Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20123 del 25/02/2015


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 6 Num. 20123 Anno 2015
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: BASSI ALESSANDRA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BASANISI FRANCESCO N. IL 19/01/1945
avverso la sentenza n. 1097/2004 CORTE APPELLO di ANCONA, del
17/05/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 25/02/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ALESSANDRA BASSI
Us
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. C-‘1k-tA

che ha concluso per
k_&:

Udito, per la paiWcivile, l’Avv

Data Udienza: 25/02/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 17 maggio 2012, in riforma della sentenza assolutoria
del Tribunale di Urbino del 18 giugno 2004 appellata dal P.M., concesse le
circostanze attenuanti generiche, la Corte d’appello di Ancona ha condannato
Basanisi Francesco alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione per il reato
di falsa testimonianza.
2. Ricorre avverso la sentenza l’Avv. Francesca Arcangeli, difensore di

2.1. violazione di legge penale in relazione all’art. 372 cod. pen., per avere
la Corte ritenuto integrato il reato di falsa testimonianza sebbene in capo
all’imputato faccia difetto la qualifica di testimone, non potendo ritenersi tale
l’informatore che venga sentito dal giudice civile nella fase cautelare della causa
possessoria;
2.2. violazione di legge penale in relazione all’art. 372 cod. pen., per avere
la Corte ritenuto integrato il reato sebbene le dichiarazioni rese da Basanisi
fossero prive di rilevanza ai fini della decisione del procedimento cautelare. Per
altro verso, il ricorrente evidenzia come, in linea con l’insegnamento di questa
Suprema Corte, il giudice d’appello avrebbe potuto addivenire alla condanna,
ribaltando il giudizio assolutorio di primo grado, sulla base non semplicemente di
una diversa valutazione del medesimo materiale acquisito nel processo, ma di un
ragionamento dotato di effettiva e scardinante efficacia persuasiva, in grado di
vanificare ogni ragionevole dubbio sulla diversa interpretazione operata dal
primo giudice;
2.3. violazione di legge penale per avere la Corte omesso di dichiarare la
prescrizione del reato in fase d’appello.
3. Il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia rigettato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato in relazione a tutti i motivi dedotti e va pertanto
rigettato.
2. Infondato è il primo motivo di ricorso con il quale il ricorrente eccepisce la
mancanza in capo all’imputato della qualità di testimone.
2.1. Giova premettere che, nella fase sommaria del giudizio possessorio
civile, il giudice può assumere da persone informate – i cosiddetti informatori,
“semplici informazioni e senza l’osservanza delle forme di cui agli art. 244 e ss.
c.p.c.”, di tal che tali dichiarazioni “non possono essere considerate, per il loro
2

fiducia di Basanisi Francesco, e ne chiede l’annullamento per i seguenti motivi:

carattere di sommarietà ed informalità, prove testimoniali vere e proprie” (Cass.
civile Sez. 2, n. 3820 del 09/06/1986, Rv. 446664), seppur sono pacificamente
utilizzabili ai fini della decisione (Cass. civile, Sez. 2 del 21/11/2006, n. 24705
Rv. 593758).
Il giudice può peraltro optare per l’assunzione delle dichiarazioni dei
cosiddetti informatori nel contraddittorio tra le parti e sotto il vincolo
dell’impegno ex art. 251 cod. proc. civ. Come questa Corte civile ha avuto modo
di chiarire, in tale ipotesi, “le sommarie informazioni rese nel corso di un

contrattuale) possono essere equiparate, a tutti gli effetti, alle testimonianze,
qualora gli informatori abbiano prestato l’impegno di rito e siano stati sentiti nel
contraddittorio delle parti, non essendovi ragione per differenziare la valenza
probatoria delle dichiarazioni rese sulle stesse circostanze, con l’assunzione
dell’impegno di rito e con la garanzia del contraddittorio, per il solo fatto che il
procedimento sia stato trattato con rito sommario, invece che con rito ordinario
(Cass. Sez. 6 – 2, ord. n.22778 del 04/10/2013, Rv. 627879;
Cassa. civile, sez. 2 del 21/11/2006, n. 24705, Rv. 593758).
2.2. Svolte tali premesse quanto alla valenza di vera e propria prova in
ambito civile delle dichiarazioni rese nel procedimento cautelare dai cosiddetti
informatori previo impegno ex art. 251 cod. proc. civ., non è revocabile in
dubbio che colui il quale sia sentito in tale veste nel giudizio cautelare
possessorio con dichiarazione di impegno a dire la verità non solo assuma la
veste di testimone – con i riverberi quanto alla valenza delle sue dichiarazioni nel
procedimento civile di cui si è già dato atto -, ma sia sottoposto anche a tutte le
conseguenze penali che derivano dal mendacio.
2.3. Consolidato in tale senso è del resto l’insegnamento di questa Corte,
alla stregua del quale le dichiarazioni assunte dal giudice nel procedimento
cautelare civile, ai sensi dell’art.669-sexies c.p.c., hanno natura di testimonianza
e, pertanto, la loro eventuale falsità integra gli estremi del reato di falsa
testimonianza previsto dall’art. 372 cod. pen., pur quando non siano state
osservate le formalità dettate dagli artt. 244, 251 e 252 c.p.c. per l’assunzione
della prova testimoniale, con riguardo, rispettivamente, alla deduzione di detta
prova, al giuramento ed alla compiuta identificazione del testimone (Sez. F, n.
42898 del 07/09/2001 – dep. 28/11/2001, PG in proc. Ciampi, Rv. 220177). Non
può del resto sottacersi come questa Corte abbia ampliato l’ambito di
applicazione della fattispecie incriminatrice in oggetto, chiarendo che le
dichiarazioni assunte dal giudice in un procedimento cautelare civile hanno
natura di testimonianza, sicché la loro falsità integra il delitto di falsa
testimonianza, nonostante la mancata osservanza degli adempimenti preliminari
3

procedimento cautelare (nella specie, per sequestro giudiziario in materia

di cui all’art. 251 cod. proc. civ. (Cass. Sez. 2, n. 16733 del 13/04/2010,
dep. 03/05/2010, P.G. in proc. Linarello , Rv. 247038).
2.4. Passando alla disamina del caso di specie, come si evince dal verbale
dell’udienza del 17 agosto 2002 innanzi al Tribunale di Urbino nel procedimento
ex art.

669 sexies cod. proc. civ., Basanisi Francesco veniva sentito nel

procedimento cautelare possessorio instaurato da D’Angeli Marcello contro
Gintroto’ Grazia ed il suo esame veniva avvisato in merito all’obbligo di dire la
verità ed alle conseguenze penali conseguenti alle dichiarazioni false e reticenti

proc. civ. Non è pertanto revocabile in dubbio che l’imputato sia stato sentito
quale “testimone” e che, nel momento in cui rendeva le dichiarazioni de quibus,
fosse perfettamente edotto delle conseguenze penali derivanti dal mendacio.
3. Infondato è anche il secondo motivo di doglianza, con il quale il ricorrente
lamenta la concreta irrilevanza ed ininfluenza delle dichiarazioni rese dal Basanisi
ai fini della decisione della procedura cautelare.
Ora, non v’è dubbio che il delitto di falsa testimonianza possa ritenersi
sussistente soltanto a condizione che i fatti posti ad oggetto della dichiarazione
falsa o reticente, non siano estranei all’oggetto del procedimento in corso e non
risultino “a priori” irrilevanti ai fini della decisione: ai fini della integrazione del
reato è indispensabile che la deposizione possa essere idonea ad alterare il
convincimento del giudice e, dunque, ad incidere sul corretto funzionamento
dell’attività giudiziaria (Cass. Sez. 6, n. 4421 del 07/10/2004 – dep. 08/02/2005,
Messina, Rv. 231445; Sez. 6, n. 29258 del 06/07/2010, Major Rv. 248610).
Se non che, nel caso di specie, non v’è materia per ritenere irrilevanti le
dichiarazioni del ricorrente: come argomentato dalla Corte territoriale con
considerazioni puntuali, aderenti alle risultanze degli atti e conformi a logica (v.
pag. 7 della sentenza), le dichiarazioni rese da Basanisi, avendo ad oggetto la
disponibilità della grotta in contestazione da parte della Giagnorio già dalla
primavera del 2001 (essendo stato sentito l’imputato proprio in merito al
collegamento tra le grotte ed all’epoca di collocazione dell’inferriata all’ingresso
esterno), erano certamente rilevanti ai fini della decisione della causa, in quanto
direttamente concernenti la situazione di fatto sulla base della quale si fondava il
contenzioso possessorio fra le parti (avendo D’Angeli Marcello agito contro
Giagnorio Grazia deducendo proprio lo spossessamento da parte di quest’ultima
di una parte di una grotta).
Del resto, come questa Corte ha avuto modo più volte di affermare, ai fini
dell’integrazione del delitto di cui all’art. 372 cod. pen. è sufficiente che il fatto
prospettato con la deposizione sia pertinente alla causa e suscettibile di portare,
anche in astratto, un contributo alla decisione (Cass. Sez. 6, n. 44758 del
4

nonchè invitato a rendere la dichiarazione prevista dall’art. 251, comma 2, cod.

29/10/2003 – dep. 20/11/2003, Continisio, Rv. 227324). Ancora, si è ribadito
che, ai fini della configurabilità del delitto di falsa testimonianza, è sufficiente che
i fatti oggetto della deposizione siano pertinenti alla causa e suscettibili di avere
efficacia probatoria, anche se, in concreto, le dichiarazioni non hanno influito
sulla decisione del giudice (Sez. 6, n. 51032 del 05/12/2013, Mevoli Rv.
258507).
4. Infondato è anche l’ulteriore profilo di doglianza con il quale il ricorrente
ha dedotto la violazione del principio secondo il quale, in caso di ribaltamento in

“rafforzata”, ritenuta insussistente nella specie.
4.1. Come questo giudice di legittimità ha avuto modo di affermare, nel
giudizio di appello, in assenza di mutamenti del materiale probatorio acquisito al
processo, la riforma della sentenza assolutoria di primo grado, una volta
compiuto il confronto puntuale con la motivazione della decisione di assoluzione,
impone al giudice di argomentare circa la configurabilità del diverso
apprezzamento come l’unico ricostruibile al di là di ogni ragionevole dubbio, in
ragione di evidenti vizi logici o inadeguatezze probatorie che abbiano minato la
permanente sostenibilità del primo giudizio (Cass. Sez. 6, n. 8705 del
24/01/2013 – dep. 21/02/2013, Farre e altro, Rv. 254113; Sez. 6, n. 1514 del
19/12/2012 – dep. 11/01/2013, Crispi, Rv. 253940). Ancora, si è affermato che,
nel giudizio di appello, per la riforma di una sentenza assolutoria non basta, in
mancanza di elementi sopravvenuti, una mera e diversa valutazione del
materiale probatorio già acquisito in primo grado ed ivi ritenuto inidoneo a
giustificare una pronuncia di colpevolezza, che sia caratterizzata da pari o
addirittura minore plausibilità rispetto a quella operata dal primo giudice,
occorrendo, invece, una forza persuasiva superiore, tale da far venir meno ogni
ragionevole dubbio. (Nella specie, la Corte ha annullato la sentenza di condanna
del giudice di appello che aveva riformato una sentenza di assoluzione in ordine
al delitto di partecipazione ad associazione di tipo mafioso limitandosi a valutare
diversamente i medesimi dati probatori esaminati in prime cure) (Cass. Sez. 6,
n. 45203 del 22/10/2013, Paparo e altri Rv. 256869; Sez. 1, n. 12273 del
05/12/2013 – dep. 14/03/2014, Ciaramella e altro, Rv. 262261).
4.2.

Di tali principi ha fatto corretta applicazione il giudice del

provvedimento impugnato laddove, nel riformare la sentenza assolutoria di
primo grado, pur in assenza di elementi sopravvenuti, non si è limitato ad
operare una diversa valutazione del materiale probatorio già acquisito, ma, per
un verso, ha svolto una puntuale ed attenta disamina delle dichiarazioni di
Basanisi e degli ulteriori elementi di fatto emergenti dalle prove assunte nel
dibattimento; per altro verso – e per quanto più rileva -, ha valutato i fatti come
5

appello del giudizio di primo grado, è necessaria una motivazione cosiddetta

ricostruiti alla luce dei consolidati principi di diritto applicabili in materia,
correggendo il criterio di valutazione applicato dal primo giudice,
manifestamente contrario al consolidato insegnamento di questa Corte. A tale
proposito, va invero posto in luce che il Tribunale ha assolto Basanisi sul
presupposto che, non essendo stata tempestivamente sollevata nella causa
possessoria l’eccezione di decadenza per decorso del termine annuale dallo
spoglio, l’eventuale falsità della testimonianza circa l’epoca di realizzazione del
muro fra le due grotte risultava irrilevante ai fini della decisione della causa

del reato ex art. 372 cod. pen., è sufficiente che i fatti oggetto della deposizione
siano pertinenti alla causa e suscettibili di avere efficacia probatoria, anche se, in
concreto, le dichiarazioni non abbiano influito sulla decisione del giudice (Cass.
Sez. 6, n. 51032 del 05/12/2013, Mevoli Rv. 258507). La decisione appellata
risultava per tale ragione errata in diritto e correttamente è stata emendata dalla
Corte territoriale.
Conclusivamente, la sentenza impugnata si appalesa immune da vizi in
quanto munita di una forza persuasiva superiore rispetto alla decisione
assolutoria di primo grado, essendo il giudizio di colpevolezza – diversamente da
quello liberatorio – fondato su solidi principi di diritto e dunque su di una
valutazione di penale responsabilità improntata al criterio dell'”al di là ogni
ragionevole dubbio” codificato nell’art. 533 cod. proc. pen.
5. Quanto all’ultimo motivo con il quale il ricorrente deduce l’erroneità della
mancata dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione, giova rammentare
che, come questa Corte ha avuto modo di affermare anche a Sezioni Unite, ai fini
dell’operatività delle disposizioni transitorie della disciplina della prescrizione
introdotta nel 2005, la pronuncia della sentenza di primo grado,
indipendentemente dall’esito di condanna o di assoluzione, determina la
pendenza in grado d’appello del procedimento, ostativa all’applicazione
retroattiva delle norme più favorevoli (Sez. U, n. 15933 del 24/11/2011 – dep.
24/04/2012, P.G. in proc. Rancan, Rv. 252012).
Ne discende che, essendo stata pronunciata la sentenza di primo grado nel
giugno 2004, dunque in epoca antecedente all’entrata in vigore della novella in
tema di termini di prescrizione, non v’è materia per applicare la sopravvenuta
più favorevole disciplina in materia, ed il reato, avuto riguardo al

tempus

commissi delicti ed alle regole applicabili al caso di specie, non risulta pertanto
prescritto.
6. Dal rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali.

6

civile. Se non che, per quanto si è già sopra dato atto, ai fini della configurabilità

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma il 25 febbraio 2015

Il presi nte

Il consigliere estensore

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA