Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20151 del 26/04/2018


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 20151 Anno 2018
Presidente: GALLO DOMENICO
Relatore: DE SANTIS ANNA MARIA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da
1) DURANTINI FRANCESCO n. a Torre del Greco il 22/5/1974
2)

DURANTINI MARCO n. a Ercolano il 24/10/1966

3)

MADONNA LUCIA n. a Torre del Greco il 7/9/1976

avverso la sentenza resa dalla Corte d’Appello di Napoli in data 10/2/2017

– visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi;
– Udita nell’udienza pubblica del 26/4/2018 la relazione fatta dal Consigliere Anna Maria De
Santis;
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, dott. Fulvio Baldi, che ha concluso per
l’inammissibilità dei ricorsi
Uditi il difensore delle pp.cc ., Avv. Giuseppe Granata, che ha depositato conclusioni scritte e
nota spese
RITENUTO IN FATTO
1.Con l’impugnata sentenza la Corte d’Appello di Napoli confermava, quanto ai ricorrenti, la
decisione del locale Tribunale, che aveva riconosciuto:
– Durantini Francesco colpevole dei reati ascrittigli ai capi E) e O), condannandolo, con il vincolo
della continuazione, alla pena di anni 16 di reclusione;
1

auk,

Data Udienza: 26/04/2018

- Durantini Marco colpevole del delitto sub E), condannandolo- previa concessione
dell’attenuante di cui all’art. 8 L. 203/91- alla pena di anni 9 di reclusione;
– Madonna Lucia colpevole del delitto ascritto al capo I), condannandola alla pena di anni due,
mesi dieci di reclusione ed euro 4.000,00 di multa.
Ai ricorrenti Durantini Francesco e Marco si ascrive al capo E) della rubrica la partecipazione
ad un’associazione di tipo mafioso e di carattere armato, denominata clan ” Birra-Iacomino”,
operante nella zona di Ercolano, dedita al traffico di sostanze stupefacenti, estorsioni, omicidi e

organizzazioni rivali come il gruppo ” Ascione- Papale”. Durantini Francesco risponde, altresì, al
capo O) dell’illegale detenzione di tre pistole, con le aggravanti di cui all’art. 7 L. 575/65 e art.
7 L. 203/91.
La ricorrente Madonna è stata, invece, ritenuta responsabile dell’illegale detenzione di armi da
guerra, tenute in custodia per conto del clan, e in particolare di una pistola mitragliatrice
Beretta Pm 12 parabellum con matricola abrasa, di un fucile mitragliatore e del relativo
munizionamento.
2. Hanno proposto ricorso per Cassazione gli imputati a mezzo dei rispettivi difensori ,
deducendo:
Durantini Francesco con l’Avv. Vincenzo Strazzullo
2.1/ 2.2 la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla
ritenuta partecipazione del ricorrente all’associazione di stampo mafioso denominata clan
Birra-Iacomino. La difesa lamenta che la Corte territoriale non ha motivato in ordine allo
specifico ruolo asseritamente ricoperto dal prevenuto nella compagine criminosa , non avendo
trovato riscontro processuale -alla luce delle emergenze probatorie acquisite- il coinvolgimento
del prevenuto nel settore delle estorsioni, del traffico di stupefacenti ovvero
l’approviggionannento e la detenzione di armi nell’interesse del gruppo. Infatti, secondo il
ricorrente la detenzione illecita di armi ascritta al capo O) non consente di inferire la riferibilità
delle stesse al sodalizio contestato.
Inoltre, la sentenza impugnata incorre in illogicità e contraddittorietà motivazionale laddove
ritiene provata la partecipazione del Durantini Francesco all’associazione sub E), nonostante i
reggenti del clan, Cefariello Marco e Cordua Enrichetta, abbiano escluso che lo stesso avesse
un ruolo nella compagine e ricevesse compensi per l’attività prestata in suo favore, come
accadeva, invece, per i fratelli Durantini Marco e Giovanni, riconoscendo- al contrario- che egli
gestiva in piena autonomia la piazza di spaccio nella zona di Pugliano e in una sola occasione
aveva consegnato dello stupefacente alla Cordua. Nel senso dell’autonomia dell’attività di
spaccio gestita dai Durantini si collocano anche le dichiarazioni dei citati Durantini Marco e
Giovanni, collaboratori di giustizia, le cui affermazioni secondo la difesa sono state oggetto di
2

reati in materia di armi al fine di acquisire il controllo dell’area, anche contrapponendosi ad

travisamento laddove sono state interpretate dalla Corte d’Appello come attestanti l’organicità
del gruppo familiare dei Durantini al clan Birra-Iacomino, ritenendo l’omicidio di Polese
Vincenzo espressione del conflitto che opponeva il sodalizio a quello avverso degli AscionePapale, al pari del tentato omicidio in danno dello stesso imputato.
Né argomenti a sostegno dell’inserimento del ricorrente nella compagine criminosa possono
trarsi dai contenuti degli esami di altri collaboratori quali Minuzzi Biagio, Borragine Pasquale,
Esposito Gennaro ovvero dalle intercettazioni dei colloqui avvenuti in carcere tra l’imputato e il

tutelarsi da malavitosi emergenti sul territorio, senza —tuttavia- investire altri soggetti di detta
protezione.
La difesa rileva ulteriormente che la Corte territoriale ha contraddittoriamente negato la
ravvisabilità del vincolo della continuazione tra i fatti giudicati con sentenza del 10/3/2009
dalla Corte d’Appello di Napoli, che riconosceva la penale responsabilità del ricorrente per il
delitto ex art. 74 dpr 309/90 , assolvendolo dall’addebito associativo ex art. 416 bis cod.pen.,
argomentando circa l’esistenza di un collegamento tra l’associazione finalizzata al narcotraffico
e il clan Birra che l’avrebbe assentito, considerazione che avrebbe dovuto condurre al
riconoscimento dell’invocata unitaria ideazione degli illeciti.
Quanto al capo O), la difesa evidenzia che le armi alle quali i fratelli facevano riferimento nei
colloqui intercettati appartenevano ai Durantini e non al clan Birra sicchè il giudizio di
responsabilità del ricorrente fa impropriamente leva sul rapporto familiare con il fratello
Giovanni che nel clan rivestiva un ruolo di spicco. La sentenza impugnata ha erroneamente
valutato anche la circostanza relativa all’acquisto da parte del ricorrente di un’autovettura
blindata e il procacciamento di giubbotti antiproiettile, due dei quali ceduti all’associazione;
2.3 la violazione dell’art. 192, comma 3, cod.proc.pen. in ordine alle dichiarazioni rese dai
collaboratori di giustizia, attesa la valorizzazione ai fini del giudizio di penale responsabilità del
prevenuto di propalazioni imprecise , discordanti e prive di riscontri.
2.4 Con riguardo al capo O) la difesa denunzia il vizio della motivazione in quanto i giudici
d’appello hanno disatteso in poche righe il gravame difensivo, richiamando le dichiarazioni di
numerosi collaboratori che non vengono indicati e l’intercettazione ambientale in carcere
mentre alcun cenno si rinviene alla sussistenza dell’aggravante ex art. 7 L. 203/91. Con
particolare riguardo ai contenuti dell’intercettazione con il fratello Giovanni, la Corte non ha
considerato che quest’ultimo esercitò forte pressioni sul congiunto per indurlo all’esecuzione
dell’omicidio del Polese e costrinse il fratello anche a mentire per sottrarsi alle sue pressanti
richieste.
Durantini Marco con l’Avv. Clelia Scioscia

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fratello Durantini Giovanni, dalle quali emerge esclusivamente l’intento del prevenuto di

3.La violazione degli artt. 125, comma 3, cod.proc.pen. e 8 D.L. 152/91 con riguardo al
motivo di gravame con il quale si chiedeva l’applicazione dell’attenuante speciale nella
massima estensione in considerazione della qualità, dell’efficacia e degli esiti della
collaborazione dell’imputato. La difesa censura la sentenza d’appello che ha disatteso la
richiesta di riconoscimento dell’attenuante della collaborazione nella massima estensione,
nonostante l’ampio ed efficace contributo prestato dal ricorrente alla ricostruzione dei profili di
responsabilità in ordine al reato associativo e la riconosciuta attendibilità del narrato;

delle circostanze attenuanti generiche, avendo la Corte valorizzato l’oggettiva gravità dei reati
commessi, l’intensità del dolo e la negativa personalità dell’imputato, ignorando l’intrapresa
collaborazione , la confessione dei reati e il corretto comportamento processuale.
Madonna Lucia, personalmente
4.

La violazione di legge in relazione alla valutazione della prova e il correlato vizio di

motivazione, avendo la Corte territoriale omesso di attribuire rilievo giuridico a circostanze
che se diversamente valutate avrebbero condotto a difformi esiti processuali.
CONSIDERATO IN DIRITTO
5.

I primi due motivi del ricorso proposto nell’interesse di Durantini Francesco sono

inammissibili in quanto le doglianze costituiscono reiterazione di quelle introdotte in sede
d’appello ed evase dalla Corte territoriale con esaustiva motivazione che non presta il fianco a
rilievi per completezza argomentativa e congruenza logica. Inoltre, le censure difensive
attraverso il denunziato vizio motivazionale tendono alla rivalutazione in senso liberatorio delle
emergenze processuali acquisite, in questa sede preclusa, e fanno leva sul diretto confronto
con il materiale probatorio scrutinato, in assenza di una ortodossa selezione degli specifici
profili rilevanti ex art. 606, comma 1, lett. e) cod.proc.pen.
5.1 La giurisprudenza di questa Corte è pacifica nell’affermazione che il controllo del giudice di
legittimità sui vizi della motivazione ha di mira la verifica della coerenza strutturale della
decisione sotto il profilo logico argomentativo mentre è preclusa la rilettura degli elementi di
fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di
ricostruzione e valutazione dei fatti ( Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507; n.
41738 del 19/10/2011, Pmt in proc. Longo, Rv. 251516;Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012,
Minervini, Rv. 253099; n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482). Siffatto vaglio
s’incentra, dunque, sulla coordinazione e congruenza dei passaggi in cui si articola la trama
argomentativa del provvedimento impugnato, con esclusione, tuttavia, della possibilità di
verificare l’aderenza dei risultati dell’interpretazione delle prove alle acquisizioni risultanti dagli
atti del processo sicchè lo scrutinio di legittimità circa la fondatezza del vizio di motivazione
non consiste nell’accertare la

plausibilità e l’intrinseca adeguatezza dei

risultati

dell’interpretazione delle prove, propria del giudizio di merito, ma mira a stabilire se i giudici di
4
01/4’1

3.1 la violazione di legge e il vizio della motivazione con riguardo alla denegata concessione

merito abbiano compiutamente valutato il corredo probatorio anche alla luce delle deduzioni
delle parti e abbiano correttamente applicato le regole della logica, le massime di comune
esperienza e i criteri legali dettati in tema di valutazione delle prove, in modo da fornire la
giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.
Pertanto, ai fini della denuncia del vizio in esame, è indispensabile dimostrare che il testo del
provvedimento sia manifestamente carente di motivazione ovvero presenti fratture logiche,
non essendo consentito opporre alla valutazione dei fatti contenuta nel provvedimento

invasa l’area degli apprezzamenti riservati al giudice di merito.
Le peculiari connotazioni del giudizio di legittimità ricusano, pertanto, tutte le doglianze che
investono la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità del
ragionamento giustificativo, e finanche la stessa illogicità quando non manifesta, così come
quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle
diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti
dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento
( ex multis Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015 , O., Rv. 262965).
5.2 Le sentenze di merito, i cui apparati giustificativi si integrano in ragione del convergente
apprezzamento dei materiali processuali, hanno evidenziato che l’affiliazione del gruppo
familiare dei Durantini al clan Birra risulta dalle concordi dichiarazioni di plurimi collaboratori di
giustizia nonché dalle intercettazioni ambientali presso la Casa Circondariale di Agrigento e
quella di Rossano Calabro dei colloqui tra Durantini Giovanni e i familiari.
Il primo giudice ha dettagliatamente richiamato le fonti dichiarative da cui ha tratto elementi
circa la partecipazione del ricorrente all’associazione di stampo mafioso contestata,
sottolineando per ciascuno dei nove collaboratori escussi le affermazioni di rilievo concernenti
l’organico inserimento del gruppo Durantini nel clan Birra, di cui costituiva un’articolazione
operativa soprattutto nel settore degli stupefacenti, e ha ampiamente argomentato
l’attendibilità intrinseca delle propalazioni dagli stessi provenienti nonchè l’esistenza di riscontri
dotati del necessario grado di specificità individualizzante, desumibili dalle intercettazioni
ambientali e dalla stessa confessione resa dal Durantini Francesco in ordine all’omicidio di
Polese Vincenzo. Quanto al ruolo del prevenuto, il Tribunale ha ritenuto adeguatamente
convalidata la prospettazione accusatoria che ascrive al Durantini Francesco la responsabilità
della piazza di spaccio di Pugliano, ” collegata al clan Birra” secondo quanto riferito dal fratello
Marco, mentre in epoca successiva all’attentato subito nel luglio 2009 la partecipazione al
sodalizio aveva acquisito connotazioni di maggiore spessore, tanto che l’imputato aveva
ricevuto da Zeno Stefano la disponibilità di un’auto blindata ed aveva preso parte, in veste di
organizzatore, all’omicidio del Polese nel settembre successivo, alla stregua delle dichiarazioni
5

impugnato una diversa ricostruzione degli stessi, dato che in quest’ultima ipotesi verrebbe

del fratello collaborante Durantini Giovanni. Dalla conversazione intercettata il 4/8/2009 in
ambiente carcerario ( pag. 11 sent. impugnata) tra il dichiarante e la moglie emerge che il
Durantini sollecitava da Cordua Enrichetta e Cefariello Marco, reggenti del clan, una risposta
armata ” con lo stesso volume di fuoco” nei confronti di Dantese Natale, elemento di spicco
dell’avverso clan degli Ascione, per vendicare l’attentato subito dal fratello pochi giorni prima,
a dimostrazione dell’ internità del gruppo familiare al clan Birra e della necessità del sodalizio
di reagire al ferimento di un suo appartenente.

Borragine Pasquale, richiamando uno specifico episodio in cui i proventi del reato commesso
dal ricorrente per conto del clan erano stati conferiti in sua presenza da parte del coimputato
Zamorano. Analogamente, la dotazione di armi in capo al prevenuto è stata ritenuta
ampiamente provata sulla scorta delle dichiarazioni di Durantini Giovanni e dell’intercettazione
in data 20/10/2009 presso il carcere di Agrigento, nel corso della quale il ricorrente informava
il fratello Giovanni di avere la disponibilità di tre pistole, di cui una di cal. sette.
L’ampia e corretta disamina del corredo probatorio operata dai giudici di merito dà conto della
palese infondatezza delle censure formulate dalla difesa del ricorrente e le vota all’irricevibilità.
6. Il terzo motivo che assume la violazione dei principi che presidiano l’apprezzamento della
prova con riguardo alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia è inammissibile per genericità
oltre che precluso dalla mancata devoluzione in appello, avendo la difesa in quella sede
omesso qualsiasi critica alla valutazione della prova dichiarativa alla stregua dei parametri di
cui all’art. 192, comma 3, cod.proc.pen.
7.

Le censure svolte con il quarto motivo in relazione al capo O) sono del pari precluse dalla

mancata devoluzione in appello e, comunque, manifestamente infondate. Invero, in sede di
gravame l’imputato con il primo motivo chiedeva genericamente l’assoluzione dai reati
contestati, incentrando i propri rilievi sul preteso difetto di prova in ordine alla partecipazione
all’associazione sub E), effettuando nell’illustrazione delle doglianze un solo richiamo all’illecita
detenzione di armi ( pag. 5) per sostenere che le stesse ” appartenevano ai Durantini e non
al clan Birra”, senza alcuna confutazione delle dichiarazioni di Durantini Giovanni e dei
contenuti della conversazione ambientale posta a base del giudizio di penale responsabilità.
Pertanto, alla stregua dell’operata devoluzione, la Corte territoriale non era tenuta a motivare
in ordine al delitto sub O) e alle aggravanti contestate in assenza di specifiche doglianze sul
punto; nondimeno a pag. 11 la sentenza censurata ha dato conto degli elementi di prova che
sostanziano l’addebito mentre il preteso mendacio del prevenuto nel corso della conversazione
intercettata con il fratello Giovanni trova puntuale ed esaustiva confutazione nella decisione di
primo grado ( pag. 61), la quale ha escluso il presunto stato di costrizione del prevenuto di
fronte all’ordine da parte del fratello di uccidere il Polese Vincenzo, rilevando come siffatta
determinazione era finalizzata innanzitutto a prevenire ulteriori attentati in suo danno.
6

Quanto alle attività estorsive svolte nell’interesse dell’associazione, delle stesse ha riferito

8. Con riguardo alla posizione di Durantini Marco rileva la Corte che i giudici d’appello hanno
motivatamente disatteso la richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche,
richiamando in senso ostativo l’oggettiva gravità dei fatti commessi, connotati da persistente
risoluzione criminosa e pervicacia nel perseguimento degli scopi dell’associazione, nonché la
negativa personalità del ricorrente e stimando congrua la pena inflitta, pari ad anni sette di
reclusione. La tesi difensiva che lamenta l’illegittima pretermissione della collaborazione
prestata ai fini del riconoscimento delle circostanze ex art. 62 bis cod.pen. è destituita di

Questa Corte ha in più occasioni precisato che non è consentito utilizzare gli elementi posti a
fondamento della concessione della circostanza attenuante ad effetto speciale della cosiddetta
“dissociazione attuosa”, prevista dall’art. 8 L. 12 luglio 1991 n. 203, una seconda volta anche
per giustificare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, perché ciò
condurrebbe a un’inammissibile ripetuta valorizzazione dei medesimi elementi (Sez. 5, n.
34574 del 13/07/2010, Russo, Rv. 248176; Sez. 6, n. 49820 del 05/12/2013 Billizzi ed altri,
Rv. 258136; n. 43890 del 21/06/2017 , Aruta e altri,Rv. 271099 ). Come esattamente rilevato
dalla sentenza impugnata i due istituti hanno finalità diverse e non coincidenti poiché
l’attenuante speciale della dissociazione è fondata sulla utilità obiettiva consistente nel
contributo proficuo fornito alle indagini, mentre le attenuanti generiche si fondano su una
globale valutazione della gravità del fatto e della capacità a delinquere del colpevole (Sez. 1, n.
14527 del 03/02/2006, Cariolo ed altri, Rv. 233938;.Sez. 6, n. 20145 del 15/04/2010,
Cantiello e altri, Rv. 247387;Sez. 5, n. 1703 del 24/10/2013, Sapienza e altri, Rv. 258958)
sicchè legittimamente il giudice di merito può riconoscere alla natura e gravità del fatto o alla
negativa personalità del colpevole un disvalore tale da giustificare il diniego delle attenuanti
generiche, anche in presenza di un’apprezzabile collaborazione con la giustizia ( Cass. Sez. I ,
7 novembre 2001, n. 43241 , Alfieri ed altri ).

I giudici del merito hanno fatto corretta applicazione dei richiamati principi, riconoscendo il
Durantini Marco meritevole dell’attenuante speciale ex art. 8 del D.L.152 del 1991 senza
sottovalutare le ragioni della dissociazione, ritenendo, nondimeno, assorbenti i profili
esplicitati in motivazione al fine del diniego delle circostanze ex art. 62 bis cod.pen.

Quanto al mancato riconoscimento dell’attenuante della dissociazione nella massima
estensione,la questione- che involge apprezzamenti di merito propri della dosimetria della
pena- è preclusa dalla mancata devoluzione in appello, avendo in quella sede la difesa
dell’imputato censurato le modalità d’applicazione della circostanza non la latitudine della
riduzione accordata.
9.

Il ricorso proposto nell’interesse di Madonna Lucia è inammissibile per genericità in

considerazione della totale assenza di specifici riferimenti alla vicenda processuale della
7

pregio.

ricorrente a fronte dell’analitico scrutinio del gravame difensivo effettuato dalla Corte
territoriale alle pagg. 14-16 della sentenza impugnata.

Invero, la funzione dell’impugnazione è tesa alla confutazione del provvedimento gravato e
postula, secondo i dettami degli artt. 581 e 591 cod.proc.pen., la specifica indicazione delle
ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta, cui deve affiancarsi la
puntuale enucleazione del vizio denunziato, alla stregua della tipizzazione di cui all’art. 606
cod.proc.pen., evidenziandone il carattere risolutivo rispetto al percorso logico seguito dal

insussistenti.

10. Alla declaratoria d’inammissibilità consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e della sanzione pecuniaria precisata in dispositivo, non ravvisandosi ragioni
d’esonero. Agli imputati fanno,altresì carico, le spese di assistenza e difesa delle pp.cc .
costituite per l’odierno grado, liquidate come da dispositivo in favore del legale anticipatario.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro duemila ciascuno a favore della Cassa delle Ammende nonché alla
refusione delle spese in favore delle parti civili Fai-Federazione italiana antiracket e antiusura e
Fai antiracket-Ercolano per la legalità, che liquida in complessivi euro 3.510,00, oltre spese
nella misura del 15%, CPA e IVA come per legge,con distrazione a favore dell’Avv. Giuseppe
Granata, dichiaratosi antistatario.
Così deciso in Roma il 26 Aprile 2018

giudice del merito per giungere alla deliberazione impugnata, requisiti nella specie

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