Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20186 del 16/01/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 20186 Anno 2018
Presidente: TARDIO ANGELA
Relatore: APRILE STEFANO

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
BARRANCA GABRIELE nato il 01/09/1985 a SASSARI
BARRANCA TOMASO nato il 05/08/1960 a SILANUS

avverso la sentenza del 09/02/2017 della CORTE APPELLO di CAGLIARI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere STEFANO APRILEì
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore STEFANO TOCCI
che ha concluso per l’inammissibilita dei ricorsi.
Dato atto dell’assenza del difensore

,

Data Udienza: 16/01/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento impugnato, la Corte d’appello di Cagliari, in totale
riforma della sentenza di assoluzione pronunciata dal Tribunale di Oristano in
data 28 novembre 2014, ha dichiarato Gabriele BARRANCA e Tomaso BARRANCA
responsabili di concorso nel porto abusivo di un fucile da caccia imbracciato dal
secondo, privo della licenza, e consegnato allo stesso dal primo nella

cod. pen., 4, 7 della legge n. 895 del 1967.
Il giudice di secondo grado, in accoglimento dell’appello proposto dal
Procuratore generale presso la Corte d’appello di Cagliari, ha dichiarato la
responsabilità di entrambi gli imputati sorpresi dalle guardie forestali mentre si
accingevano ad effettuare una battuta di caccia in possesso di un fucile di
proprietà di Gabriele Barranca, ma utilizzato da Tomaso Barranca, privo di porto
d’armi.
Il giudice di primo grado aveva invece assolto gli imputati ritenendo la
condotta qualificabile alla stregua dell’articolo 22, comma secondo, della legge n.
110 del 1975.

2. Ricorrono con unico atto entrambi gli imputati Gabriele BARRANCA e
Tomaso BARRANCA, a mezzo del difensore avv. Antonello Spada, che chiedono
l’annullamento della sentenza impugnata per vizio della motivazione con
riguardo all’affermazione della responsabilità degli imputati i quali avrebbero
dovuto, semmai, essere chiamati a rispondere del reato di cui all’articolo 22,
comma secondo, legge n. 110 del 1975.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Osserva il Collegio che i ricorsi appaiono infondati.
In punto di fatto, i giudici del merito hanno concordemente accertato che
Tomaso BARRANCA, privo della licenza di caccia, imbracciava il fucile di Gabriele
BARRANCA che era al corrente di detta circostanza e che, ciò nonostante, gli
aveva affidato l’arma durante la battuta di caccia.
La divergenza esistente nelle decisioni di primo e secondo grado riguarda
unicamente la rilevanza penale della indicata condotta e cioè la qualificazione
giuridica del fatto.

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consapevolezza della mancanza del titolo abilitativo, a mente degli articoli 110

2. Va innanzitutto precisato che il ricorso, pur non inammissibile, non pone
questioni concernenti la valutazione delle prove dichiarative, sicché questa Corte
ex officio alla verifica del rispetto dei

regolatrice non è tenuta a procedere

principi della Convenzione EDU (Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv.
267492), in quanto la questione oggetto del giudizio esula dall’applicazione dei

recentemente espressi dalle Sezioni Unite Dasgupta (Sez. U, n. 27620 del
28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267487).
La giurisprudenza di legittimità ha già precisato che, «nel caso di condanna in
appello, non sussiste l’obbligo di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale
qualora il giudice abbia riformato la sentenza assolutoria di primo grado non già
in base al diverso apprezzamento di una prova dichiarativa, bensì all’esito della
differente interpretazione della fattispecie concreta, fondata su una complessiva
valutazione dell’intero compendio probatorio (Sez. 5, n. 42746 del 09/05/2017,
Fazzini, Rv. 271012).
Tale conclusione appare vieppiù fondata allorché, come nel caso in esame, la
disposta riforma in appello della sentenza assolutoria del primo giudice, senza
che sia stata rinnovata l’istruzione probatoria (questione che, in effetti, non è
stata posta dai ricorrenti), deriva dalla diversa qualificazione della condotta
concordemente ricostruita in entrambi i gradi del giudizio e non da una diversa
valutazione delle prove dichiarative o della ricostruzione storico-fattuale (in
realtà non si discute proprio delle risultanze probatorie che appaiono pacifiche).
Appare, pertanto, pienamente aderente ai principi del giusto processo di
origine costituzionale (art. 111 Cost.) e convenzionale (6, par. 3, lett. d, della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali), la riforma in appello della sentenza assolutoria del primo giudice,
senza che sia stata rinnovata l’istruzione probatoria, quando non sia posta in
discussione la valutazione delle prove dichiarative, ma unicamente la
qualificazione del fatto.

3. Tanto premesso, la qualificazione giuridica del fatto operata dalla Corte
d’appello, perfettamente aderente alla contestazione originariamente formulata
dal Pubblico ministero, è corretta.
3

principi concernenti il contraddittorio nella formazione e valutazione della priova

3.1. L’art. 22 della legge n. 110 del 1975 stabilisce, sotto la rubrica
«locazione e comodato di armi» che «non è consentita la locazione o il comodato
delle armi di cui agli articoli 1 e 2, salvo che si tratti di armi per uso scenico,
ovvero di armi destinate ad uso sportivo o di caccia, ovvero che il conduttore o
accomodatario sia munito di autorizzazione per la fabbricazione di armi o

collaudo […]».
Il successivo comma 2 dell’art. 22 stabilisce «che è punito con la reclusione
da due ad otto anni e con la multa da 2.000 euro a 20.000 euro chiunque da’ o
riceve in locazione o comodato armi in violazione del divieto di cui al precedente
comma».
Con riguardo alla fattispecie di cui all’art. 22 I. n. 110 del 1975 la
giurisprudenza di legittimità ha costantemente affermato che «in tema di
locazione e comodato di armi da guerra o comuni da sparo, la illiceità della
condotta è esclusa solo alla doppia condizione che l’oggetto materiale sia
obiettivamente qualificabile quale arma per uso scenico o destinata ad uso
sportivo o di caccia, e che l’arma concessa in locazione od in comodato sia
effettivamente destinata dal ricevente all’uso scenico, sportivo o venatorio»
(Sez. 1, n. 10650 del 22/01/2002, Mula ed altro, Rv. 221469), precisando, poi,
che non sussiste in capo al cedente il reato nel caso di consegna in comodato di
un fucile da caccia per l’utilizzo in una battuta di caccia a soggetto non munito di
porto d’armi (Sez. 1, n. 46260 del 08/11/2012, Valisi, Rv. 253967).
Appare, pertanto, evidente che la concessione in locazione o comodato delle
armi da sparo è invariabilmente vietata ed è penalmente sanzionata dall’art. 22,
comma secondo, I. 110 del 1975.
Viceversa resta al di fuori del perimetro normativo dell’indicata disposizione
la cessione in locazione o comodato di un’arma da sparo soltanto in presenza di
una doppia condizione: che si tratti di arma per uso scenico o destinata ad uso
sportivo o di caccia e che sia effettivamente destinata a tali usi.
3.2. Così chiarito l’ambito di applicazione dell’art. 22 I. n. 110 del 1975, è
opportuno evidenziare che le condotte ivi descritte concernono unicamente la
cessione dell’arma a tale titolo e non anche la detenzione e il porto di essa.
Il sistema legale posto a presidio della circolazione delle armi è improntato al
rispetto di rigidi schemi caratterizzati dalla formalizzazione e tracciatura di ogni
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munizioni ed il contratto avvenga per esigenze di studio, di esperimento, di

vicenda che riguarda l’arma, sicché i vari obblighi di catalogazione, registrazione,
denuncia e licenza seguono il percorso dell’arma dalla produzione, al commercio,
alla vendita, alla cessione e alla detenzione, restando generalmente vietato il
porto.
In tale contesto di rigida regolamentazione trova spazio la disposizione che

soggetto a un altro.
Infatti, gli istituti negoziali della locazione e del comodato, noti fin dal diritto
romano, sono caratterizzati da una simile situazione di fatto: il trasferimento
della cosa o del diritto di goderne per un tempo o un uso determinato.
Il conduttore o il comodatario, usualmente descritti quali detentori qualificati
(si veda, in particolare per il comodato, Cass. Civ. Sez. U, Sentenza n. 7930 del
27/03/2008 Rv. 602815 – 01), esercitano la detenzione della cosa nel proprio
interesse (a differenza del detentore), sicché risulta elemento fondamentale la
consegna del bene. In effetti, il contratto, pur concludendosi con il consenso,
necessita della consegna della cosa locata o data in comodato in quanto l’oggetto
del contratto consiste proprio nell’usare a proprio vantaggio il bene.
3.3. Così sintetizzati i principali elementi dei contratti di locazione e
comodato, appare evidente che la locazione e il comodato consentono il
trasferimento dell’arma da un soggetto all’altro, con particolare riferimento alla
detenzione di essa.
Trattandosi, pertanto, di un negozio giuridico che trasferisce la detenzione
dell’arma (similmente alla vendita o alla donazione), la giurisprudenza di
legittimità ha affermato che «in materia di armi, l’art. 22 L. n.110 del 1975, che
disciplina il trasferimento a titolo di comodato o locazione di un’arma, non
prevede alcuna deroga all’obbligo di denunzia della detenzione dell’arma
trasferita ai sensi dell’art. 38 TULPS, obbligo che prescinde dal titolo o dalla
durata della detenzione medesima» (Sez. 4, n. 7292 del 20/01/2006, Farinella
ed altri, Rv. 233411).
Conclusivamente, deve affermarsi che il comodato e la locazione di armi,
laddove consentiti a norma dell’art. 22 I. n. 110 del 1975, costituiscono il
legittimo titolo per la detenzione, sicché diversamente entra in gioco l’art. 2 I.
895 del 1967, detenzione che, a sua volta, deve essere puntualmente
denunciata all’autorità di pubblica sicurezza.
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concerne la locazione e il comodato di armi, quale negozio di trasferimento da un

3.4. D’altra parte, come noto, il porto delle armi è regolato in modo ancora
più stringente, giacché al legittimo detentore di un’arma è vietato portarla fuori
dalla propria abitazione, salvo che sia in possesso della specifica licenza o rientri
in quelle categorie che sono autorizzate ex lege al porto delle armi da fuoco (si
veda, ad esempio, quanto previsto dall’art. 73 del Regolamento del TULPS).

locazione o comodato, legittimante il trasferimento della detenzione dell’arma, e
il porto dell’arma, trattandosi di una situazione di fatto caratterizzata dalla
pronta disponibilità per un uso quasi immediato (Sez. 4, n. 23702 del
16/05/2013, Sanna, Rv. 256205).
Ad avviso del Collegio, perciò, indipendentemente dalla eventuale legittimità
della locazione o comodato di un’arma di cui all’art. 22, comma secondo, legge
n. 110 del 1975, laddove sussistente la doppia condizione ivi prevista, i soggetti
protagonisti del negozio giuridico devono adempiere agli obblighi di denuncia
della detenzione, mentre, in particolare, il conduttore o comodatario resta
soggetto al generale divieto di porto dell’arma, salvo che disponga della relativa
licenza o di altro titolo abilitante, non potendosi ritenere tale il ridetto negozio
giuridico.

4. Ciò premesso, appare evidente che l’attuale ricorrente Gabriele
BARRANCA, avendo intenzionalmente dato a Tomaso BARRANCA, che sapeva
privo di licenza, il fucile per portarlo a fine di caccia, risponde di concorso nel
porto abusivo di cui agli artt. 4 e 7 L. n. 895/67, sostituiti dagli artt. 12 e 14 L.
n. 497/74, indipendentemente dal concorso dei reati di vendita o di cessione
temporanea dell’arma di cui all’art. 22, comma secondo, legge n. 110 del 1975.
È sufficiente riaffermare in proposito il costante orientamento di legittimità
secondo il quale «in tema di reato di porto illegale di arma (artt. 4 e 7 della
legge 2 ottobre 1967, n. 895, sostituiti dagli artt. 12 e 14 della legge 14 ottobre
1974, n. 497), risponde a titolo di concorso nel reato colui che dia in prestito un
fucile da caccia, avendo consapevolezza del fatto che chi lo riceve sia privo della
prescritta licenza» (Sez. 1, n. 29444 del 21/06/2001, Usai, Rv. 219583).
4.1. Nessun dubbio, peraltro, sussiste in ordine alla responsabilità di Tomaso
BARRANCA per il medesimo delitto, tenuto conto della assenza della licenza.
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Risulta, infatti, di palmare evidenza la differenza tra il negozio giuridico di

5. Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la
condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.

Così deciso il 16 gennaio 2018.

Il Presidente
Angela Tardio

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

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