Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20140 del 06/05/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 20140 Anno 2015
Presidente: ROTUNDO VINCENZO
Relatore: CITTERIO CARLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
BOLOGNA
nei confronti di:
PERRI DANILO N. IL 02/04/1983
avverso la sentenza n. 5814/2009 GIP TRIBUNALE di BOLOGNA, del
21/09/2009
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 06/05/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. CARLO CITTERIO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. t’t
che ha concluso per 4 ., 0,,..1kmdthA_s w

Udito, per la parte ci ile, l’Avv
Uditi difensor A

Data Udienza: 06/05/2015

25046/14 RG

1

CONSIDERATO IN FATTO
1. Danilo Perri è imputato di avere illecitamente detenuto 8 kg di marijuana
(principio attivo gr. 1143,61), quantità da considerarsi ingente, in Bologna il
20.4.2009.
In esito a giudizio abbreviato il 21.9.09 il GUP di Bologna, con motivazione

applicato le attenuanti generiche, con la diminuente per il rito lo ha condannato alla
pena di quattro anni di reclusione e 16.000 euro di multa. Ad essa è pervenuto con
questo calcolo: pena base nove anni di reclusione e 36.000 euro di multa, con
duplice successiva riduzione di un terzo, per le generiche e per il rito.

2. Questa sentenza è stata appellata dal procuratore generale felsineo, con
motivo di errata esclusione dell’aggravante ex art. 80 dPR 309/90 e di
inadeguatezza per difetto della pena in concreto applicata, anche per
contraddittorietà della motivazione tra i principi di diritto indicati e la loro
applicazione al caso.
2.1 Il difensore dell’imputato ha proposto appello incidentale ex art. 595
cod.proc.pen. con motivo che deduce l’insussistenza dell’aggravante de qua e
l’eccessività della pena base.
In tempi successivi è stata depositata memoria ex art. 121 cod.proc.pen.,
anche sollecitando l’applicazione al caso degli effetti della sentenza n. 32/2014
della Corte costituzionale.

3. Con ordinanza del 22.5.14, dopo oltre quattro anni, la Corte d’appello di
Bologna, osservato che la sentenza di primo grado era stata emessa in esito a
giudizio abbreviato e ritenuto che l’impugnazione della parte pubblica non
rientrasse tra i casi soli previsti dall’art. 443.3 cod.proc.pen. e tuttavia fosse
ammissibile ai sensi dell’art. 568.5 cod.proc.pen., ha trasmesso gli atti a questa
Corte.

RAGIONI DELLA DECISIONE
4.

Correttamente la Corte di Bologna ha giudicato che nella fattispecie

(impugnazione della parte pubblica in esito a giudizio abbreviato conclusosi con
condanna, relativa alla sola esclusione di una circostanza aggravante) l’atto di

depositata lo stesso giorno ma non contestuale, dopo aver escluso l’aggravante ed

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impugnazione dovesse essere qualificato come ricorso. La parte pubblica può infatti
proporre appello anche per il solo punto della decisione relativo all’esclusione di una
circostanza aggravante contestata nell’imputazione originaria, ma solo nei casi in
cui la sentenza abbia anche modificato il titolo di reato: ciò anche quando il
pubblico ministero pure non impugni contestualmente anche il punto della decisione
relativo alla intervenuta modifica del titolo di reato. In altri termini, il mutamento
del titolo di reato nella sentenza di condanna è il presupposto indefettibile e
sufficiente per l’appello della parte pubblica, il cui contenuto può poi riguardare

tutte).

4.1

Ciò determina innanzitutto l’inammissibilità dell’appello incidentale

dell’imputato (l’impugnazione incidentale essendo istituto non generale della
disciplina delle impugnazioni ma specifico della disciplina dell’appello: art. 595
cod.proc.pen.), ancorché l’intervenuta sentenza n.32/2014 della Corte
costituzionale (oggetto di specifica memoria difensiva) per sé imponga la
rideterminazione della pena, quella detentiva base indicata dal primo Giudice (nove
anni) risultando ora illegale.

5. Allo stato il motivo di impugnazione della parte pubblica, che svolge
deduzioni di erronea applicazione dell’art. 80 dPR n. 309/90, è fondato, nei termini
che seguono.
Il GUP di Bologna muove da un presupposto condivisibile: l’idoneità
tendenziale di un ampio margine edittale per l’ipotesi base, non aggravata, a
soddisfare molte delle fisiologiche esigenze di dosimetria della pena afferenti il dato
quantitativo della sostanza stupefacente che rileva nel singolo processo, dato che,
anche in applicazione del principio costituzionale di ragionevole trattamento
differente di situazioni oggettivamente diverse, per sè impone di riservare
comunque il minimo edittale, e la sua prossimità, ai quantitativi più prossimi al
limite della rilevanza penale della condotta. Del resto, questo è stato anche
l’assunto delle successive Sezioni unite di questa Corte nella sentenza n. 36258 del
2012, RG. e Biondi, secondo la quale “al proposito, è utile osservare che, già per le
ipotesi ‘ordinarie’ (quelle non riconducibili al comma 5 dell’art. 73 che, come è noto,
prevede i casi attenuati del fatto di “lieve entità”), il legislatore ha approntato un
quadro sanzionatorio di estrema severità. Invero, la pena detentiva va da 6 a 20
anni di reclusione e quella pecuniaria da euro 26.000 a euro 260.000 di multa.
Dunque, anche in caso si ritenga insussistente l’aggravante de qua, il giudicante ha

anche la sola esclusione di una circostanza aggravante (Sez. 6 sent. 6274/2011 per

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a sua disposizione una gamma sanzionatoria, che, non solo gli consente, come è
ovvio, di graduare la pena secondo i noti criteri di cui all’art. 133 cod. pen., ma che
gli conferisce il potere – ricorrendone ovviamente i presupposti oggettivi e
soggettivi – di fornire una risposta repressiva in termini quantitativamente molto
elevati. Il limite massimo della pena edittale per il reato di cui all’art. 73 della
vigente legge sugli stupefacenti, invero, si allinea a quelli previsti per alcuni tra i più
gravi delitti”.

sostanzialmente assertivi, con riferimento al dato quantitativo, apprezzato nel suo
solo contenuto numerico relativo al peso, neppure esplicitato nell’apprezzamento
del numero di dosi ricavabili o commentato in relazione ad altra contingente
peculiarità dello specifico caso. Termini assertivi che danno conto della violazione di
legge lamentata dalla parte pubblica impugnante. Il passare del tempo tra il
momento di deliberazione della sentenza (settembre 2009) e quello in cui in
concreto la Corte d’appello ha trasmesso gli atti (maggio 2014) ha determinato
anche un almeno parziale mutamento dell’indirizzo giurisprudenziale di legittimità
sul punto dei presupposti in fatto per ritenere configurabile la circostanza
aggravante (con il sopravvenuto insegnamento delle Sezioni unite, prima
richiamato) e, da ultimo, della sentenza della Corte costituzionale n. 32/2014 di
particolare rilievo nel caso, laddove per le cosiddette droghe leggere ha ripristinato
il massimo edittale dei sei anni di reclusione (rispetto a quello di venti anni
commentato dal GUP).
Il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite, massimato nei termini che
“in tema di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti,
l’aggravante della ingente quantità, di cui all’art. 80, comma secondo, d.P.R. n. 309
del 1990, non è di norma ravvisabile quando la quantità sia inferiore a 2.000 volte il
valore massimo, in milligrammi (valore – soglia), determinato per ogni sostanza
nella tabella allegata al d.m. 11 aprile 2006, ferma restando la discrezionale
valutazione del giudice di merito, quando tale quantità sia superata”, mantiene
efficacia anche dopo la sentenza della Corte costituzionale.
Invero, il senso dell’insegnamento contenuto in tale sentenza è stato in
definitiva quello di trovare un parametro ‘convenzionale’, non arbitrario o invasivo
delle competenze del silente Legislatore laddove basato sull’esperienza
giurisdizionale dell’intero territorio nazionale, cui poter ancorare la sollecitazione ai
Giudici del merito ad un’applicazione della norma tendenzialmente omogenea
appunto su tutto il territorio nazionale, nell’ovvia ragionevole libertà
(espressamente confermata nella sentenza richiamata) dell’attenzione alle

L’affermazione del GUP risulta tuttavia allo stato motivata in termini

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peculiarità del caso ed alla possibilità di un apprezzamento specificamente
motivato: i parametri del decreto ministeriale 11.4.1996 hanno costituito pertanto
solo un dato oggettivo da cui muovere e non già il presupposto di legittimità
dell’intero ragionamento. Quei parametri, pertanto, e la loro funzione di dato
oggettivo esterno ragionevole e tecnicamente affidabile, permangono in quanto
indipendenti rispetto alla sorte formale del decreto.

6. La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata con rinvio (alla

meno della circostanza aggravante dell’ingente quantità (punto della decisione per
la cui deliberazione il Giudice del rinvio terrà conto dell’insegnamento delle
richiamate Sezioni unite); la rideterminazione della pena base, da quantificare
all’interno dei limiti edittali ripristinati dalla sentenza della Corte costituzionale.
Rimane in giudicato il punto della decisione relativo all’affermazione di colpevolezza.

P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’aggravante di cui all’art. 80
comma 2 dPR n. 309/90 e al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo giudizio
su tali punti ad altra sezione della Corte d’appello di Bologna.
Così deciso in Roma, il 6.5.2015

Corte d’appello ai sensi dell’art. 569.4 c.p.p.) su due punti: la configurabilità o

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