Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20125 del 10/04/2018


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 20125 Anno 2018
Presidente: DAVIGO PIERCAMILLO
Relatore: RECCHIONE SANDRA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
APICE GIANCARLO nato il 07/02/1980 a REGGIO CALABRIA
FRANCO ANGELO RENATO nato il 30/05/1952 a CAMPO CALABRO

avverso la sentenza del 05/06/2017 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere SANDRA RECCHIONE
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore GIUSEPPINA
CASELLA che ha concluso per il rigetto del ricorso di Franco Angelo Renato e
l’inammissibilità del ricorso di Apice Giancarlo
Lavv. Leonardo Maria in difesa della parte civile deposita conclusioni e nota
spese
L’avv. F. Calabrese, per entrambi gli imputati, conclude per l’accoglimento del
ricorso

Data Udienza: 10/04/2018

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Reggio Calabria, riformando parzialmente la sentenza
emessa all’esito della celebrazione del giudizio abbreviato dal giudice per l’udienza
preliminare di Reggio Calabria, confermava le condanne inflitte in primo grado
agli imputati per i reati usura ed estorsione.

2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l’avv. Gaetano Vizzari,

2.1. vizio di legge e di motivazione con riguardo alla condanna per il reato di usura
consumata ai danni dello Scaramuzzino: mancherebbero conferme alle
dichiarazioni accusatorie della parte civile, non rinvenibili né nel contenuto delle
intercettazioni, né negli appunti prodotti dal dichiarante;
2.2. vizio di legge e di motivazione in relazione alla condanna per l’usura
consumata ai danni del Focà: le intercettazioni poste a sostegno della decisione
avrebbero un contenuto generico e non risulterebbero confortate da alcun ulteriore
elemento;
2.3. vizio di legge e di motivazione in relazione alla condanna per il reato di
estorsione ai danni dello Scaramuzzino: non sarebbe stata provata l’esistenza della
minaccia, dato che dal contenuto delle intercettazioni non sarebbe emerso l’effetto
costrittivo della condotta contestata;
2.3. vizio di legge e di motivazione in relazione al riconoscimento della
responsabilità per il reato di tentata estorsione ai danni dello Scaramuzzino: la
Corte di appello avrebbe fatto rinvio alle valutazioni del Tribunale facendo uso della
tecnica per relationem senza prendere in considerazione gli argomenti proposti
dalla difesa con l’atto di impugnazione, che invocava l’inquadramento del fatto
nella fattispecie prevista dall’art. 393 cod. pen.

3. Ricorreva per cassazione Francesco Calabrese, difensore di Apice Giancarlo che
deduceva:
3.1. vizio di legge: la Corte di appello aveva posto a fondamento della decisione
la testimonianza della persona offesa nonostante questa avesse reso
dichiarazioni autoindizianti (relative al fatto di avere sporto una falsa denuncia di
smarrimento degli assegni), che avrebbe dovuto imporre l’interruzione del verbale
e l’inutilizzabilità delle dichiarazioni secondo quanto previsto dall’art. 63 cod. proc.
pen.;
3.2. vizio di legge e di motivazione: i contenuti accusatori provenienti dalla parte
civile non sarebbe confortati da altri elementi di prova; inoltre: non sarebbe

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difensore di Apice Giancarlo che deduceva:

stato effettuato il vaglio dell’attendibilità soggettiva del dichiarante che vantava
un interesse patrimoniale correlato alla costituzione di parte civile;
3.3. vizio di legge e di motivazione relativamente al diniego di concessione delle
circostanze attenuanti generiche.

4. Ricorreva per cassazione il difensore di Franco Angelo Renato che deduceva:
4.1. vizio di legge e di motivazione (ribadito con il quinto motivo di ricorso).
sarebbero state utilizzate per la decisione dichiarazioni acquisite prima della

dell’avviso ex art. 415 bis cod. proc. pen. bensì solo nel corso dell’udienza
preliminare; tali dichiarazioni sarebbero inutilizzabili in quanto non sarebbero
inquadrabili come indagini suppletive dato che erano a disposizione dl pubblico
ministero prima della chiusura dell’indagine e la loro ritardata ostensione avrebbe
leso il diritto di difesa;
4.2. vizio di legge e di motivazione in relazione alla valutazione di credibilità dei
contenuti accusatori provenienti dalla persona offesa costituita parte civile: la
Corte territoriale avrebbe ritenuto che la testimonianza della persona offesa fosse
confermata dal contenuto delle conversazioni intercettate, nonostante la
captazione riguardasse lo stesso offeso e vi fosse il dubbio che questi conoscesse
l’attività di intercettazione come emergerebbe dalla conversazione con la
Bellantone registrata il 13 giugno 2014; inoltre: non sarebbe stata data risposta
ai rilievi difensivi che avrebbero messo in luce l’inconciliabilità degli elementi
emersi dalle intercettazioni con la pretesa esistenza di un rapporto usuraio;
segnatamente si rilevava che era emerso che il ricorrente aveva negato ulteriori
prestiti allo Scaramuzzino per carenza di liquidità, circostanza che sarebbe
incompatibile con la ritenuta attività di usura (IMPLICITO NON RILEVANTE);
4.3. vizio di legge e di motivazione in relazione all’accertamento di responsabilità
per il reato di usura: mancherebbe prova sia della corresponsione degli interessi,
che della dazione di assegni a garanzia; inoltre sarebbe carente la motivazione in
ordine all’elemento soggettivo;
4.4. vizio di legge e di motivazione in relazione all’accertamento di responsabilità
per il reato di estorsione ai danni dello Scaramuzzino: mancherebbe la prova della
minaccia in quanto il versamento degli assegni a garanzia del rapporto usuraio
potrebbe al più essere considerato un correlato del rapporto usuraio; si ribadiva
inoltre l’assenza di conferme alle dichiarazioni rese dalla persona offesa.
4.5. vizio di legge e di motivazione nella valutazione delle dichiarazioni de relato
dello Scaramuzzino relativamente all’usura ai danni del Santoro: con riguardo al
prestito concesso al Santoro, lo Scaramuzzino dichiarava che la sua fonte

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conclusione delle indagini, ma non depositate contestualmente alla notifica

conoscenza era proprio l’imputato, il che avrebbe dovuto incidere sulla valutazione
di attendibilità considerata l’insondabilità della fonte diretta;
4.6. vizio di legge e di motivazione in relazione alla valutazione di attendibilità
delle dichiarazioni del Santoro: non sarebbe stato considerato il rapporto di
amicizia che legava il dichiarante all’imputato, né sarebbero state valutate le
doglianze proposte in merito con l’atto di appello;
4.7 vizio di legge e di motivazione in relazione al diniego delle circostanze
attenuanti generiche che sarebbe stato giustificato sulla base degli stessi elementi

4.8. vizio di legge e di motivazione: non sarebbe stato motivato il riconoscimento
dello stato di bisogno dell’offeso e dunque dell’aggravante prevista dall’art. 644
comma 5 n. 3) cod. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.11 ricorsi proposti nell’interesse di Apice Giancarlo sono inammissibili.
1.1. Il primo motivo di ricorso proposto dall’avv. Vizzari ed il secondo proposto
dall’avv. Calabrese diretti a contestare la valutazione di credibilità dei contenuti
accusatori tratti dalle dichiarazioni della parte civile Scaramuzzino sono entrambi
manifestamente infondati.
La Corte di legittimità ha infatti chiarito che le regole dettate dall’art. 192, comma
terzo, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le
quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione
di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea
motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità
intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e
rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi
testimone (in motivazione la Corte ha altresì precisato come, nel caso in cui la
persona offesa si sia costituita parte civile, può essere opportuno procedere alla
conferma di tali dichiarazioni con altri elementi: Cass. sez. U, n. 41461 del
19/07/2012, Rv. 253214).
Come si evince dal tessuto motivazionale della richiamata pronuncia delle Sezioni
unite, la circostanza che l’offeso si sia costituito parte civile non attenua il valore
probatorio delle dichiarazioni rendendo la testimonianza assimilabile a quella del
dichiarante “coinvolto nel fatto”, che soggiace alla regola di valutazione indicata
dall’art. 192 comma 3 cod. proc. pen, ma richiede solo un controllo di attendibilità
particolarmente penetrante, finalizzato ad escludere la manipolazione dei
contenuti dichiarativi in funzione dell’interesse patrimoniale vantato.

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utilizzati per commisurare la pena con violazione del ne bis in idem sostanziale.

La Corte di Cassazione, peraltro, anche quando prende in considerazione la
possibilità di valutare l’attendibilità estrinseca della testimonianza dell’offeso
attraverso la individuazione di “conferme”, si esprime in termini di “opportunità”
e non di “necessità”, lasciando al giudice di merito un ampio margine di
apprezzamento circa le modalità di controllo della attendibilità nel caso concreto.
Le Sezioni unite hanno infatti affermato che «può essere opportuno procedere al
riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi qualora la persona offesa si sia
anche costituita parte civile e sia, perciò, portatrice di una specifica pretesa

dell’imputato» (nello stesso senso Cass. Sez. 1, n. 29372 del 24/06/2010,
Stefanini, Rv. 248016; Cass. Sez. 6, n. 33162 del 03/06/2004, Patella, Rv.
229755). A ciò si aggiunge che costituisce principio incontroverso nella
giurisprudenza di legittimità l’affermazione che la valutazione della attendibilità
della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una
propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può
essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in
manifeste contraddizioni (ex plurimis Sez. 6, n. 27322 del 2008, De Ritis, cit.; Sez.
3, n. 8382 del 22/01/2008, Finazzo, Rv. 239342; Sez. 6, n. 443 del 04/11/2004,
dep. 2005, Zamberlan, Rv. 230899; Sez. 3, n. 3348 del 13/11/2003, dep. 2004,
Pacca, Rv.227493; Sez. 3, n. 22848 del 27/03/2003, Assenza, Rv. 225232).
Sviluppando tali indicazioni ermeneutiche può affermarsi che anche quando la
persona offesa sia costituita parte civile non sussiste un obbligo del giudice di
verifica dell’attendibilità estrinseca attraverso la necessaria individuazione di
conferme esterne al dichiarato; il ricorso a tale controllo si rende tuttavia
opportuno ogni volta che l’analisi di attendibilità intrinseca del dichiarante e la
conseguente proiezione di tale valutazione su quella di credibilità dei contenuti
dichiarativi rilevanti per la decisione non si ritenga idonea, in relazione al caso
concreto, a consentire da sola l’apprezzamento della credibilità dei contenuti
della testimonianza.
Nel caso di specie in coerenza con tali indicazioni la Corte di appello, ribadendo la
valutazione del Tribunale, riteneva la piena attendibilità dello Scaramuzzino
rilevando come la sua testimonianza trovasse precise conferme negli appunti del
suo diario e nel contenuto delle intercettazioni (valutazione ribadita tra l’altro a
pag. 19 della sentenza impugnata).
Si tratta di una valutazione di merito, coerente sia con le emergenze processuali
che con le indicazioni ermeneutiche fornite dalla Corte di legittimità che non
presenta alcun vizio logico e si sottrae pertanto ad ogni censura in questa sede.
1.2. Il secondo ed il terzo dei motivi di ricorso proposti dall’avv. Vizzari
nell’interesse di Apice Giancarlo sono inammissibili in quanto si risolvono nella
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economica la cui soddisfazione discenda dal riconoscimento della responsabilità

richiesta di un valutazione alternativa delle prove, senza l’indicazione di vizi
manifesti e decisivi del percorso motivazionale posto a sostegno della decisione.
Il collegio in materia di vizio di motivazione ribadisce che il sindacato del giudice
di legittimità sulla motivazione del provvedimento impugnato deve essere volto a
verificare che quest’ultima: a) sia “effettiva”, ovvero realmente idonea a
rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata;
b) non sia “manifestamente illogica”, perché sorretta, nei suoi punti essenziali, da
argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della

incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni
in essa contenute; d) non risulti logicamente “incompatibile” con “altri atti del
processo” (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a
sostegno del ricorso) in misura tale da risultarne vanificata o radicalmente inficiata
sotto il profilo logico (Cass. sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011, Rv. 251516);
segnatamente: non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione
diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua
contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o
affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione
del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la
persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa
illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente
comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano
ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della
credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Cass. sez.
6 n. 13809 del 17/03/2015, Rv. 262965).
Nel caso di specie, contrariamente a quanto dedotto, la Corte territoriale
effettuava una accurata valutazione delle dichiarazioni del Focà, confermando il
precedente apprezzamento del Tribunale e rilevava, da un lato, la attendibilità
soggettiva del dichiarante che trovava conferma nella mancata emersione di
motivi di rancore che avrebbero potuto sostenere la valutazione di
inverosimiglianza dei contenuti accusatori e, dall’altro, l’emersione di una
conferma indiretta a tale valutazione nel contenuto della conversazione registrata
al progressivo n. 4454 del 6 maggio 2104 (pag. 29 della sentenza impugnata).
Inoltre contrariamente a quanto dedotto la Corte non si sottrae alla valutazione
dell’effetto costrittivo della condotta minatoria imputata all’Apice ed effettuava una
accurata valutazione di merito in ordine alle modalità della condotta emergenti
dagli atti, ritenendola pacificamente diretta ad estorcere un ingiusto profitto (pag.
17 della sentenza impugnata). Sull’innesto dell’attività estorsiva su una
precedente attività di usura il collegio ribadisce che Sussiste il concorso reale dei
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logica; c) non sia internamente “contraddittoria”, ovvero esente da insormontabili

reati di usura e di estorsione se il soggetto attivo, in un momento successivo al
fatto usurario, eserciti sulla vittima violenza o minaccia al fine di ottenere i
concordati interessi o altri vantaggi usurari che il soggetto passivo non possa o
non voglia più corrispondere (Cass. sez. 2, n. 6918 del 25/01/2011 – dep.
23/02/2011, Ravese, Rv. 249399; Sez. 2, n. 5231 del 14/01/2009 – dep.
05/02/2009, Durdevic e altri, Rv. 243283).
Anche in questo caso la motivazione offerta non si presta, pertanto, ad alcuna
censure risultando priva di vizi logici e coerente con le emergenze processuali.

l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese senza garanzie dallo Scaramuzzino
nonostante la presenza di contenuti autoindizianti è manifestamente infondato.
Sul punto il collegio ribadisce che le dichiarazioni rese innanzi alla polizia giudiziaria
da una persona non sottoposta ad indagini, ed aventi carattere autoindiziante, non
sono utilizzabili contro chi le ha rese ma sono pienamente utilizzabili contro i terzi,
in relazione ai quali non opera la sanzione processuale di cui all’art. 63, comma
primo, cod. proc. pen. (in materia cautelare: Cass. sez. 2, n. 30965 del
14/07/2016 – dep. 20/07/2016, Di Giacomo ed altri, Rv. 267571; in materia di
giudizio abbreviato: Cass. Sez. 6, n. 29535 del 02/07/2013 – dep. 10/07/2013,
Oppolo e altro, Rv. 256151).
Il collegio non ignora il principio di diritto espresso dalle sezioni unite secondo cui
in tema di prova testimoniale, il mancato avvertimento di cui all’art. 64, comma
terzo, lett. c), cod. proc. pen., all’imputato di reato connesso o collegato a quello
per cui si procede, che avrebbe dovuto essere esaminato in dibattimento ai sensi
dell’art. 210, comma sesto, cod. proc. pen., determina la inutilizzabilità della
deposizione testimoniale resa senza garanzie (Cass. sez. U, n. 33583 del
26/03/2015 – dep. 29/07/2015, Lo Presti e altri, Rv. 264479); né l’altrettanto
rilevante approdo ermeneutico secondo cui il soggetto che riveste la qualità di
imputato in procedimento connesso ai sensi dell’art. 12, comma primo lett. c),
cod. proc. pen. o collegato probatoriamente, anche se persona offesa dal reato,
deve essere assunto nel procedimento relativo al reato connesso o collegato con
le forme previste per la testimonianza cosiddetta “assistita” (Cass. sez. U, n.
12067 del 17/12/2009 – dep. 29/03/2010, De Simone e altro, Rv. 246375): tali
sentenze si riferiscono, tuttavia, alla testimonianza dibattimentale ma non
incidono sul regime di utilizzabilità delle dichiarazioni predibattimentali nei riti a
prova contratta che si fondano sull’utilizzo delle testimonianze cartolari raccolte in
fase investigativa; in questi casi il regime di utilizzabilità è definito dall’art. 63 cod.
proc. pen. che, nei casi i cui emergano dichiarazioni autoindizianti consente
l’utilizzo delle informazioni solo erga alios.

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1.3. Il motivo di ricorso (il primo proposto dall’avv. Calabrese) che deduce

La Corte territoriale, in coerenza con tali linee ermeneutiche, riteneva utilizzabili
le dichiarazioni etroaccusatorie dello Scaramuzzino (pag. 8 della sentenza
impugnata). Si tratta di decisione coerente con le indicazioni fornite dalla corte d
legittimità che non si presta ad alcuna censura in questa sede.
1.3. Infine: è manifestamente infondato il motivo di ricorso proposto dall’avv.
Calabrese con il quale si contesta la legittimità della mancata concessione delle
circostanze attenuanti generiche.
Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è

sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia
riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o
superati tutti gli altri da tale valutazione (Cass. Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010
Rv. 248244; Cass. Sez. 1^ sent. n. 3772 del 11.01.1994 dep. 31.3.1994, rv
196880). La concessione delle attenuanti generiche richiede infatti
l’apprezzamento di elementi positivi che orientino la discrezionalità affidata al
giudice nella definizione del trattamento sanzionatorio verso l’attribuzione di una
sanzione meno afflittiva.
Nel caso di specie, in coerenza con tali linee ermeneutiche, la Corte territoriale
rilevava la presenza di elementi ostativi alla concessione dell’invocato beneficio
desumibili dalla biografia criminale dell’imputato e dalla gravità dei fatti in
contestazione (pag. 38 della sentenza impugnata).

2. Il ricorso proposto nell’interesse del Franco Angelo Renato è infondato.
2.1. Il motivo che contesta l’utilizzabilità per il giudizio delle dichiarazioni dello
Scaramuzzino, disponibili fin dal momento in cui veniva notificato l’avviso di
conclusione delle indagini preliminari, ma ostese solo nel corso dell’udienza
preliminare (prima della scelta di accesso al rito abbreviato) è infondato.
Sul tema si registra un orientamento giurisprudenziale sufficientemente
consolidato secondo cui l’omissione del deposito di atti dell’indagine preliminare,
contestualmente alla notifica dell’avviso di conclusione prescritto dall’art. 415 bis
cod. proc. pen., comporta l’inutilizzabilità degli atti stessi, ma non la nullità della
successiva richiesta di rinvio a giudizio e del conseguente decreto che dispone il
giudizio (Cass. Sez. 4, n. 7597 del 08/11/2013 – dep. 18/02/2014, Stuppia e altri,
Rv. 259121; Cass. Sez. 3, n. 8049 del 11/01/2007 – dep. 27/02/2007, Santagata
e altro, Rv. 236102).
Si tratta di un orientamento che inquadra fa discendere dalla omessa ostensione
la “inutilizzabilità” della fonte di prova, patologia, che secondo la stessa
giurisprudenza non è rilevabile nei casi in cui l’atto sia stato acquisito in un fase

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necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o

successiva a quella che si apre con la notifica dell’avviso ex art. 415 bis cod. proc.
pen. e si conclude con la richiesta di rinvio a giudizio, ovvero nell’esercizio dei
poteri di indagine integrativa previsti dall’art. 419 comma 2 cod. proc. pen. e
suppletiva previsti dall’art. 430 cod. proc. pen. tanto più quando si tratta di atti
acquisiti “da altri procedimenti”, (Cass. sez. 5, n. 8353 del 16/01/2013 – dep.
20/02/2013, Fiare’ e altri, Rv. 254714).
La scelta di ritenere che l’ostensione intempestiva di un elemento di prova si
riverberi sulla utilizzabilità dell’atto non è condivisa dal collegio. Si ritiene infatti

sanzionare, come nel caso di specie, la violazione del diritto di difesa discendente
dall’incisione delle prerogative difensive correlate ad una determinata fase
processuale. Ebbene: il deposito intempestivo di un elemento di prova incide
proprio sul diritto di difesa, nella misura in cui impedisce all’indagato di esercitare
i diritti correlati alla notifica dell’avviso dì conclusione delle indagini preliminari.
La lesione delle prerogative difensive trova il suo strumento generale di tutela
nella categoria della nullità generale a regime intermedio, disciplinata dagli artt.
178 e ss. cod. proc. pen., che, ove sia riconosciuta, non si risolve nella
eliminazione dell’atto dal compendio probatorio, ma piuttosto, in una restituzione
delle garanzie difensive, con (eventuale) regressione del procedimento alla fase in
cui si è verificata la lesione e riedizione della sequenza procedimentale corretta.
La dichiarazione di inutilizzabilità, di contro, si risolve nella definitiva eliminazione
dal compendio probatorio di elementi di prova assunti in contrasto con divieti di
legge (art. 191 cod. proc. pen.) e produce la estrema conseguenza delle
eliminazione della prova viziata dal patrimonio conoscitivo utlilizzabile per la
decisione; si si tratta di un evento patologico “residuale” che non è stata
riconosciuto nè nei casi di prova raccolta in modo irregolare (in materia di
testimonianza: Cass. Sez. 3, n. 4672 del 22/10/2014 – dep. 02/02/2015, L, Rv.
262468; Cass. Sez. 4, n. 1022 del 10/12/2015 – dep. 13/01/2016, Vitale, Rv.
265737; Cass. sez. 5, n. 38271 del 17/07/2008 – dep. 07/10/2008, Cutone e altro,
Rv. 242025), né nei casi in cui si verifichi una violazione del diritto di difesa
correlata ad un difetto della progressione processuale, risolvibile con l’attivazione
dello strumento restitutorio della nullità generale a regime intermedio. Infine: non
è pertinente al caso di specie neppure la categoria della inutilizzabilità c.d.
“fisiologica”, deputata ad impedire l’utilizzo degli atti formati nella fase delle
indagini nei procedimenti che non si sviluppino attraverso i riti a prova contratta,
ma si risolvano nello sviluppo del dibattimento (Cass. sez. un, n. 16 del
21/06/2000 – dep. 30/06/2000, Tammaro, Rv. 21624601).
Si ritiene, pertanto, che le doglianze in ordine alla lesione del diritto di difesa che
consegue alla ritardata ostensione di un verbale disponibile fin dalla chiusura delle
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che la categoria dell’inutilizzabilità non si presta ad essere utilizzata per

indagini preliminari debbano essere inquadrata nella categoria della nullità
generale a regime intermedio, con le correlate conseguenze in tema di oneri di
deduzione e sanatorie.
Nel caso di specie la nullità in questione è stata tempestivamente eccepita in sede
di udienza preliminare ma, nonostante la relativa eccezione sia stata respinta,
l’imputato ha chiesto di accedere al rito abbreviato, con una scelta processuale
che implicava la accettazione del giudizio “allo stato degli atti” e produceva la
sanatoria della invocata nullità ai sensi dell’art. 183 cod. proc. pen. Nel giudizio

patologiche: sul punto è stato chiarito che «l’accettazione del giudizio allo stato
degli atti evidentemente presuppone una valutazione di “idoneità” allo svolgimento
della funzione difensiva che, evidentemente, permette di ritenere che gli atti
funzionali a quell’esercizio abbiano raggiunto i propri effetti, con la conseguenza
di rendere concettualmente operante un meccanismo di convalescenza delle nullità
a regime intermedio o relative secondo il modello generale offerto dall’art. 183 del
codice di rito» (Cass. Sez. 2, n. 19483 del 16/04/2013 – dep. 07/05/2013, Avallone
e altri, Rv. 256038; Cass. Sez. 1, n. 19948 del 05/05/2010 – dep. 26/05/2010,
Merafina, Rv. 247566)
2.2. Le censure proposte nei confronti della valutazione di credibilità della persona
offesa costituita parte civile sono infondate.
Sul tema si rinvia alla giurisprudenza indicata nel § 1.1. richiamata in relazione
alla valutazione delle doglianze proposte nell’interesse del coimputato Apice
Giancarlo.
Contrariamente a quanto dedotto, la Corte territoriale offriva una accurata
motivazione in ordine alla attendibilità dello Scaramuzzino ed alla credibilità dei
contenuti accusatori specificamente rivolti nei confronti del ricorrente (pag. 34
della sentenza impugnata).
Con riguardo alle censure rivolte nei confronti della capacità confirmatoria della
intercettazione della conversazione alla quale prendeva parte lo stesso
Scaramuzzino, che il ricorrente assumeva essere a conoscenza della captazione,
il collegio rileva che, contrariamente a quanto dedotto, il tema della genuinità dei
contenuti dichiarativi captati è stato affrontato dalla Corte territoriale; questa ha
ritenuto infondate le doglianze difensive, rilevandone la natura suggestiva ed
indimostrata (pag. 35 della sentenza impugnata). La Corte di merito inquadra
infatti la dichiarazione ritenuta “critica” dal ricorrente come uno sfogo connesso
alla difficoltà conseguenti alla vicenda che vedeva coinvolti lo Scaramuzzino: si
tratta anche in questo caso di una valutazione di merito, che non si presta ad
alcuna censura in questa sede in quanto esente da vizi logici, coerente con le
emergenze processuali e resistente alle censure difensive.
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abbreviato sono infatti deducibili solo le nullità assolute e le inutilizzabilità

2.3. Il terzo motivo di ricorso con il quale si contesta l’intero impianto probatorio
posto a fondamento dell’accertamento della responsabilità per il reato di usura è
manifestamente infondato in quanto generico.
Secondo l’orientamento della Corte di cassazione, che il Collegio condivide, «per
l’appello, come per ogni altro gravame, il combinato disposto degli art. 581 comma
primo lett. c) e 591 comma primo lett. c) del codice di rito comporta la
inammissibilità dell’impugnazione in caso di genericità dei relativi motivi. Per
escludere tale patologia è necessario che l’atto individui il “punto” che intende

riferimento alla motivazione della sentenza impugnata, e specificando tanto i
motivi di dissenso dalla decisione appellata che l’oggetto della diversa
deliberazione sollecitata presso il giudice del gravame» (Cass. Sez. 6^ sent. 13261
del 6.2.2003, dep. 25.3.2003, rv 227195; Cass. sez. 4, n. 40243 del 30/09/2008,
Rv. 241477; Cass. sez. 6, n. 32227 del 16/07/2010, Rv. 248037, Cass. sez. 6, n.
800 06/12/2011, dep. 2012, Rv. 251528). Peraltro, in materia, le sezioni unite
della Corte di cassazione hanno stabilito che l’ appello, al pari del ricorso per
cassazione, è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non
risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni
di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando
che tale onere di specificità, a carico dell’impugnante, è direttamente
proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel
provvedimento impugnato (Cass. sez. un n. 8825 del 27/10/2016 Rv. 268822).
2.4. Il quarto motivo di ricorso che lamenta la legittimità della condanna per il
reato di estorsione deducendo la mancanza della prova relativa alla minaccia è
manifestamente infondato in quanto si risolve nella proposta di una lettura
alternativa delle emergenze processuali senza individuare vizi logici decisivi del
percorso motivazionale offerto dalla Corte di merito, che rileva con chiarezza
come la condotta dell’imputato ascritta nella fattispecie prevista dall’rt. 629 cod.
pen. abbia avuto una chiara connotazione costrittiva che legittimava la
contestazione del reato di estorsione.
Sul punto il collegio ribadisce sussiste il concorso reale dei reati di usura e di
estorsione se il soggetto attivo, in un momento successivo al fatto usurario,
eserciti sulla vittima violenza o minaccia al fine di ottenere i concordati interessi o
altri vantaggi usurari che il soggetto passivo non possa o non voglia più
corrispondere (Cass. sez. 2, n. 6918 del 25/01/2011 – dep. 23/02/2011, Ravese,
Rv. 249399; Cass. sez. 2, n. 5231 del 14/01/2009 – dep. 05/02/2009, Durdevic e
altri, Rv. 243283; Cass. sez. 5, n. 49604 del 30/09/2014 – dep. 27/11/2014,
Caruso, Rv. 261335)

11

devolvere alla cognizione del giudice di appello, enucleandolo con puntuale

1.5 II quinto motivo di ricorso che deduce l’inutilizzabilità delle dichiarazioni de
relato dello Scaramuzzino per mancata audizione del teste diretto, ovvero dello
stesso imputato, è infondato.
La regola prevista dall’art. 195 cod. proc. pen. è infatti operativa in ambiente
dibattimentale, mentre nel caso in cui si proceda con il rito abbreviato, se non
sono state disposte integrazioni probatorie, la dichiarazione cartolare, anche se de
relato è pienamente utilizzabile, seppure con le cautele che caratterizzano la
valutazione fonte testimoniale indiretta (Cass. sez. 2, n. 46332 del 11/10/2016 –

– dep. 19/10/2015, G., Rv. 265436).
A ciò si aggiunge che, nel caso di specie la fonte di prova decisiva non viene
individuata nelle dichiarazione censurata (ovvero quella dello Scramuzzino), ma
piuttosto nella dichiarazione della persona offesa Santoro ( pag. 37 della sentenza
impugnata).
2.6. Come si è appena rilevato la Corte territoriale contrariamente a quanto
dedotto con il sesto motivo, che deduceva l’illegittimità della valutazione di
attendibilità del Santoro, effettuava una attenta ed accurata valutazione delle
dichiarazioni oggetto di censura rilevando la credibilità dei contenuti accusatori,
decisivi per l’affermazione di responsabilità. Il vaglio dell’attendibilità è stato
compiuto nel rispetto delle indicazioni fornite dalla cassazione in materia di
valutazione della prova dichiarativa dell’offeso, attraverso l’analisi della
compatibilità dei contenuti con i dati di contesto e l’apprezzamento
dell’accuratezza del racconto (pag. 38 della sentenza impugnata).
2.7. Gli ultimi due motivi riferiti al trattamento sanzionatorio sono infondati.
Quanto alla censura rivolta nei confronti della mancata concessione delle
circostanze attenuanti generiche il collegio condivide l’orientamento prevalente
secondo cui ai fini della determinazione della pena, il giudice può tenere conto di
uno stesso elemento (nella specie: la gravità della condotta) che abbia attitudine
a influire su diversi aspetti della valutazione, ben potendo un dato polivalente
essere utilizzato più volte sotto differenti profili per distinti fini senza che ciò
comporti lesione del principio del “ne bis in idem” (Cass. sez. 2, n. 24995 del
14/05/2015 – dep. 16/06/2015, P.G., Rechichi e altri, Rv. 264378; Sez. 6, n.
45623 del 23/10/2013 – dep. 13/11/2013, Testa, Rv. 257425; Sez. 2, n. 933 del
11/10/2013 – dep. 13/01/2014, Debbiche Helmi e altri, Rv. 258011). Peraltro tale
orientamento non è in netto contrasto con quello (recessivo) secondo cui tra gli
elementi di valutazione che il giudice può utilizzare ai fini dell’applicabilità delle
circostanze attenuanti generiche di cui all’art. 62 bis cod.pen. si pongono anche
quelli relativi alla gravità del reato e alla capacità a delinquere del reo indicati
dall’art. 133 cod. pen., con il solo limite che una stessa circostanza specifica non
12

dep. 03/11/2016, Pianese, Rv. 26852501; Cass. sez. 3, n. 41835 del 22/09/2015

può essere valutata due volte. La Cassazione ha infatti chiarito che «quello di
evitare l’eventuale duplicità di valutazione in ordine allo stesso elemento è un
problema che dev’essere affrontato e risolto non già sul piano normativo,
ipotizzando un’alternativa di significato e di applicazione fra l’art. 133 e l’art.62 bis
c.p., non agevolmente ravvisabile sotto il profilo esegetico e sistematico, ma
dev’essere affrontato e risolto in concreto, rispettando la funzione complementare
della circostanza rispetto alla fattispecie del reato», di fatto lasciando ampio
margine al giudice nella scelta dei parametri posti a base della valutazione della

del 23/01/2002 – dep. 28/05/2002, P.G. in proc. Baia, Rv. 222020, e più
recentemente: Cass. Sez. 3, n. 40765 del 30/04/2015 – dep. 12/10/2015, Brutto,
Rv. 264905).
Nel caso di specie la Corte territoriale definiva la pena attraverso un genarle
richiamo ai parametri previsti dall’art. 133 cod. pen. con specifico riferimento
all’allarme sociale generale dalla persistenza e gravità delle condotte e denegava
le generiche rilevando, altresì, il significativo «curriculum» criminale vantato
(pagg. 38 e 39 della sentenza impugnata), fornendo una motivazione coerente
con le emergenze processuali e rispettosa delle indicazioni fornite dalla Cassazione
in materia di legittimo esercizio della discrezionalità nella definizione del
trattamento sanzionatorio, sottraendosi ad ogni censura in questa sede.
La doglianza che investe il riconoscimento dell’aggravante dello stato di bisogno è
stata invece proposta per la prima volta in sede di legittimità con conseguente
insanabile frattura della catena devolutiva ed inammissibilità del motivo ai sensi
dell’art. 603 comma 3 cod. pen.

3.Alla dichiarata inammissibilità dei ricorsi

proposti nell’interesse di Apice

Giancarlo consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore
della Cassa delle ammende, di una somma che si determina equitativamente in €
2000,00.

4.Si dispone la condanna dei ricorrenti in solido alla rifusione delle spese sostenute
nel grado dalla parte civile Scaramuzzino Francesco che, tenuto conto dei
parametri di legge, si liquidano in euro 3510,00 oltre rimborso forfettario al
15% C.P.A. ed I.V.A.

13

pena da un lato e della sussistenza delle circostanze, dall’altro (Sez. 6, n. 20818

P.Q.M.

Dichiara inammissibile i ricorsi di Apice Giancarlo e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2000.00 in favore della
Cassa delle ammende. Rigetta il ricorso di Franco Angelo Renato e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna i ricorrenti in solido
alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile Scaramuzzino
Francesco che liquida in euro 3510,00 oltre rimborso forfettario al 15% C.P.A.
ed I.V.A.

L’estensore

Il Presidente

Così deciso in Roma, il giorno 10 aprile 2018

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