Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20118 del 20/02/2018


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 20118 Anno 2018
Presidente: GALLO DOMENICO
Relatore: DI PAOLA SERGIO

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
LEO ANTONIO nato il 02/12/1982 a BRINDISI
PICCIOLO DAVIDE nato il 21/01/1982 a BRINDISI
CAFORIO ANTONIO nato il 16/12/1971 a BRINDISI
LAGATTA ORAZIO nato il 12/04/1993 a BRINDISI
SCHENA COSIMO nato il 03/07/1991 a BRINDISI
PUGLIESE FRANCESCO nato il 18/08/1986 a BRINDISI
VALENTI GIOVANNI nato il 28/12/1988 a BRINDISI

avverso la sentenza del 21/12/2016 della Corte d’appello di Lecce

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Sergio Di Paola
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Fulvio
Baldi, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza per la
posizione di Leo Antonio, e la declaratoria di inammissibilità degli altri ricorsi.
Udito il difensore Avv. Livio Di Noi per l’imputato Leo Antonio,che ha concluso
chiedendo l’accoglimento del ricorso

Data Udienza: 20/02/2018

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Lecce, con sentenza in data 21/12/2016,
confermava la condanna alle pene ritenute di giustizia pronunciata dal GIP del
Tribunale di Brindisi, in data 27/01/2016, nei confronti di Antonio Leo, Davide
Picciolo, Antonio Caforio, Orazio Lagatta, Cosimo Schena, Francesco Pugliese,
Giovanni Valenti, in relazione ai reati di direzione e partecipazione ad

ricettazione e violazione delle disposizioni in materia di sorveglianza speciale di
p.s.
2.1. Propongono ricorso per cassazione gli imputati, nei termini

che

seguono.
2.2. Antonio Leo deduce: violazione di legge e vizio di motivazione con
riferimento all’omessa valutazione della richiesta, formulata con l’atto di appello,
dell’applicazione della disciplina del reato continuato, in riferimento alla sentenza
del G.u.p del Tribunale di Brindisi avente ad oggetto la condanna per analoghi
delitti di furto;
2.3. Davide Picciolo e Giovanni Valenti, deducono violazione di legge e vizio
di motivazione con riferimento alla ritenuta responsabilità degli imputati e al
trattamento sanzionatorio;
2.4. Antonio Caforio, Orazio Lagatta e Cosimo Schena deducono il medesimo
motivo, lamentando, pur in presenza della rinuncia degli appellanti ai motivi
inerenti alla responsabilità, l’omessa valutazione delle condizioni per la pronuncia
di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen.;
2.5. Francesco Pugliese deduce: violazione di legge e vizio di motivazione
con riferimento al mancato riconoscimento della prevalenza delle circostanze
attenuati generiche sulle contestate aggravanti e all’omessa motivazione sulla
misura della pena irrogata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi degli imputati Picciolo e Valenti sono inammissibili, in quanto
censurano la decisione sul profilo della responsabilità che aveva formato oggetto
di rinuncia da parte degli appellanti, ed inoltre sono assolutamente generici
quanto al profilo dell’entità della pena.
2. ,Analogamente, i ricorsi degli imputati Caforio, Lagatta e Schena, nel
censurare l’omessa motivazione della sentenza in ordine alla verifica
dell’insussistenza dei presupposti per la pronuncia ex art. 129 cod. proc. pen.,

2

associazione per delinquere, nonché ai reati fine di furto pluriaggravato,

sono inammissibili a fronte della documentata rinuncia ai motivi di appello che
riguardavano la responsabilità; è principio costante della giurisprudenza di
legittimità quello secondo il quale “è inammissibile il ricorso per cassazione
avverso la decisione del giudice di appello che, rilevata la rinuncia dell’imputato
ai motivi di appello dichiari l’inammissibilità sopravvenuta dei motivi oggetto di
rinuncia, omettendone l’esame ai fini dell’applicazione dell’art. 129 cod. proc.
pen., considerato che la rinuncia ha effetti preclusivi sull’intero svolgimento
processuale, ivi compreso il giudizio di legittimità. Pertanto, poiché ex art. 597,

la cognizione del giudice del gravame ai soli punti della decisione ai quali si
riferiscono i motivi proposti, una volta che essi costituiscano oggetto di rinuncia,
non può il giudice di appello prenderli in considerazione, né può farlo il giudice di
legittimità sulla base di un’ipotetica implicita revoca di tale rinuncia, stante
l’irrevocabilità di tutti i negozi processuali, ancorché unilaterali” (Sez. 5, n. 2791
del 22/10/2014, dep. 2015, Ferlito, Rv. 262682).
3. Il ricorso dell’imputato Leo è anch’esso inammissibile. Antonio Leo aveva
richiesto, nel corso del giudizio di primo grado, il riconoscimento della
sussistenza del vincolo della continuazione tra i reati per cui veniva giudicato e i
reati per cui aveva concordato l’applicazione della pena con sentenza del GUP del
Tribunale di Brindisi; il giudice di primo grado aveva ampiamente motivato il
rigetto della richiesta difensiva, argomentando dall’assenza dei presupposti per
ritenere sussistente un’unica deliberazione volitiva anteriore alla commissione di
tutti i reati in considerazione; aveva ritenuto il Giudice che dovesse esser
riconosciuta una generica capacità delinquenziale, e non anche la
programmazione con un’unica deliberazione, poiché i furti commessi non solo si
collocavano nel tempo ad un certa distanza gli uni dagli altri, ma risultavano
commessi anche con modalità del tutto diverse tra loro e in concorso con
soggetti differenti; il Leo aveva quindi impugnato la sentenza, censurando
questo specifico capo in modo del tutto generico, lamentando esclusivamente la
mancata considerazione di un documento prodotto nel giudizio di primo grado
(l’ordinanza di applicazione della misura cautelare emessa nel diverso
procedimento).
La genericità della doglianza formulata con l’atto di appello ne evidenziava
l’evidente inammissibilità, per difetto di specificità, rispetto agli altri motivi di
impugnazione (che in parte hanno trovato accoglimento, avendo la Corte
rideterminato la misura della pena irrogata all’imputato); pertanto, trova
applicazione in tale ambito processuale il principio di diritto enunciato dalla
giurisprudenza di legittimità, a mente del quale « il difetto di motivazione della
sentenza di appello in ordine a motivi generici, proposti in concorso con altri

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comma primo, cod. proc. pen., l’effetto devolutivo dell’impugnazione circoscrive

motivi specifici, non può formare oggetto di ricorso per Cassazione, poiché i
motivi generici restano viziati da inammissibilità originaria anche quando la
decisione del giudice dell’impugnazione non pronuncia in concreto tale sanzione»
(Sez. 3, n. 10709 del 25/11/2014, dep. 2015, Botta, Rv. 262700).
4.

E’ invece fondato e va accolto il ricorso dell’imputato Francesco Pugliese.

Con il motivo di ricorso afferente il trattamento sanzionatorio, il Pugliese aveva
lamentato l’eccessiva misura della pena e il mancato riconoscimento delle
circostanze attenuanti generiche; riconosciute le circostanze attenuanti

pena per il più grave delitto di cui al capo N) (in relazione alla previsione dell’art.
624 cod. pen.) in anni 2 e mesi 6 di reclusione, in misura notevolmente distante
dal minimo edittale (anni 1 di reclusione) e superiore anche alla media tra il
minimo ed il massimo edittale; ciò senza motivare le ragioni poste a fondamento
di tale determinazione, essendo all’evidenza insufficiente il mero richiamo,
contenuto all’esordio della motivazione e riferito alla generalità dei ricorsi
proposti (da 15 imputati) all’adeguamento della pena perché “maggiormente
conforme ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen.”. Infatti, secondo il costante
insegnamento di legittimità, « in tema di determinazione della pena, quanto più
il giudice intenda discostarsi dal minimo edittale, tanto più ha il dovere di dare
ragione del corretto esercizio del proprio potere discrezionale, indicando
specificamente, fra i criteri oggettivi e soggettivi enunciati dall’art. 133 cod.
pen., quelli ritenuti rilevanti ai fini di tale giudizio»

(Sez. 1, n. 24213 del

13/03/2013, Pacchiarotti, Rv. 255825; nello stesso senso v. anche Sez. 4, n.
27959 del 18/06/2013, Pasquali, Rv. 258356; Sez. 6, n. 35346 del 12/06/2008,
Bonarrigo, Rv. 241189).
5. La sentenza va pertanto annullata, con rinvio alla Corte d’appello di Lecce
per nuovo esame sul punto.
6. All’ inammissibilità dei ricorsi degli imputati Leo, Picciolo, Valenti, Caforio,
Lagatta e Schena, consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese
processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità emergenti dai ricorsi (Corte Cost.
13 giugno 2000, n. 186), ciascuno al versamento della somma, che si ritiene
equa, di euro duemila a favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Pugliese Francesco e rinvia
per nuova determinazione della pena ad altra sezione della Corte d’appello di
Lecce, dichiarando irrevocabile l’accertamento di responsabilità.

4

generiche, equivalenti alle contestate aggravanti, la Corte ha determinato la

Dichiara inammissibili i ricorsi di Leo Antonio, Picciolo Davide, Caforio
Antonio, Lagatta Orazio, Schena Cosimo e Valenti Giovanni che condanna al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila ciascuno a
favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 20/2/2018

Serg

Paola

Il Presidente
enico Gallo

Il ConsigIir Estensore

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