Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20129 del 11/04/2018


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 20129 Anno 2018
Presidente: DAVIGO PIERCAMILLO
Relatore: RECCHIONE SANDRA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
VISIELLO MICHELE nato il 04/01/1964 a TORRE ANNUNZIATA

avverso la sentenza del 15/02/2017 della CORTE APPELLO di PERUGIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere SANDRA RECCHIONE
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore STEFANO TOCCI
che ha concluso per il rigetto del ricorso
Udito il difensore G. ARICO’ che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

Data Udienza: 11/04/2018

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Perugia rigettava l’istanza di revisione della sentenza di
condanna a 14 anni di reclusione pronunciata nei confronti del Visiello per il reato
di

tentato omicidio ai danni dell’Amoruso Vincenzo, fatto aggravato dal

riconoscimento della recidiva e dell’aggravante prevista dall’art. 7 del d.l. n. 152
del 1991.

condannato che deduceva:
2.1. vizio di legge e di motivazione: la sentenza impugnata, nel decidere
l’infondatezza dell’istanza, non avrebbe rispettato il criterio di valutazione
dell’oltre ogni ragionevole dubbio”; non sarebbe stato valutato il fatto che le
dichiarazioni liberatorie del Sentiero, collaboratore di giustizia, sebbene fossero
de relato, avevano una maggiore capacità dimostrativa di quelle provenienti dal
del teste diretto (Malvone) presente ai fatti; si deduceva infatti che il Malvone
nutriva sentimenti di rancore nei confronti del Sentiero e, comunque, non avrebbe
potuto confermare i contenuti riferiti de relato dal collaboratore senza rendere
gravi dichiarazioni accusatorie nei confronti di suoi parenti, comportamento
ritenuto “inesigibile”. Nella prospettiva del ricorrente la Corte avrebbe dovuto
pertanto assegnare piena capacità dimostrativa alle dichiarazioni del Sentiero
svalutando la attendibilità delle dichiarazioni dibattimentali del teste diretto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.11 ricorso è inammissibile.
1.1. In materia di vizio di motivazione il collegio ribadisce che il sindacato del
giudice di legittimità deve essere volto a verificare che quest’ultima: a) sia
“effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante
ha posto a base della decisione adottata; b) non sia “manifestamente illogica”,
perché sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da
evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente
“contraddittoria”, ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse
parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti
logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo” (indicati in termini specifici
ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso) in misura tale
da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (Cass. sez. 1,
n. 41738 del 19/10/2011, Rv. 251516); segnatamente: non sono deducibili
censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua
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2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore del

manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio
ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali
ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le
doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore
o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che
sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle
diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti
sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria

Tale limitazione del perimetro di deducibilità del vizio di motivazione impedisce
alla Cassazione la valutazione alternativa delle prove, essendo consentita solo la
valutazione della “tenuta” del ragionamento posto alla base dell’accertamento di
responsabilità. La motivazione, tuttavia, deve rispettare le regole di valutazione
previste dal codice, tra le quali, è compresa, nel caso di condanna anche quella
del rispetto del “criterio generalissimo” del superamento di ogni “ragionevole
dubbio”, ovvero del parametro indicato dal legislatore del 2006 come guida
ineludibile per il giudizio che si risolve

in una condanna, la cui matrice

costituzionale è stata rinvenuta nella presunzione di innocenza (cosi Cass. sez.
un. n. 18620 del 19 gennaio 2017, Patalano; Cass. Sez. un n. 14800 del 21
dicembre 2017, dep. 3 aprile 2018, Troise, allo stato non massimata).
Il mancato rispetto di tale regola di valutazione (come anche di quella indicata
nell’art. 192 cod. proc. pen) non può, tuttavia, essere tradotto nella invocazione
di una diversa valutazione delle fonti di prova, ovvero di un’attività di valutazione
del merito della responsabilità esclusa dal perimetro della giurisdizione di
legittimità. La violazione di tale regola può invece essere invocata solo ove precipiti
in una illogicità manifesta e decisiva del tessuto motivazionale, dato che oggetto
del giudizio di cassazione non è la valutazione (di merito) delle prove, ma la tenuta
logica della sentenza di condanna.
Non ogni “dubbio” sulla ricostruzione probatoria fatta propria dalla Corte di merito
si traduce infatti in una “illogicità manifesta”, essendo necessario che sia rilevato
un vizio logico che incrini, in modo severo, la tenuta della motivazione,
evidenziando una frattura logica non solo “manifesta”, ma anche “decisiva”, in
quanto essenziale per la tenuta del ragionamento giustificativo della condanna.
Si ritiene cioè che il parametro di valutazione indicato nell’art. 533 cod. proc. pen.
che richiede che la condanna sia pronunciata se è fugato ogni “dubbio ragionevole”
opera in modo diverso nella fase di merito e in quella di legittimità: solo innanzi
alla giurisdizione di merito tale parametro può essere invocato per ottenere una
valutazione alternativa delle prove; diversamente in sede di legittimità tale regola
rileva solo nella misura in la sua inosservanza si traduca in una manifesta illogicità
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del singolo elemento (Cass. sez. 6 n. 13809 del 17/03/2015, Rv. 262965).

del tessuto motivazionale. Infatti può essere sottoposta al giudizio di cassazione
solo la tenuta logica della motivazione, ma non la capacità dimostrativa delle
prove, ove le stesse siano state legittimamente assunte; l’apprezzamento della
capacità dimostrativa delle singole prove, come anche dei complessi indiziari è
attività tipica ed esclusiva della giurisdizione di merito e non può essere in alcun
modo devoluta alla giurisdizione di legittimità se non nei limitati casi in cui si
deduca, e si alleghi, un travisamento. Diversamente, in sede di legittimità la
violazione delle regole di valutazione delle prove e, segnatamente, del criterio

illogicità manifesta del percorso argomentativo.
In sintesi: la “regola b.a.r.d.” (acronimo anglosassone: “beyond any reasonable
doubt”) in sede di legittimità rileva solo se la sua violazione “precipita” in una

illogicità manifesta e decisiva del tessuto motivazionale, l’unico ad essere
sottoposto al vaglio di un organo giurisdizionale che non ha alcun potere di
valutazione autonoma delle fonti di prova. La nuova o diversa valutazione delle
prove può, invece, essere invocata nei gradi di merito, quando il rispetto del
criterio dell'”oltre ogni ragionevole dubbio” non incontra il limite funzionale che
caratterizza il giudizio di cassazione (Cass. Sez. 2, n. 28957 del 03/04/2017 – dep.
09/06/2017, D’Urso e altri, Rv. 270108).
1.2. Con specifico riguardo al giudizio di revisione si precisa inoltre che la
valutazione giudiziale delle nuove prove di cui all’art. 630, lett. c), cod. proc. pen.,
(costituite, nella specie, da testimonianze), non può prescindere dal complesso
degli elementi – processualmente utilizzabili – già accertati nel giudizio precedente
alla revisione, al fine di saggiarne e compararne la resistenza rispetto alle prove
sopravvenute o scoperte dopo la condanna (Cass. Sez. 5, n. 38276 del 19/02/2016
– dep. 15/09/2016, Dorigo, Rv. 267786). Tale peculiare struttura del giudizio di
revisione non sottrae lo stesso al rispetto della regola di giudizio dell'”oltre ogni
ragionevole dubbio”, essendo comunque in predicato una valutazione che si risolve
nella conferma di un giudizio di condanna. Si ribadisce cioè che ai fini dell’esito
positivo del giudizio di revisione, la prova nuova deve condurre all’accertamento in termini di ragionevole sicurezza – di un fatto la cui dimostrazione evidenzi come
il compendio probatorio originario non sia più in grado di sostenere l’affermazione
della penale responsabilità dell’imputato oltre ogni ragionevole dubbio (Cass. Sez.
5, n. 24682 del 15/05/2014 – dep. 11/06/2014, Ghiro, Rv. 260005).
L’operatività del criterio valutativo delroltre ogni ragionevole dubbio” tuttavia
patisce in sede di legittimità, anche quando si veda in tema di revisione i limiti
di operatività già segnalati: si ribadisce cioè che la valutazione del rispetto di tale
criterio non può spingersi fino a trasformare il giudizio di cassazione in un giudizio
di merito finalizzato all’apprezzamento della tenuta delle valutazioni alternative
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indicato dall’art. 533 cod. proc. pen. è invocabile solo quando precipiti in una

delle prove raccolte, ma deve rispettare i limiti della devoluzione in sede di
legittimità e, dunque, può essere considerato solo ove il mancato rispetto dello
stesso si traduca in un vizio del tessuto motivazionale qualificabile come “illogicità
manifesta”.
1.3. Nel caso di specie si proponeva in sede di legittimità una lettura alternativa
delle prove, senza indicare vizi logici manifesti e decisivi dell’ordito motivazionale.
Segnatamente si riteneva che il contenuto della testimonianza del teste diretto
dovesse essere svalutato rispetto a quello proveniente dal teste de relato.

di contrasto tra quanto riferito dai testi “de relato” e dalla fonte da essi indicata, è
legittima l’attribuzione, in esito ad esauriente verifica, di maggiore veridicità alle
dichiarazioni dei primi, in quanto l’art. 195 cod. proc. pen. non stabilisce al
riguardo alcuna gerarchia, ma prevede solo l’obbligo, a impulso di parte, di
escussione giudiziaria della fonte diretta (Cass. Sez. 1, n. 1717 del 21/12/1999 dep. 14/02/2000, P.G.in proc. Modeo e altro, Rv. 215342; Cass. Sez. 6, n. 26027
del 05/03/2004 – dep. 09/06/2004, Pulcini, Rv. 229967).
Tuttavia, sebbene in astratto sia legittima l’attribuzione di prevalente capacità
dimostrativa alle dichiarazioni indirette rispetto a quelle dirette, nel caso di specie,
contrariamente a quanto dedotto, la Corte territoriale forniva ampia ed esaustiva
giustificazione in ordine alla valutazione di attendibilità dei contenuti dichiarativi
dei testi decisivi ovvero del Sentiero e del Malvone.
Segnatamente: in coerenza con le indicazioni difensive, il collegio di merito ha
ritenuto la piena attendibilità del Sentiero (teste indiretto) e la critica attendibilità
de Malvone (teste diretto); la Corte ha tuttavia rilevato che tale preliminare
valutazione si ripercuote anche sulla credibilità delle dichiarazioni extragiudiziali
del Malvone, ovvero sulla fonte del dichiarato del Sentiero; tali dichiarazioni,
secondo la valutazione dei giudici di merito potevano, a loro volta, essere state
influenzate dalle tensioni della faida in corso e, dunque, si presentavano anch’esse
di critica attendibilità (pag 8 della sentenza impugnata).
A ciò si aggiunge che, nella lettura della Corte territoriale, sarebbe decisiva la
conversazione intercettata in ambientale, nel corso della quale l’Amoruso, vittima
del tentato omicidio riferiva al padre detenuto che il Vitiello, odierno ricorrente,
era l’autore del grave pestaggio che aveva patito (pag. 9 della sentenza
impugnata).
Si tratta di una motivazione che non presenta vizi logici e non risulta incisa dalle
doglianze difensive, che si risolvono nella invocazione di una inammissibile lettura
alternativa delle prove senza che sia indicato un vizio logico decisivo del percorso
motivazionale idoneo ad integrare la manifesta illogicità del tessuto logico del

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Sul punto si precisa che il collegio condivide la giurisprudenza secondo cui in caso

provvedimento, ovvero dell’unico vizio della motivazione che unitamente al
travisamento della prova può essere dedotto in sede di legittimità.

2.Alla dichiarata inammissibilità del ricorso consegue, per il disposto dell’art. 616
cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali
nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che si
determina equitativamente in C 2000,00.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 2000.00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il giorno 11 aprile 2018

L’estensore

Il Presidente

P.Q. M.

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