Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20112 del 29/03/2018


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 20112 Anno 2018
Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO
Relatore: SERRAO EUGENIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NESTURI KELMENT nato il 31/12/1986

avverso la sentenza del 21/09/2017 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere EUGENIA SERRAO
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore OLGA MIGNOLO
che ha concluso per l’inammissibilita del ricorso.

Data Udienza: 29/03/2018

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Bologna, con la sentenza in epigrafe, ha confermato
la pronuncia di condanna emessa il 1/06/2016 dal Tribunale di Reggio Emilia nei
confronti di Nesturi Kelment in relazione al reato previsto dagli artt.110 cod. pen.
e 73, comma 1, 80, comma 2, d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309 commesso in Reggio
Emilia il 16 ottobre 2014, per avere in concorso con altri acquistato e detenuto
illecitamente gr.4.989,7 di eroina dalla quale erano ricavabili 68.564 dosi, per un

2. Kelment Nesturi ricorre per cassazione censurando la sentenza impugnata
per i seguenti motivi:
a)

violazione dell’art.599

bis

cod.proc.pen. per il fatto che la Corte

territoriale ha pronunciato sentenza dibattimentale, omettendo ogni motivazione
sul punto, sebbene le parti avessero concordato nel corso dell’udienza del 20
giugno 2017 la pena ai sensi dell’art.599 bis cod.proc.pen.; si precisa che il
Procuratore Generale presente all’udienza del 21 settembre 2017, alla quale il
processo era stato rinviato in attesa dell’entrata in vigore della c.d. legge
Orlando e della decisione della Corte Costituzionale in relazione al trattamento
sanzionatorio riguardante lo stupefacente del tipo eroina, non aveva rinnovato il
consenso già espresso e che la Corte di Appello aveva disposto, senza alcuna
motivazione, procedersi alla discussione;
b) violazione dell’art.59, comma 2, cod. pen. e vizio di motivazione in
relazione all’aggravante di cui all’art.80, comma 2, T.U. Stup. per avere la Corte
territoriale applicato la predetta circostanza aggravante sulla base di asserzioni
avulse dall’esito delle indagini, dalle quali era emerso che all’imputato non fosse
stato indicato il quantitativo di droga che avrebbe dovuto custodire né l’entità
della somma di denaro che avrebbe dovuto consegnare al corriere;
c) violazione dell’art.80, comma 2, T.U. Stup. in quanto la sussistenza della
circostanza aggravante è stata ancorata al triplo del valore-soglia indicato da
pronuncia delle Sezioni Unite n.36258/2012 senza parametrarlo al mercato di
destinazione, che dagli esiti investigativi era emerso essere il mercato di Milano;
d)

violazione degli artt.59, comma 2, e 69 cod. pen. per mancata

concessione delle attenuanti generiche con giudizio di prevalenza e violazione del
principio di proporzionalità tra il fatto commesso e la sanzione applicata;
e)

omessa motivazione in ordine alle deduzioni difensive espresse a

sostegno del motivo di appello inerente all’erronea applicazione della misura di
sicurezza dell’espulsione.

/ /

2

corrispettivo di euro 88.000,00.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
1.1. L’art. 599 bis, comma 1, cod. proc. pen., introdotto dall’arti, comma
56, legge 23 giugno 2017, n. 103, stabilisce che la Corte di Appello provvede in
camera di consiglio anche quando le parti, nelle forme previste dall’articolo 589,
ne fanno richiesta dichiarando di concordare sull’accoglimento, in tutto o in
parte, dei motivi di appello, con rinuncia agli altri eventuali motivi. Se i motivi

della pena, il pubblico ministero, l’imputato e la persona civilmente obbligata per
la pena pecuniaria indicano al giudice anche la pena sulla quale sono d’accordo.
L’art.599 bis, comma 3, cod.proc.pen. dispone che «Il giudice, se ritiene di non
poter accogliere, allo stato, la richiesta, ordina la citazione a comparire al
dibattimento. In questo caso la richiesta e la rinuncia perdono effetto, ma
possono essere riproposte nel dibattimento».
cod.proc.pen. dispone che

L’art. 599

bis,

comma 4,

«Fermo restando quanto previsto dal comma 1

dell’articolo 53, il procuratore generale presso la corte di appello, sentiti i
magistrati dell’ufficio e i procuratori della Repubblica del distretto, indica i criteri
idonei a orientare la valutazione dei magistrati del pubblico ministero
nell’udienza, tenuto conto della tipologia dei reati e della complessità dei
procedimenti».
1.2. La richiesta di concordato non deve necessariamente essere presentata
prima dell’udienza ma può essere presentata dalle parti anche in dibattimento,
prima dell’inizio della discussione, in base al richiamo contenuto nell’art.599 bis
cod.proc.pen. alle forme di procedura stabilite dall’art.589 cod.proc.pen. per la
rinuncia all’impugnazione; dalla previsione dell’art.599

bis,

comma 3,

cod.proc.pen. si desume, inoltre, che la richiesta sulla quale l’autorità non si sia
pronunciata prima della citazione a comparire in dibattimento perde la sua
efficacia e dovrà essere riproposta. La disciplina sopravvenuta non sarebbe,
dunque, ostativa all’ammissibilità della richiesta di concordato formulata dalle
parti nel dibattimento dopo la sua entrata in vigore, ancorchè non presentata
nella fase antecedente l’udienza.
1.3. Ma la questione posta dal ricorrente, che su tale punto ha incentrato la
sua prima doglianza, attiene all’asserita irretrattabilità del consenso prestato dal
Procuratore Generale nel corso dell’udienza del 20 giugno 2017, nell’ottica di
instaurare il subprocedimento previsto dall’art. 599

bis cod.proc.pen., con il

correlato obbligo per il giudice, investito della richiesta, di motivare il suo
giudizio su di essa, una volta entrata in vigore la norma e nonostante il dissenso

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dei quali viene chiesto l’accoglimento comportano una nuova determinazione

manifestato dal Procuratore Generale nel corso dell’udienza del 21 settembre
2017, prima di procedere oltre nel dibattimento.
1.4. In mancanza di una norma transitoria, la questione deve essere risolta
applicando il criterio generale indicato nel principio tempus regit actum, nella sua
particolare declinazione che esclude la trasposizione, nell’ambito della
successione di leggi processuali nel tempo, del principio di retroattività della
norma penale più favorevole (Sez. U, n. 44895 del 17/07/2014, Pinna, Rv.
26092701; Corte Cost. n.265 del 25 maggio 2010, n.240 del 7 ottobre 2015 e

regít actum implica la previa individuazione della natura dell’atto al quale si deve
applicare la norma invocata; si tratta, in particolare, di sceverare se l’atto di cui
si discorre sia già compiuto o sia da compiere e, in ogni caso, di risolvere il
problema di diritto intertemporale nel caso, che ricorre nel presente processo, in
cui la modifica normativa sia intervenuta su un atto in corso di compimento o su
effetti non ancora esauriti. L’attività processuale che presuppone la decisione ai
sensi dell’art.599 bis cod.proc.pen. può definirsi complessa in quanto si sostanzia
nell’accordo tra la difesa ed il pubblico ministero per l’accoglimento di alcuni
motivi d’impugnazione, con eventuale rinuncia ad altri e con eventuale
indicazione della pena da applicare, nella presentazione al giudice della relativa
richiesta e delle rinunce, nella deliberazione di accoglimento o meno del
concordato da parte dell’autorità giudiziaria.
1.5. La peculiarità della questione qui posta risiede nel fatto che il consenso
dell’organo requirente è stato prestato in un tempo in cui la norma sul
concordato in appello non era in vigore onde, per stabilire se la norma
sopravvenuta regoli o meno tale consenso determinandone l’irretrattabilità, si
deve ricorrere al criterio interpretativo secondo il quale, quando un atto
processuale complesso sia pendente al momento della successione tra norme,
alla norma sopravvenuta è consentito regolare i singoli atti, parti dell’atto
complesso, successivi alla sua entrata in vigore. In base a tale criterio, il
consenso prestato dal pubblico ministero in una data in cui la legge processuale
non prevedeva l’istituto del concordato in appello risulterebbe privo di effetti.
Altri interpreti sottolineano, per altro verso, che alcuni atti hanno effetti non
esauriti, che non potrebbero essere travolti dalla nuova normativa né da essa
potrebbero essere impediti o regolati diversamente, ma tale prospettiva mal si
attaglia ad un atto improduttivo di effetti in base alla normativa in vigore nel
tempo in cui è stato compiuto. Anche tale prospettiva conferma, in ogni caso, la
regola secondo la quale il canone tempus regit actum postula che tutti gli effetti
di un atto rimangano assoggettati alla disciplina vigente al momento della
perfezione dell’atto.
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ord. n.207 del 15 giugno 2016). La corretta applicazione del principio tempus

1.6. Consegue che, in applicazione del principio tempus regit actum in
relazione alle situazioni non ancora concluse, quale quella in esame, la Corte,
considerato che al momento dell’indicazione della pena concordata non era in
vigore la disposizione di legge che ha introdotto l’istituto del cd. concordato in
appello, correttamente ha ritenuto improduttivo di effetti l’assenso manifestato
dal Procuratore Generale (si legge nel verbale che si trattava di pena concordata
rebus sic stantibus) nel corso dell’udienza del 20 giugno 2017 quando, peraltro,
non era in vigore l’ulteriore disposizione secondo la quale il Procuratore Generale
«i criteri idonei a orientare la

valutazione dei magistrati del pubblico ministero nell’udienza».

2. Il secondo motivo è manifestamente infondato in quanto tendente ad
ottenere una diversa valutazione del fatto e, per altro verso, a reiterare una
questione già sottoposta al giudice di appello e ritenuta inconferente.
2.1. I giudici di merito hanno ritenuto che il preventivo reperimento del
locale ove stoccare lo stupefacente ed i diretti contatti tenuti dall’imputato con il
corriere escludessero che il Nesturi fosse mero custode inconsapevole dell’entità
e qualità della droga, avendo egli stesso predisposto un appartamento nel
medesimo stabile in cui abitava a riprova della necessità di ampi spazi per
custodire anche grandi quantità di materia da taglio e l’attrezzatura per il
confezionamento. Con ciò rendendosi evidente l’infondatezza del motivo di
ricorso in ragione della prova che l’imputato fosse pienamente consapevole
dell’ingente quantità detenuta.
2.2. Corretto in diritto è, altresì, il rilievo secondo il quale l’imputato avrebbe
posto in essere ulteriori atti tipici della fattispecie astratta anche quando, dopo la
traditio, era per sua stessa ammissione venuto a conoscenza dell’ingente entità
della droga, onde la censura inerente all’applicazione dell’art.59, secondo
comma, cod. pen. si rivela inconferente e priva di specificità in relazione a tale
punto della motivazione.

3. Il terzo motivo di ricorso è infondato.
3.1. La questione posta dal ricorrente è stata già esaminata in alcune
pronunce della Corte di Cassazione, a mente delle quali l’interpretazione
giurisprudenziale dei principi in materia di ingente quantità di stupefacente (ex
art. 80, comma 2, T.U. Stup.) posta dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 36258 del
24/05/2012, Biondi) non può considerarsi superata in conseguenza delle mutate
previsioni sanzionatorie in subiecta materia e, più in generale, del modificato
quadro normativo di riferimento (conseguente in particolare alla sentenza
n.32/2014 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato illegittimi gli artt. 4 bis e
5

presso la Corte di Appello avrebbe indicato

vicies ter legge n. 49 del 2006; e al decreto-legge 20 marzo 2014, n. 36, conv.
con modif. dalla legge 16 maggio 2014, n. 79, entrata in vigore in data 21
maggio 2014). Le Sezioni Unite della Corte, con la citata sentenza n. 36258 del
24/05/2012 (Rv. 25315001), hanno stabilito il principio secondo il quale
l’aggravante della ingente quantità di cui all’art. 80, comma 2, T.U. Stup. non é
di norma ravvisabile quando la quantità sia inferiore a 2.000 volte il valore
massimo, in milligrammi (valore – soglia), determinato per ogni sostanza nella
tabella allegata al d.m. 11 aprile 2006, ferma restando la discrezionale

3.2. Secondo l’indirizzo seguìto in precedenti decisioni, alle quali in questa
sede si aderisce, la Corte si é espressa in senso affermativo (Sez. 4, n. 55014
del 15/11/2017, Corrao, Rv. 27168001; Sez. 4, n. 49619 del 12/10/2016,
Palumbo, Rv. 26862401; Sez. 6, n. 543 del 17/11/2015, dep. 2016, Pajo, Rv.
26575601; Sez. 6, n. 44596 del 08/10/2015, Maggiore, Rv. 26552301; Sez. 6,
n. 6331 del 04/02/2015, Berardi, Rv. 26234501), sul rilievo che i criteri elaborati
dalle Sezioni Unite con la decisione n. 36258/2012 per l’applicazione
dell’aggravante della ingente quantità mantengono una loro validità, quali criteri
orientativi, individuati a seguito di un’indagine condotta su un numero cospicuo
di sentenze di merito. Nella stessa sentenza Biondi, il criterio individuato era,
peraltro, enunciato rimettendo al giudice di merito la valutazione, soprattutto nel
caso di superamento del valore-soglia, circa la configurabilità dell’aggravante.
3.3. Venendo al caso di specie, la Corte territoriale, richiamando a sua volta
l’indirizzo prevalente qui condiviso, ha ampiamente motivato in ordine alle
ragioni del convincimento raggiunto circa la configurabilità della più volte
menzionata aggravante ad effetto speciale. Nell’affermarne la sussistenza, la
sentenza impugnata ha diffusamente argomentato le ragioni in base alle quali ha
ritenuto indicativi della sussistenza dell’aggravante tanto il superamento del
valore-soglia in termini decisamente ampi (con un superamento nella misura di
oltre il triplo del valore minimo) quanto l’ottima qualità della sostanza, il
rinvenimento di strumentazione necessaria al taglio ed al confezionamento, il
preventivo reperimento del locale in cui custodire la droga.

4. Il quarto motivo di ricorso è inammissibile.
4.1. Sulla base dei dati istruttori già richiamati, la Corte di Appello ha
ritenuto che gli argomenti difensivi a sostegno dell’istanza di applicazione delle
circostanze generiche con giudizio di prevalenza non meritassero accoglimento,
indicando a sostegno della pronuncia la limitata pregnanza degli argomenti spesi
dal primo giudice a sostegno delle attenuanti a fronte del quantitativo ingente ed
eccezionale di stupefacente. Nella motivazione si rinviene specifico esame degli
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valutazione del giudice di merito, quando tale quantità sia superata.

argomenti difensivi, valutati negativamente in ragione della scelta dell’imputato
di rendere dichiarazioni a distanza di oltre un anno in sede di discussione del rito
abbreviato e della fuga in Albania con successivo rientro in Italia per commettere
un altro delitto della stessa specie.
4.2. Contrariamente a quanto dedotto nel ricorso, i giudici di merito hanno
quindi analiticamente esaminato la proporzione tra fatto commesso e sanzione
applicata. Si richiama il principio secondo il quale, nella motivazione della
sentenza, il giudice del gravame di merito non sia tenuto a compiere un’esplicita

spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dalle quali
si dovranno ritenere implicitamente disattese le opposte deduzioni difensive
ancorchè non apertamente confutate (Sez.2, n.9242 del 8/02/2013, Reggio,
Rv.25498801; Sez.6, n.49970 del 19/10/2012, Muià, Rv.25410701; Sez.4,
n.34747 del 17/05/2012, Parisi, Rv.25351201).

5. La censura concernente l’omessa motivazione in merito alla doglianza
afferente la misura dell’espulsione è infondato. La Corte territoriale non ha,
infatti, trascurato di prendere in esame il relativo motivo di appello.
5.1. L’art.86 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 dispone che lo straniero
condannato per uno dei reati previsti dagli artt. 73, 74 e 79, art. 82, commi 2 e
3, del medesimo Testo Unico, a pena espiata, deve essere espulso dallo Stato e
che lo stesso provvedimento di espulsione può essere adottato nei confronti dello
straniero condannato per uno degli altri delitti previsti dal T.U. Stupefacenti. La
Corte Costituzionale (sent. n.58 del 24 febbraio 1995) ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale del citato art. 86, comma 1, nella parte in cui obbligava il giudice
ad emettere, senza l’accertamento della sussistenza in concreto della pericolosità
sociale, contestualmente alla condanna, l’ordine di espulsione, eseguibile a pena
espiata, nei confronti dello straniero condannato per uno dei reati di cui sopra.
5.2. La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha più volte chiarito che,
non sussistendo, a seguito della sentenza della Corte costituzionale, una
presunzione assoluta di pericolosità, la verifica circa la sussistenza della
pericolosità sociale del condannato deve essere compiuta alla luce degli elementi
indicati dall’art. 133 cod. pen. ed essere assistita da adeguata motivazione (Sez.
F, n. 35432 del 14/08/2013, Weng, Rv. 25581501; Sez. 6, n. 45468 del
23/11/2010, Gjondrekaj, Rv. 24896101; Sez. 4, n. 46759 del 25/10/2007,
Cekodhima, Rv. 23835901).
5.3. E, secondo quanto si legge a pag.5 della sentenza, si è descritta la (,
condotta dell’imputato successiva al delitto, stigmatizzandone espressamente la
spiccata pericolosità sociale.
7

analisi di tutte le deduzioni delle parti, essendo necessario e sufficiente che

6. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato; segue, a norma
dell’art.616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

P.Q.M.

processuali.
Così deciso il 29 marzo 2018

Il C

Il Presidente
Rocco Marco Blaiotta

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

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