Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20146 del 25/02/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 20146 Anno 2015
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: BASSI ALESSANDRA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE
DI PESCARA
nei confronti di:
MASSIMI GIULIANO N. IL 29/07/1954
avverso la sentenza n. 489/2014 GIP TRIBUNALE di PESCARA, del
10/04/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALESSANDRA BASSI;
lotte/sentite le conclusioni del PG Dott.
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Data Udienza: 25/02/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 10 aprile 2014, il Gup presso il Tribunale di Pescara ha
dichiarato non doversi procedere ai sensi dell’art. 425, comma 3, cod. proc.
pen., perché il fatto non sussiste, nei confronti di Massimi Giuliano in relazione al
reato di cui all’art. 372 cod. pen., perchè – sentito quale teste dinanzi al giudice
del lavoro di Pescara (nell’ambito del ricorso avverso il licenziamento disciplinare
intimato nei confronti di Bellomo Sergio dal datore di lavoro Otalfluid Geoenergy

ribadiva, il 29 gennaio 2013, che Bellomo Sergio lo aveva minacciato per
telefono rivolgendogli la frase “uccido te e la tua famiglia, tua madre e tuo padre
seprovi a testimoniare contro di me”, circostanza non vera ed anzi esclusa dallo
stesso Massimi nel corso della conversazione del 14 marzo 2011 col Bellomo.
Il giudicante ha posto in luce come, nella denuncia presentata dalla persona
offesa Bellomo Sergio e nelle memorie depositate dall’imputato, emergano due
distinte versioni dei fatti, non superabili da elementi probatori acquisibili nel
contraddittorio delle parti. Il Gup ha, in particolare, rilevato: a) che non possono
ritenersi probanti i tabulati telefonici relativi all’utenza intestata al Bellomo,
potendo la telefonata del 2 marzo 2011 essere avvenuta anche su di una diversa
utenza telefonica; b) che, dalla registrazione della conversazione del 14 marzo
2011 – nella quale manca qualunque riferimento alle minacce – e dalla generica
esclamazione “Mah!”, si trae l’assenza di prova di precedenti minacce; c) che
Massimi Giuliano ha spiegato di aver smussato la gravità delle prime
dichiarazioni a seguito delle scuse fattegli pervenire dal Bellomo attraverso il
comune collega Scacchia Eric, il quale ha confermato in sede di sommarie
informazioni la circostanza.
2. Propone ricorso avverso la sentenza il Procuratore della Repubblica
presso il Tribunale di Pescara e ne chiede l’annullamento per violazione del
parametro di giudizio delineato nell’art. 425, comma 3, cod. proc. pen. Lamenta
il ricorrente che il giudicante, da un lato, si è spinto a operare una valutazione
nel merito degli elementi probatori, asserendo che Bellomo potrebbe aver rivolto
minacce al Massimi utilizzando un’utenza diversa da quella a lui intestata;
dall’altro lato, si è addentrato in una disamina profonda del significato
dell’espressione utilizzata nel corso del colloquio registrato ed, in particolare,
dell’esclamazione “Mah!”.
3. Nella memoria depositata in Cancelleria, l’Avv. Lucio Terrenzio, difensore
di fiducia di Massimi Giuliano, ha evidenziato che, contrariamente a quanto
sostenuto dal ricorrente, il giudicante – nell’analizzare e criticare le fonti di prova
– non ha debordato in un giudizio di merito, limitandosi a valutare inidoneità
2

S.r.l.) – dichiarava, il 6 marzo 2012, e – nuovamente risentito dal giudice –

delle fonti di prova a sostenere l’accusa nel dibattimento. D’altra parte, il patrono
di Massimi ha evidenziato che l’appello proposto dal denunciante Bellomo
avverso la sentenza del Tribunale di Pescara, Sezione Lavoro (con la quale è
stata dichiarata la legittimità del licenziamento) è stato rigettato, con decisione
della Corte d’appello di L’Aquila del 15 maggio 2014 ormai passata in giudicato.
4. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto che la sentenza sia
annullata con rinvio e l’Avv. Lucio Terrenzio, per Massimi Giuliano, ha insistito

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso va rigettato.
2. In via del tutto preliminare, deve essere rilevato che – anche a seguito
delle modifiche operate con la legge n. 479/1999 -, la sentenza di non luogo a
procedere mantiene natura di sentenza di natura processuale e non di merito,
che deve essere emessa dal giudice dell’udienza preliminare sulla base, non di
un giudizio di innocenza dell’imputato, bensì di una valutazione in merito
all’inutilità del dibattimento, allo scopo di evitare che giungano alla fase del
giudizio vicende in relazione alle quali emerga l’evidente infondatezza
dell’accusa.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il presupposto per la
pronuncia della tale sentenza liberatoria non è dunque l’innocenza dell’imputato,
ma l’inutilità del dibattimento, anche in presenza di elementi di prova
contraddittori od insufficienti: ne consegue che il giudice deve pronunziare
sentenza di non luogo a procedere solo quando sia ragionevolmente prevedibile
che gli stessi siano destinati a rimanere tali all’esito del giudizio (Cass. Sez. 6, n.
33921 del 17/07/2012, P.C. in proc. Rolla, Rv. 253127; Sez. 2, n. 48831 del
14/11/2013 – dep. 05/12/2013, Pg in proc. Maida, Rv. 257645). Il giudice
dell’udienza preliminare deve dunque pronunciare sentenza di non luogo a
procedere nei confronti dell’imputato solo in presenza di una situazione di
innocenza tale da apparire non superabile in dibattimento dall’acquisizione di
nuovi elementi di prova o da una possibile diversa valutazione del compendio
probatorio già acquisito; e ciò anche quando, come prevede espressamente l’art.
425, comma 3, cod. proc. pen., “gli elementi acquisiti risultano insufficienti,

contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio”,
disposizione che conferma la prospettiva del giudice dell’udienza preliminare non
è l’accertamento dell’innocenza dell’imputato bensì la sostenibilità dell’accusa in
giudizio e dunque la superfluità del giudizio dibattimentale. In presenza di fonti
di prova che si prestino ad una molteplicità ed alternatività di soluzioni
3

per il rigetto del ricorso.

valutative, il giudice deve appurare se tale situazione possa essere superata
attraverso le verifiche e gli approfondimenti propri della fase del dibattimento,
senza operare valutazioni di tipo sostanziale che spettano, nella predetta fase, al
giudice naturale (Cass. Sez. 6, n. 6765 del 24/01/2014, Pmt in proc. Luchi e
altri, Rv. 258806).
3. Ritiene il Collegio che il decidente, nel pronunciare sentenza liberatoria
nei confronti dell’imputato, abbia fatto buon governo dei superiori principi ed, in
particolare, si sia mantenuto entro i limiti rimessi al sindacato del giudice in sede

Il giudicante si è invero limitato a prendere e dare atto del fatto che, sulla
scorta degli elementi raccolti nel corso delle indagini – in particolare degli opposti
contributi dichiarativi resi dalle parti in causa e della mancanza di dati fattuali
inequivocabilmente dimostrativi della validità dell’una o dell’altra tesi -, sussiste
una situazione di inadeguatezza, incompletezza ed incongruenza del materiale
probatorio acquisito ed acquisibile nello sviluppo procedimentale, tale da
rendere superfluo il giudizio dibattimentale su di una fattispecie, quale quella di
falsa testimonianza, che impone un quanto mai scrupoloso accertamento circa la
non rispondenza a verità di quanto dichiarato al giudice. Il giudice abruzzese ha
pertanto operato una valutazione di natura processuale, esplicitando, con
argomentazioni adeguate e conformi a logica, le ragioni per le quali le fonti di
prova raccolte nel corso delle investigazioni non siano univoche e si prestino a
letture alternative altrettanto plausibili, ambivalenza ragionevolmente ritenuta
non superabile nello sviluppo processuale.
4. Né il decidente avrebbe potuto giungere ad una diversa conclusione sul
punto alla luce dell’esito del giudizio celebrato innanzi al giudice del lavoro, e ciò
sia perché esso concerne circostanze di fatto diverse da quelle oggetto del
presente giudizio; sia perché il canone di valutazione che guida il sindacato del
giudice civile diverge sensibilmente da quello del giudice penale – essendo
ispirato, il primo, alla regola “del più probabile che non”, il secondo, al criterio
dell”al di là di ogni ragionevole dubbio” -, il che rende non esportabile il
pronunciamento ottenuto all’esito della causa di lavoro nel presente
procedimento.
5. Conclusivamente, ritiene il Collegio che il giudicante abbia fatto corretta
applicazione della regola di giudizio fissata nell’art. 425, comma 3, cod. proc.
pen. argomentando in modo congruo e non sindacabile in questa Sede la ragione
per la quale gli elementi raccolti dalla pubblica accusa risultano insufficienti,
contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio, e come
tale situazione di incertezza e/o incompletezza probatoria non sia suscettibile di
essere superata nello sviluppo dibattimentale.
4

di udienza preliminare.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma il 25 febbraio 2015

Il Presid nt

Il consigliere estensore

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