Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20175 del 24/04/2018


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 20175 Anno 2018
Presidente: DAVIGO PIERCAMILLO
Relatore: BORSELLINO MARIA DANIELA

SENTENZA A MOTIVAZIONE
SEMPLIFICATA
SENTENZA

Guagliardo Vito Lucio, nato a Altavilla Milicia il 13/12/1962
avverso l’ordinanza del 17/11/2017 del TRIBUNALE di Palermo
sentita la relazione svolta dal Consigliere MARIA DANIELA BORSELLINO;
sentite le conclusioni del Sostituto PROCURATORE GENERALE Massimo Galli che
ha chiesto il rigetto del ricorso;
sentite le conclusioni degli avv. Turrisi e Bonsignore, che hanno insistito nel
ricorso
RITENUTO IN FATTO

1.Con il provvedimento impugnato il Tribunale di Palermo, sezione del riesame,
ha rigettato la richiesta ex art. 309 cod.proc.pen. presentata nell’interesse di
Vito Lucio Guagliardo e per l’effetto ha confermato l’ordinanza del Giudice per le
indagini preliminari del Tribunale di Palermo del 23 ottobre 2017, con la quale
era stata applicata la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti
dell’indagato, in quanto attinto da gravi indizi di colpevolezza per avere
partecipato al delitto di estorsione pluriaggravato consumato in danno di
Giuseppe Messana che, nella veste di amministratore della società D.I.T., veniva
costretto con minacce a reintegrare Salvatore Guagliardo nell’orario di lavoro a
tempo pieno.
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Data Udienza: 24/04/2018

Riteneva il Tribunale che dal tenore di una lunga conversazione intercettata
emergesse lo stato di soggezione del Messana, costretto a scusarsi con
l’indagato per avere ridotto l’orario lavorativo del figlio, nonostante tale misura
fosse giustificata dalle reiterate e ingiustificate assenze di quest’ultimo. Nel
prosieguo l’indagato minacciava più volte il suo interlocutore, anche in maniera
larvata e con modalità tipiche del metodo mafioso, facendo riferimento alla
circostanza che nella vita si perde la pazienza e alla missiva anonima contenente
dei proiettili che era stata recapitata al suo interlocutore e al titolare

2.Avverso il detto provvedimento ricorre il Guagliardo tramite i suoi difensori
deducendo:
1)inosservanza ed erronea applicazione di legge penale in relazione agli artt.
629 comma secondo, in relazione all’articolo 628 comma terzo numero tre
cod.pen. e 7 d. I. 152/91, nonché mancanza contraddittorietà e illogicità della
motivazione. Il ricorrente lamenta, in particolare, che il compendio indiziario,
costituito dagli esiti della conversazione telefonica intercettata il 19 ottobre 2011
e dalle sommarie informazioni rese dalla persona offesa circa quattro anni dopo,
non consente di ritenere integrata la fattispecie del reato di estorsione, sotto il
profillo delle minacce. A sostegno del proprio assunto la difesa valorizza il tenore
delle dichiarazioni rese nel corso del suo interrogatorio di garanzia dall’indagato,
secondo il quale il riferimento ad altre persone, evocate nel corso della
conversazione anzidetta, non era ad eventuali sodali malavitosi, ma a
rappresentanti sindacali da lui stesso interessati per risolvere la questione
lavorativa del figlio, come emerge anche dal tenore della conversazione
intercettata.
Il ricorrente deduce inoltre che i giudici del riesame non avrebbero
esaustivamente spiegato quale sarebbe in concreto la minaccia di eventuali atti
ritorsivi formulata dall’indagato nei confronti del Messana, e sarebbero incorsi in
evidente contraddizione laddove, da una parte, hanno escluso che nel corso
della conversazione il Guagliardo avesse proferito esplicite minacce di morte e,
dall’altra, hanno individuato l’intimidazione nel fare riferimento alle minacce
anonime subite dalla persona offesa.
2) violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’aggravante prevista
dall’art.7 D.I. 152/91. Al riguardo il ricorrente deduce che la detta aggravante
speciale non è stata neppure enunciata nella descrizione del fatto di reato,
sebbene l’art.7 citato sia stato inserito nell’imputazione tra le norme penali
violate, in violazione del diritto di difesa.
Inoltre lamenta che il tribunale abbia giustificato la sussistenza della detta
aggravante, valorizzando il fatto che Guagliardo si era posto come diretto

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dell’impresa nel gennaio 2011.

interlocutore di un rapporto di lavoro instaurato con un terzo soggetto. Tale
comportamento a giudizio del tribunale, sarebbe evocativo del metodo mafioso
in cui è l’associato che intima l’assunzione di un terzo soggetto, sottolineando la
gerarchia da rispettare nella gestione delle questioni economiche, ma
affermando ciò i giudici trascurano di considerare che il lavoratore è figlio
dell’indagato e quindi costui aveva uno specifico interesse a sollecitare la sua
reintegrazione nel rapporto di lavoro a tempo pieno.
La motivazione dell’ordinanza impugnata sarebbe, inoltre, manifestamente

cui desumere la consapevolezza o la percezione da parte della persona offesa
della caratura mafiosa del Guagliardo e non ha in alcun modo esposto le ragioni
per cui la versione difensiva dell’indagato, che ha spiegato il riferimento a terzi
con la circostanza di essersi rivolto a rappresentanti sindacali, sia stata ritenuta
infondata, nonostante emerga specifico riscontro sul punto nella conversazione
intercettata il 19 ottobre 2011.
3.11 ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.
3.1 In punto di diritto va rilevato che, nella fase cautelare, si richiede non la
prova piena del reato contestato (secondo i criteri di cui all’articolo 192 cod.
proc.pen) ma solo la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. Pertanto ai fini
dell’adozione di una misura cautelare è sufficiente qualunque elemento
probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla
responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli e gli indizi non devono
essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti per il giudizio di merito
dall’articolo 192 comma 2 cod.proc.pen., come si desume dell’articolo 273
comma uno bis cod.proc.pen. che richiama i commi terzo e quarto dell’articolo
192 citato ma non il comma due dello stesso articolo, che richiede una
particolare qualificazione degli indizi.
Inoltre occorre sottolineare che il ricorso per cassazione il quale deduca
insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza è ammissibile soltanto se denuncia
la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della
motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di
diritto, ma non anche quando, come nel caso di specie, propone e sviluppa
censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, vero che si risolvono in una
diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito.
Infine, in relazione a quanto si evidenzierà qui di seguito, è bene precisare che
secondo la costante giurisprudenza della Corte di cassazione, cui anche il
Collegio aderisce, in materia di intercettazioni l’interpretazione del linguaggio e
del contenuto delle conversazioni costituisce questione di fatto, rimessa alla
valutazione del giudice di merito, che si sottrae al sindacato di legittimità se

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illogica e lacunosa in quanto non si preoccupa di indicare gli elementi indiziari da

motivata in conformità ai criteri della logica e delle massime di esperienza
(Sez.6 n.11794 del 11/02/2013, Melfi).
Nel caso in esame nessuno dei vizi dedotti – violazione di legge o vizio di
motivazione rilevante ex art. 606 cod.proc.pen. comma uno lett.E – risulta
essersi verificato, a fronte di una motivazione diffusamente prospettata in modo
logico e senza irragionevolezza.
I giudici del riesame hanno esaminato la condotta delittuosa del ricorrente
ricostruita attraverso un compendio indiziario, connotato della necessaria

persona offesa e la seconda con il capomafia Franco Lombardo.
Non va poi trascurato che nella ordinanza impugnata, al fine di delineare
compiutamente la personalità dell’indagato ed inquadrarne il comportamento,
sono state riportate le informazioni rese dai collaboratori di giustizia Antonino
Zarcone, ex capo mandamento di Bagheria e Vincenzo Gennaro, i quali lo hanno
indicato come soggetto molto vicino, se non intraneo, alla famiglia mafiosa di
Altavilla Milicia e come intimo amico e soggetto a disposizione di Franco
Lombardo, giudicato per avere diretto sino al 30 ottobre 2012 il detto sodalizio.
il tribunale ha correttamente evidenziato il contenuto inequivoco della
conversazione intercettata da cui emerge il tipico atteggiamento mafioso
dell’indagato che non esita a ricorrere a minacce esplicite – si metta due piedi
in una scarpa – , larvate – questa pazienza quanto deve essere?… Lo sa che
nella vita si perde la pazienza?..”, – e a ricordare con ostentata solidarietà – “gli
dice al signore di Parma ( l’Alfieri, titolare dell’impresa) che mi dispiace pure di
quello che gli è successo, di cui io sono già a conoscenza …..mi dispiace
tantissimo..- l’esplicito atto intimidatorio anonimo subito in precedenza dal
Messana e dall’Alfieri, tramite l’invio di una missiva contenente due proiettili, di
cui sottolinea essere a conoscenza; ha altresì valutato le dettagliate
dichiarazioni rese dalla persona offesa che , pur a distanza di alcuni anni dal
fatto, ha ricordato come l’indagato lo avesse minacciato e avesse fatto
riferimento all’eventuale intervento di terze persone e come nel periodo
immediatamente successivo al definitivo licenziamento del Guagliardo l’azienda
avesse subito un attentato.
Il ricorrente non si confronta con tutte le argomentazioni della ordinanza
impugnata che, con motivazione articolata e priva di contraddizioni, ha
evidenziato come l’imputato non abbia avuto remore a ricorrere a minacce
allusive ma certamente efficaci perché riferite ad atti apertamente intimidatori
già subiti dalla persona offesa, sia pure in forma anonima.
Deve convenirsi sull’irrilevanza che nel corso della conversazione incriminata
l’indagato non abbia proferito esplicite minacce di morte, in quanto emerge con

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gravità, tratto dal contenuto di due intercettazioni: la prima tra il predetto e la

assoluta evidenza il suo atteggiamento intimidatorio e il voluto richiamo alla
missiva anonima ricevuta dal suo interlocutore, nonché lo stato di soggezione
del Messana, che quasi si scusa con il suo interlocutore e cerca di contenerne la
reazione irata.
3.2 Anche il secondo motivo di ricorso relativo alla sussistenza dell’aggravante
dei metodo mafioso, è infondato.
In merito al rilievo che la detta circostanza non sia stata esplicitata in punto di
fatto ma solo indicata tra i riferimenti normativi , deve ribadirsi in questa sede

ministero richiede l’emissione di una misura cautelare deve avere riguardo,
allorché il capo di imputazione, pur indicando le relative norme di legge, non
contenga una completa descrizione del fatto medesimo, anche e specialmente
agli elementi indicati nella parte motiva della richiesta in cui si evidenziano, ai
sensi degli artt. 291 e 292, comma secondo, lett. c), cod. proc. pen.,
desumendoli dagli atti di indagine, gli indizi e le esigenze cautelari che
giustificano la misura. (Sez. 2, n. 4497 del 20/10/1994 – dep. 15/12/1994, P.M.
in proc. Schettini, Rv. 19997501),In applicazione di detto principio questa
sezione, ritenendo comunque desumibili dalla richiesta del pubblico ministero le
relative circostanze di fatto, ha annullato l’ordinanza con la quale prima il g.i.p.,
e poi il tribunale in sede di appello, avevano escluso un’aggravante di cui,
indicata la relativa norma di legge, nel capo di imputazione non si rinveniva la
specifica descrizione. Nel caso in esame il G.I.P. ha ampiamente argomentato
sulla detta aggravante e il Tribunale ne ha correttamente tenuto conto.
La censura relativa all’omessa valutazione della percezione da parte della
persona offesa della caratura mafiosa del Guagliardo, deve ritenersi infondata
poiché la giurisprudenza di legittimità ha in più occasioni chiarito che la
sussistenza dell’aggravante non dipende dalla reazione della vittima, ma
dall’obiettivo comportamento dell’indagato, idoneo ad evocare la capacità di
assoggettamento di un sodalizio notoriamente operante nel territorio.
Nel caso in esame l’intenzionale riferimento all’atto intimidatorio caratterizzato
dalla modalità tipicamente mafiosa, subito dalla persona offesa, e la gratuita
manifestazione di solidarietà, del tutto distonica perché inserita in un contesto di
minacce e avvertimenti più o meno velati, sono stati correttamente valorizzati
dal Tribunale come elemento idoneo ad evidenziare le peculiari modalità
dell’intimidazione, esercitata evocando la forza intimidatrice del sodalizio
criminoso, notoriamente operante su quel territorio.
Nè può dubitarsi della caratura mafiosa dell’indagato che in un contesto
ambientale ristretto non poteva sfuggire alla persona offesa e spiega l’evidente
stato di soggezione del Messana, che male si addice al suo ruolo di datore di
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che ai fini dell’esatta qualificazione giuridica del fatto, il giudice cui il pubblico

lavoro e si manifesta appieno nella conversazione telefonica nel corso della
quale, il predetto si mostra molto attento a non biasimare la condotta del figlio
del suo interlocutore, aduso a non presentarsi sul posto di lavoro, senza
neppure avvertire.
Infine in merito alla diversa ricostruzione della vicenda fornita dalla difesa deve
rilevarsi che, sebbene non esplicitamente smentita in motivazione, la stessa è
stata ampiamente disattesa dalle articolate argomentazioni dell’ordinanza
cautelare, che si palesano idonee ad evidenziare nel loro complesso la peculiare

l’intervento ritorsivo di terzi soggetti e comprovano l’infondatezza dell’assunto
difensivo, secondo cui l’indagato faceva riferimento al coinvolgimento del
sindacato.
4.Per le considerazioni sin qui esposte, il ricorso deve essere dichiarato
inammissibile.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati
i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti
dal ricorso (Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma,
che si ritiene equa, di euro duemila a favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 2000 in favore della Cassa delle
ammende.
Motivazione semplificata.
Così deciso in camera di consiglio il 24 aprile 2018
Il cnsi’aliere est.
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Il Presidente

capacità delle minacce esplicite e larvate formulate dall’indagato di evocare

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