Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20145 del 24/04/2018


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 20145 Anno 2018
Presidente: DAVIGO PIERCAMILLO
Relatore: BORSELLINO MARIA DANIELA

SENTENZA A MOTIVAVONE
SENTENZA

Sul ricorso proposto dal
Miserino Mirko, nato il 28 febbraio 1978 a Roma, avverso la
sentenza della Corte di Appello di Roma del 31 maggio 2017
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione della causa svolta dal consigliere Maria Daniela
Borsellino;
sentite le conclusioni del Pubblico Ministero,nella persona del
Sostituto Procuratore generale Massimo Galli, che ha chiesto
dichiararsi l’inammissibilità del ricorso e dell’avv. Madeo che ha
insistito nel ricorso.

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

1.Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Roma, ha
confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Roma il 12 ottobre
2016 che ha affermato la responsabilità dell’imputato per i reati di
ricettazione e detenzione di un’arma comune da sparo con
matricola abrasa.

Data Udienza: 24/04/2018

2. Avverso la sentenza ricorre l’imputato tramite il suo difensore di
fiducia, deducendo con il primo motivo violazione di norme
processuali stabilite a pena di nullità, in quanto la corte territoriale
avrebbe confermato il diniego delle circostanze attenuanti
generiche, invocate dall’appellante, con motivazione carente,
manifestamente illogica e contraddittoria, abdicando al dovere di
argomentare sulle doglianze difensive.
In particolare il ricorrente lamenta che la corte non abbia tenuto in

giustificare la concessione dell’invocato beneficio e abbia di contro
valorizzato la circostanza che l’imputato sia stato contestualmente
attinto dalla misura custodiale sulla scorta di ordinanza del G.I.P.
per gravi reati commessi unitamente ad altre persone, avvalendosi
del metodo mafioso, assumendo in tal senso un fatto ancora privo
di riscontro giurisdizionale, trattandosi di procedimento ancora
pendente in primo grado. Afferma il ricorrente che tale elemento di
valutazione non poteva essere considerato criterio dirimente in
ordine al diniego dell’invocato beneficio non essendosi ancora
formato alcuno giudicato penale.
3.11 ricorso è manifestamente infondato.
Ed infatti dalla lettura delle sentenze di merito emerge che il
tribunale ha negato il riconoscimento delle attenuanti generiche in
ragione della gravità del fatto, atteso che la pistola era detenuta
unitamente a un cappello in lana con due fori, chiaramente
utilizzato o da utilizzare per la commissione di reati a mano
armata.
Il tribunale ha altresì fatto riferimento alla ordinanza di custodia
cautelare che ha colpito l’imputato, per meglio lumeggiare la sua
personalità.
Al riguardo occorre precisare che “Ai fini dell’applicabilità delle
circostanze attenuanti generiche il giudice, alla luce dei criteri di
determinazione della pena di cui all’art. 133 cod. pen., può
considerare i precedenti giudiziari, ancorché non definitivi, e,
pertanto, a maggior ragione può tener conto dei reati estinti.”
(Sez. 5, n. 39473 del 13/06/2013 – dep. 24/09/2013, Paderni, Rv.
25720001)
Ed infatti ai sensi del secondo comma dell’art. 133 cod. pen. i
precedenti penali e giudiziari del reo rilevano ai fini della
determinazione della capacità a delinquere del colpevole e possono

2

adeguata considerazione gli indici evidenziati dalla difesa al fine di

essere presi in considerazione per la commisurazione della pena,
sia in senso positivo che negativo.
Peraltro la corte d’appello, nel negare le invocate circostanze
attenuanti generiche, non ha fatto riferimento all’ordinanza
cautelare emessa nei confronti dell’imputato per gravi fatti di
criminalità organizzata, ma ha sottolineato come l’assenza di
precedenti condanne non possa essere, da sola, posta a
fondamento della concessione del detto beneficio e ha evidenziato

eccedenti l’ambito dell’ordinaria valutazione da effettuare secondo i
criteri dettati dall’articolo 133 cod.pen..
Si tratta in conclusione di motivazione assolutamente logica,
esaustiva e coerente con le emergenze processuali, che appare
immune dalle censure sollevate dalla difesa.
Per le considerazioni sin qui esposte, il ricorso deve essere
dichiarato inammissibile.
4.Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi
dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione
della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte cost. 13
giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene
equa, di euro duemila a favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2000 in
favore della Cassa delle ammende.
Motivazione semplificata.
Così deciso in camera di consiglio il 24 aprile 2018
Il co igliere est.

Il Pr sidente

come lo stesso difensore si fosse limitato a richiamare profili non

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