Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20134 del 14/04/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 20134 Anno 2015
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: CITTERIO CARLO

Data Udienza: 14/04/2015

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
MILANO
nei confronti di:
VALOTTI LAURA N. IL 30/01/1973
TERENGHI MARCO N. IL 14/12/1951
LACCHEI LINO N. IL 08/11/1953
inoltre:
VALOTTI LAURA N. IL 30/01/1973
avverso la sentenza n. 7028/2013 CORTE APPELLO di MILANO, del
09/06/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/04/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. CARLO CITTERIO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. , cit
che ha concluso per At

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CONSIDERATO IN FATTO
1. Con sentenza del 9-13.6.2014 la Corte d’appello di Milano ha, tra l’altro,
assolto perché il fatto non sussiste Laura Valotti, Marco Terenghi e Lino Lacchei dal
reato di cui agli artt. 81.2, 110, 319 e 321 c.p. (originario capo B), così riformando
la loro condanna deliberata dal Tribunale di Monza in data 30.1.2013. L’imputazione

società operante nel settore edilizio) a Terenghi (dirigente dell’ufficio tecnico del
comune di Lissone) e Valotti (architetto formalmente incaricato della redazione di
progetti in realtà curati da Terenghi) in relazione al compimento di atti contrari ai
doveri d’ufficio nella trattazione di un procedimento per la DIA relativa ad un
immobile edificato alla via Pisacane del comune di Lissone, anche garantendo l’esito
favorevole dell’intervento della commissione edilizia a seguito di un problema di
verifica del rispetto delle distanze dai confini: fatti del 2007/2008. La Corte
ambrosiana ha anche escluso la riqualificazione nel reato ex art. 323 o 318 c.p.,
dopo che il tema era stato proposto dalle stesse difese (pagg. 6, 8, 51 sent. app.).

2. Ha proposto ricorso il procuratore generale milanese. Svolte deduzioni
sull’epoca di consumazione del reato (indicata al 17.12.2007, data della dazione
della somma) e sull’infondatezza delle eccezioni in rito proposte nel processo dalle
difese Terenghi e Lacchei, il ricorrente enuncia unico motivo di violazione di legge
penale sostanziale. Deduce in particolare che nella fattispecie era pacifico in fatto
(per come ricostruito dalla stessa Corte distrettuale) che: Terenghi era stato il reale
curatore del progetto apparentemente presentato dalla Valotti per conto della
Lacchei srl; lo stesso si era attivato perché (come avvenuto) la pratica edilizia, la
cui legittimità formale era stata attestata anche dal consulente tecnico del pubblico
ministero [p. 17 e 18 sent. app.], godesse tuttavia di un iter privilegiato nei tempi
di trattazione e nell’assistenza alla stessa, preoccupandosi Terenghi dall’interno
dell’Amministrazione di rimuovere gli ostacoli anche connessi ad una modifica della
destinazione d’uso da produttiva a residenziale (pur anch’essa legittima, tuttavia
era stata prevista già dalla fase della progettazione, con la realizzazione di una
palazzina in luogo di un capannone industriale); Terenghi non si era astenuto nella
trattazione della medesima pratica e aveva ricevuto la somma indicata nel capo di
imputazione.

riguarda la somma di 2.500 euro corrisposta da Lacchei (amministratore unico di

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Con tali premesse in fatto, evincibili appunto dalla stessa sentenza impugnata,
erroneamente la Corte d’appello avrebbe giudicato insussistenti profili di illegittimità
per violazione di legge (qui richiamando il ricorrente la giurisprudenza di questa
Corte con riferimento all’art. 97 Cost. quanto al rispetto del dovere di imparzialità)
e l’ingiustizia del compenso (la specifica somma essendo retribuzione non della sua
attività quale progettista bensì delle modalità di gestione ‘interna’ preferenziale
della pratica, approfittando della sua qualità interna all’Amministrazione, anche con

3. Nell’interesse di Valotti, la difesa ha proposto atto denominato ‘ricorso per
cassazione incidentale’, che enuncia motivi di erronea applicazione della legge
processuale penale, con riferimento agli artt. 129, 220 e 603 c.p.p., e della legge
penale, con riferimento all’art. 319 c.p.; secondo il ricorrente, poi, la consumazione
del reato andrebbe ricondotta al momento dell’accordo (da individuarsi al 30.6.06 o
al 15.3.07, in relazione ai contatti ed alla corrispondenza intercorsa tra Terenghi e
le parti interessate) non della concreta dazione della somma, con la conseguente
intervenuta prescrizione del reato.

RAGIONI DELLA DECISIONE
4. Va preliminarmente rilevata l’autonoma ed assorbente inammissibilità
sistematica dell’atto di impugnazione presentato nell’interesse di Laura Valotti e
denominato dalla difesa della ricorrente “ricorso per cassazione incidentale”.
Questa Corte ha già più volte chiarito (da ultimo Sez.2 sent. 44960/2014; SU
sent. 1235/2011, punto 8.2 della motivazione)) che l’art. 584 c.p.p., il quale
prevede la notifica dell’avvenuta impugnazione alle altre parti, senza peraltro
comminare una sanzione in caso di violazione dell’obbligo, e quindi comportando
unicamente la mancata decorrenza del termine per la proposizione, da parte del
soggetto interessato, dell’eventuale appello incidentale (art. 595.1 c.p.p.), è
esclusivamente funzionale ad assicurare l’esercizio della facoltà di proposizione di
quest’ultimo. Il vigente sistema delle impugnazioni non prevede, invece, una
corrispondente facoltà di proposizione incidentale del ricorso per cassazione (cfr.,
nei medesimi termini, Sez. 6 sent. 30980/ 2007, in motivazione), né per il giudizio
di cassazione (come si evince dall’espressa previsione per il solo giudizio di appello
dell’art. 595.1 c.p.p.), nè per il procedimento incidentale avente ad oggetto le
misure cautelari ( SU 1235/2011 cit.).

le concrete attività ricordate nella nota 1 del testo).

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La proposta impugnazione incidentale è pertanto inammissibile. Né, essendo
stata depositata comunque oltre i termini utili al ricorso ordinario, può essere
riqualificata in tal senso.
L’atto ha pertanto efficacia di mera memoria ex art. 121 c.p.p., limitatamente
alle deduzioni contenute nel secondo motivo e in ordine alla prescrizione.
La Valotti va pertanto condannata al pagamento delle spese processuali e

5. Il ricorso della parte pubblica va dichiarato inammissibile.
Ricordato che il ricorso riguarda il solo capo B (il reato di cui al capo A
essendo stato dichiarato prescritto), risulta assorbente il rilievo che con specifica
motivazione la Corte d’appello ha escluso esservi prova che la somma di 2.500 euro
(sola indicata nel capo di imputazione e giudicata effettivamente consegnata) fosse
prezzo di corruzione piuttosto che parte della retribuzione che Lacchei
corrispondeva al tecnico comunale Terenghi (che aveva in concreto predisposto il
progetto) ed all’arch. Valotti (professionista apparente autonoma curatrice formale
dello stesso ed invece “esecutrice prettamente materiale delle idee del Terenghi”,
pagg. 5, 42, 48-50) proprio e solo per l’attività svolta: Lacchei e Valotti sono
interessati al solo capo B.
La Corte distrettuale ricostruisce la vicenda relativa all’immobile di via
Pisacane da p. 40 e in particolare i rapporti economici tra Terenghi, Valotti e
Lacchei (p. 45 e 46) secondo una ripartizione del compenso che vede nove parti a
Terenghi e una alla Valotti; a p. 47 la Corte dì conto della conversazione telefonica
nella quale Lacchei parlando con Terenghi chiede se i soldi alla Valotti deve darli
direttamente o se ci pensa Terenghi e, successivamente (p. 51), esclude esservi
prova agli atti che Terenghi abbia percepito compensi ulteriori a quello pattuito per
l’attività professionale effettivamente svolta (da Terenghi con l’apporto formale, e in
concreto nninimale, di Valotti). Da qui la conclusione che manca la prova di un
rapporto corruttivo e che comunque l’irregolare prestazione professionale non può
essere ricondotta al delitto di abuso d’ufficio (p. 51).
Il ricorso attacca la ricostruzione in fatto della Corte d’appello sulle ragioni
della dazione della somma in termini solo assertivi: nella terza pagina (l’atto di
impugnazione non reca numerazione dei singoli fogli) la parte pubblica afferma che,
invece, il parametro della parcella sarebbe stato solo lo spunto per quantificare il
prezzo della corruzione, non sussistendo alcuna retribuzione per attività
professionale, sia pure illegittima. Ma si tratta, appunto, di censura al tempo stesso
in fatto e generica (che tra l’altro non affronta in tale diversa ricostruzione il ruolo

della somma, equa al caso, di euro 500 alla Cassa delle ammende.

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della Valotti e le problematiche della sua consapevolezza quale concorrente esterna
nel reato proprio). In particolare nessuna argomentazione sull’insostenibilità logica
della ricostruzione operata dalla Corte d’appello (e nel ristretto ambito solo
permesso dalla lettera E dell’art. 606.1 c.p.p.) è contenuta nel ricorso (che lamenta
l’inosservanza della legge penale), che si risolve in doglianza di merito e del tutto
generica.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna Valotti Laura al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 500 alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 14.4.2015

P.Q.M.

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