronunciata
all’esito del giudizio abbreviato dal Giudice per l’udienza preliminare del
Tribunale di Napoli in data 30 luglio 2015, in relazione ai delitti di omicidio
aggravato di Gennaro Finizio (artt. 110, 575, 576, comma primo, n. 1, 61,

stesso (artt. 640, commi primo, secondo e terzo, n. 2-bis, in relazione all’art. 61,
comma primo, n. 5, cod. pen. — Capo B), nonché di truffa aggravata in danno
delle sorelle Conte (artt. 640, commi primo e terzo, 61, comma primo, n. 7, cod.
pen. — Capo C), riconoscendo la continuazione tra tuttii reati e confermando la
pena complessiva finale di anni 30 di reclusione.
1.1. Con concorde valutazione di entrambi i giudici di merito è stata
riconosciuta la responsabilità di Ciro ATTANASIO, anche in considerazione della
piena confessione, per l’omicidio di Finizio posto in essere con numerosi e
ripetuti colpi inferti con un’asse di legno allo scopo di impedire alla vittima di
denunciare la truffa subita, avendo l’imputato fatto credere di avere il potere di
vendere un loculo cimiteriale, all’interno del quale Finizio voleva raccogliere le
spoglie della figlia, facendosi perciò consegnare la somma di euro 16.000.
L’imputato è stato riconosciuto responsabile di un’analoga truffa commessa
in danno delle sorelle Conte.
1.2. Il giudice di secondo grado, che ha escluso le aggravanti della
premeditazione, delle sevizie e della minorata difesa che erano state riconosciute
dal giudice di primo grado in relazione all’omicidio, ha invece riconosciuto la
continuazione tra tutti i reati contestati, confermando però il trattamento
sanzionatorio complessivo inflitto dal primo giudice tenuto conto della presenza
dell’aggravante di cui all’articolo 576, comma primo, n. 1, cod. pen., derivante
dal nesso teleologico tra la truffa e l’omicidio.

2. Ricorre Ciro ATTANASIO, a mezzo del difensore avv. Sergio Cola, che
chiede l’annullamento della sentenza impugnata, denunciando:
– la violazione di legge, in riferimento agli articoli 62-bis cod. pen., 125,
comma 3, 546, comma 1, cod. proc. pen., e il vizio della motivazione con
riguardo alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche
derivanti dalla piena e immediata confessione resa dall’imputato e dalla offerta
reale di risarcimento dallo stesso proposta alle persone offese. In particolare, si
denuncia la contraddittorietà e illogicità della motivazione sulla concedibilità delle

comma primo n. 2, cod. pen. — Capo A), di truffa aggravata in danno dello

indicate circostanze attenuanti generiche, poiché, a fronte della ritenuta barbarie
della condotta dell’imputato, la Corte di secondo grado ha però valorizzato il dolo
d’impeto e dato atto del comportamento dell’imputato che ha inteso spogliarsi di
tutti i propri averi per risarcire almeno in parte i congiunti della vittima. D’altra
parte la confessione non era, contrariamente a quanto ritenuto in sentenza,

intervenuta in occasione del primo contatto con la polizia giudiziaria la quale
aveva convocato l’imputato come testimone in relazione alla documentata
esistenza di rapporti con la vittima (primo motivo);
– la violazione di legge, in riferimento all’articolo 61, comma primo, n. 7,
cod. pen., e il vizio della motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza
della indicata circostanza aggravante, alla quale consegue la procedibilità
d’ufficio del delitto di cui al capo C), nonostante l’esiguità del profitto conseguito
pari a solo C 17.000 (secondo motivo).

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è nel complesso infondato.
È utile premettere che non è contestata la materialità dei fatti e la
responsabilità dell’imputato, cosicché l’argomentare potrà limitarsi ai due
specifici motivi di ricorso.

2. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Deve essere premesso che secondo la giurisprudenza di legittimità «un
risarcimento dei danni non integrale, seppure non consente il riconoscimento
dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 6 cod. pen., può essere valutato dal giudice in
funzione della concessione delle attenuanti generiche» (Sez. 6, n. 34522 del
27/06/2013, Vinetti, Rv. 256134).
2.1. Ciò premesso, il motivo di ricorso è inammissibile nella parte in cui
censura il provvedimento impugnato lamentando la violazione di legge, ma
deduce invece l’illogicità della determinazione della pena.
2.2. La denuncia del vizio di motivazione è, d’altra parte, infondata perché il
giudice di merito ha offerto una logica e coerente motivazione in merito alla
mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
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necessitata dall’avvenuta raccolta di prove schiaccianti, essendo questa

2.2.1. In effetti, è stata posta in evidenza la personalità (pericolosa e
antisociale) dell’imputato il quale si è determinato a commettere l’omicidio allo
scopo di impedire alla vittima di denunciarlo per la truffa subita, dimostrando
quindi di valutare in termini meramente economici il valore della vita umana.
2.2.2. I giudici di merito hanno, inoltre, correttamente evidenziato la

stato fracassato.
2.2.3. Inoltre, con motivazione logica e coerente, i giudici di merito hanno
ritenuto irrilevante, ai fini della concessione delle circostanze attenuanti
generiche, la confessione resa dall’imputato, evidenziando che la polizia
giudiziaria aveva già raccolto elementi di accusa schiaccianti.
In proposito, dalla complessiva motivazione, che deve essere integrata da
quella di primo grado con riguardo allo svolgimento dei fatti e alla raccolta degli
elementi di prova, emerge che la polizia giudiziaria, giunta a sospettare
dell’imputato sulla base delle convergenti dichiarazioni testimoniali dei congiunti
della vittima, aveva operato una perquisizione domiciliare presso l’abitazione del
ricorrente rinvenendo tracce univoche e dimostrative della responsabilità di Ciro
ATTANASIO, sicché appare del tutto logica l’affermazione contenuta nella
sentenza impugnata secondo la quale le spontanee dichiarazioni rese il 6 marzo
2014 avevano una genesi necessitata, perciò prive di significatività nella
prospettiva circostanziale invocata.
2.2.4. Analogamente, non è ravvisabile il vizio della motivazione per illogicità
e contraddittorietà con riferimento all’offerta risarcitoria che, correttamente, è
stata ritenuta insufficiente a configurare la circostanza attenuante di cui
all’articolo 62, comma primo, n. 6, cod. pen. (Sez. 3, n. 31250 del 10/01/2017,
S., Rv. 270211).
Deve essere evidenziato che nel corso del giudizio di merito, in effetti, non vi
è stato un (neppure parziale) risarcimento del danno, ma unicamente un’offerta
di risarcimento consistente nella messa a disposizione di alcuni immobili il cui
controvalore, in caso di vendita, sarebbe stato attribuito alle persone offese.
Tale offerta è, infatti, priva dei requisiti di cui agli artt. 1208 e 1209 cod.
civ., mancando, tra l’altro, la totalità della somma dovuta ed essendo sottoposta
alla condizione della alienazione e liquidazione dei beni offerti.
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violenza, la ripetitività e la barbarie dei colpi inferti alla vittima il cui cranio è

Inoltre, la Corte di secondo grado ha evidenziato, allo scopo di escludere la
rilevanza dell’offerta, che essa si fonda su un’arbitraria (auto)valutazione dei
beni offerti, il valore venale dei quali, con motivato giudizio della Corte di merito,
è stato giudicato sensibilmente inferiore (oltre che al danno da risarcire) anche a
quello indicato dall’imputato, sicché, oltre a risultare inidonea all’integrale

interessano.
Nel caso di specie, il giudice di merito ha correttamente ritenuto priva di
concretezza, perciò non valutabile ai fini della concessione delle circostanze
attenuanti generiche, l’offerta formulata — nell’interesse dell’imputato — di
procedere alla messatidisposizione delle persone offese di beni immobili — il cui
valore è unilateralmente stimato dallo stesso offerente — per il risarcimento del
danno subito per la perdita del proprio congiunto.

3. Il secondo motivo, che si riferisce al capo C), è inammissibile perché
manifestamente infondato e generico, laddove non si confronta con la
motivazione della sentenza impugnata, sul punto integrata da quella di primo
grado, con riguardo alla gravità del danno subito dalle sorelle Conte che sono
state truffate della complessiva somma di euro 17.000 che, con motivato
giudizio in fatto, è stata ritenuta integrare l’indicata circostanza aggravante di cui
all’art. 61, comma primo, n. 7, cod. pen.
3.1. I giudici di merito hanno, correttamente e logicamente, evidenziato
l’entità della somma truffata, non ritenendo necessario indagare sulle effettive
capacità economiche della vittima.
Il Collegio ritiene utile richiamare in proposito l’orientamento della
giurisprudenza di legittimità, secondo il quale «ai fini della configurabilità della
circostanza aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità, l’entità
oggettiva assume valore preminente, mentre la capacità economica del
danneggiato costituisce parametro sussidiario di valutazione cui è possibile
ricorrere soltanto nei casi in cui il danno sia di entità tale da rendere dubbia la
sua oggettiva rilevanza» (Sez. 4, n. 5908 del 08/01/2013, Spada, Rv. 255101).
3.2. Palesemente infondata è la questione, già formulata con l’atto d’appello,
relativa alla possibilità di interpretare la mancata costituzione di parte civile delle
sorelle Conte quale remissione tacita della querela a cagione della intervenuta
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risarcimento del danno, è apparsa inaffidabile e perciò irrilevante ai fini che qui

accettazione stragiudiziale del risarcimento del danno, trattandosi, come detto,
di un reato procedibile d’ufficio.

4. Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

sostenute dalle parti civili, spese che, in ragione della attività defensionale
svolta, sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa
sostenute nel presente giudizio dalle parti civili Panetta Rachele, Finizio
Vincenzo, Finizio Mario e Finizio Assunta, che liquida nella complessiva somma di
euro 5.600,00, oltre spese generali, CPA e IVA, come per legge.
Così deciso il 20 aprile 2018.

4.1. Il ricorrente va, altresì, condannato alla rifusione delle spese di difesa

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