Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20103 del 22/12/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 20103 Anno 2015
Presidente: FUMO MAURIZIO
Relatore: MICHELI PAOLO

Data Udienza: 22/12/2014

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
Zammataro Salvatore, nato a Catania il 21/12/1989

avverso l’ordinanza emessa il 18/03/2014 dal Tribunale di Caltanissetta

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Mario Pinelli, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
udito per il ricorrente (all’udienza del 09/10/2014) l’Avv. Antonino Grippaldi, il
quale ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso, e l’annullamento
dell’ordinanza impugnata

RITENUTO IN FATTO

I difensori di Salvatore Zammataro ricorrono avverso l’ordinanza indicata in
epigrafe, recante la conferma di un provvedimento restrittivo della libertà

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personale emesso dal Gip del Tribunale di Caltanissetta il 10/02/2014, oggetto di
richiesta di riesame ex art. 309 del codice di rito; il prevenuto risulta sottoposto
alla misura cautelare della custodia in carcere in quanto ritenuto partecipe di
un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti e di correlati
delitti di cui all’art. 73 del d.P.R. n. 309/1990, con l’aggravante prevista dall’art.
7 del d.l. n. 152 del 1991.
La difesa lamenta radicale mancanza di motivazione dell’ordinanza restrittiva
originaria, che il collegio del riesame avrebbe illegittimamente ritenuto

contenuto della presupposta richiesta del Pubblico Ministero, senza alcun
elemento di rivalutazione degli elementi ivi rappresentati (segnatamente sulla
posizione dello Zammataro, in ordine al quale il giudice aveva prospettato
sintetiche osservazioni sulla sussistenza di un’aggravante), pertanto il Tribunale
non avrebbe potuto considerare esistente quella motivazione, dovendo invece
ritenere preclusa ogni possibilità di integrazione.
A sostegno delle proprie argomentazioni, il difensore dell’indagato invoca
plurimi riferimenti giurisprudenziali di legittimità.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non può trovare accoglimento.
1.1 Secondo la giurisprudenza di questa Corte, «in tema di misure cautelari
personali, l’obbligo di motivazione dell’ordinanza applicativa della custodia
cautelare in carcere non può ritenersi assolto, per quanto concerne l’esposizione
dei gravi indizi di colpevolezza, con la mera evidenziazione grafica in grassetto
degli elementi di fatto (nella specie, estrapolati dal compendio
dell’intercettazione), occorrendo invece una valutazione critica ed argomentata
delle fonti indiziarie singolarmente assunte e complessivamente considerate, il
cui controllo in sede di legittimità deve limitarsi a verificarne la rispondenza alle
regole della logica, oltre che del diritto, e all’esigenza di completezza espositiva»
(Cass., Sez. VI, n. 18728 del 19/04/2012, Russo, Rv 252645); è stato altresì
affermato, con altra e più recente pronuncia parimenti richiamata dalla difesa del
ricorrente, che «l’obbligo di motivare l’ordinanza applicativa di misure coercitive
nonché quella di conferma in sede di riesame non può ritenersi assolto dalla
semplice riedizione del compendio investigativo, facendo leva sull’autoevidenza
dello stesso» (Cass., Sez. VI, n. 27928 del 14/06/2013, Ferrara, Rv 256262).
La stessa Sezione Sesta, sviluppando ulteriormente i principi appena
ricordati, ha poi precisato che «il potere-dovere del Tribunale del riesame di

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integrabile: ad avviso del ricorrente, il Gip si era limitato a richiamare il

integrazione delle insufficienze motivazionali del provvedimento impugnato non
opera, oltre che nel caso di carenza grafica, anche quando l’apparato
argomentativo, nel recepire integralmente il contenuto di altro atto del
procedimento, o nel rinviare a questo, si sia limitato all’impiego di mere clausole
di stile o all’uso di frasi apodittiche, senza dare contezza alcuna delle ragioni per
cui abbia fatto proprio il contenuto dell’atto recepito o richiamato, o comunque lo
abbia considerato coerente rispetto alle sue decisioni» (Cass., Sez. VI, n. 12032
del 04/03/2014, Sanjust, Rv 259462).

cui laddove «l’ordinanza cautelare coercitiva del Gip sia motivata per relationem,
richiamando integralmente e facendo motivatamente propria la richiesta del
P.M., il Tribunale del riesame, anche ove ritenga che la motivazione del
provvedimento promanante solo dal Gip sia inadeguata per la sua eccessiva
stringatezza e mancanza di approccio critico rispetto alla richiesta del P.M., non
può prescindere dall’esame del materiale indiziario riepilogato dal P.M., avendo il
potere-dovere di integrare la motivazione del provvedimento genetico» (Cass.,
Sez. II, n. 30696 del 20/04/2012, Okunmweida, Rv 253326). La difesa dello
Zammataro manifesta di aderire al primo dei due approcci esegetici illustrati,
osservando che «ove si ritenesse legittima la “costruzione” della motivazione
assente da parte del giudice dell’impugnazione cautelare, si finirebbe per
attribuire un potere abnorme al Tribunale del riesame, con conseguente
mortificazione del diritto che spetta al destinatario della misura privativa della
libertà di conoscerne le ragioni sottese, e con la bizzarra conclusione che
l’impugnazione dell’indagato, che lamenti la nullità per omessa motivazione,
inneschi un meccanismo riparatorio in danno del medesimo impugnante».
1.2 Nell’analisi della fattispecie concreta deve tuttavia osservarsi che non
ricorrono i presupposti per poter ravvisare nella ordinanza primigenia del Gip
nisseno un vizio di carenza assoluta di motivazione, come potrebbe ritenersi
accada nelle ipotesi in cui il giudice si limiti a riportare tout court, e del tutto
acriticamente, il contenuto di atti di indagine o della presupposta richiesta del
P.M., senza alcun elemento indicativo di una effettiva e pur parziale disamina: va
segnalato, peraltro, che le vicende in occasione delle quali la Sezione Sesta di
questa Corte ha inteso affermare la linea interpretativa anzidetta si
caratterizzavano proprio per un radicale difetto di apparato argomentativo nel
primo provvedimento restrittivo (ad esempio, nella ricordata sentenza Sanjust,
come risulta dalla massima ufficiale, la motivazione dell’ordinanza applicativa
della misura cautelare «era costituita dalla integrale trascrizione della richiesta
del P.M., preceduta da una generica affermazione circa la sussistenza delle
condizioni di legge per applicare la misura custodiale, e seguita solo dall’ulteriore
402)1/
Alt

»111119.-

A tale, rigoroso orientamento, si contrappone un diverso indirizzo secondo

locuzione “ricorrono, sulla base delle considerazioni sopra esposte, gravi indizi di
colpevolezza in ordine ai gravi reati ipotizzati”).
Una situazione siffatta non si registra nel caso di specie: ferma restando la
non discussa congruità e completezza della motivazione “integrativa” adottata
dal Tribunale di Caltanissetta, la presupposta ordinanza – riprodotte le
contestazioni di reato, dove si dava atto che a carico dello Zammataro si
procedeva per reati ex artt. 73 e 74 t.u. stup., aggravati ai sensi dell’art. 7 del
d.l. n. 152/1991 – dava contezza dei risultati delle indagini, osservando in

effettuata dal P.M. nella richiesta di applicazione della misura cautelare
custodiale […] per gli indagati elencati in epigrafe, e le considerazioni in essa
sviluppate a sostegno del grave quadro indiziario che emerge a loro carico
inducono a riportare integralmente detta richiesta».
A pag. 248 era evidenziato che secondo l’ipotesi degli inquirenti – nella
descrizione dell’organigramma della struttura criminale sottesa alle contestazioni
di cui sopra – l’odierno ricorrente doveva intendersi una figura intermedia fra i
soggetti di vertice del sodalizio (facente capo alla famiglia Tirendi) e coloro che
erano stati incaricati dello spaccio di droga al minuto; l’illustrazione specifica
della posizione dello Zammataro – sia pure riproducendo ancora il contenuto
della sottesa richiesta, ma sempre considerando la preliminare valutazione di
esaustività e correttezza della ricostruzione operata dal P.M. – veniva ribadita a
pag. 343, dove era precisato che nei riguardi dell’indagato «l’inserimento stabile
nell’associazione di cui al capo d’imputazione D) si desume dalla circostanza che
veniva stabilmente impiegato per la vendita al dettaglio della marijuana. Inoltre
Zammataro si occupava della riscossione per conto dei Tirendi dei proventi
dell’attività degli altri spacciatori. A suo carico le dichiarazioni del collaboratore
Di Giovanni, il quale ha riferito che lo Zammataro, a causa della sua
appartenenza all’associazione facente riferimento ai Tirendi, era stato minacciato
da Leonardi Prospero, il quale gli aveva proibito di continuare a spacciare a
Catenanuova per conto dei Tirendi, poco prima che lo stesso Leonardi venisse
ucciso».
L’ordinanza richiamava altresì le intercettazioni più significative tra quelle
evidenziate dalla polizia giudiziaria e riportate per esteso nella richiesta del P.M.:
sulla persona dello Zammataro, e sul suo coinvolgimento nelle condotte
criminose de quibus, ne venivano indicate e trascritte (fra le altre) alle pagg. 71,
116, 143, 193, 216, 219, 225, 257, 263, 309, 333. Una di queste – nel corso
della quale gli interlocutori, tra cui il ricorrente, discutevano di armi
dimostrandone la contestuale disponibilità (visto che dall’ascolto si udiva il nitido
rumore di “scarrellamento” di una pistola) – era definita dal Gip «di rilevanza

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premessa che «l’esaustiva e puntuale ricostruzione del materiale investigativo

assoluta»: a riguardo, veniva segnalato – con osservazioni proprie del giudice,
ulteriori rispetto al quadro offerto nella richiesta e fino a quel momento oggetto
di richiamo per relationem

che la disponibilità di una pistola in capo allo

Zammataro e ad altri membri del presunto sodalizio confermava la sussistenza
dell’aggravante di cui all’art. 74, comma 4, d.P.R. n. 309/1990.
In punto di esigenze cautelari, ancora una volta con argomentazioni
autonome del Gip, veniva rappresentato con riguardo (anche) al ricorrente che
«il contesto associativo nel quale è stata condotta l’incessante e ripetuta attività

commessa avvalendosi delle condizioni di assoggettamento e di omertà
derivante dal vincolo associativo ex art. 416-bis cod. pen. e comunque al fine di
agevolare le attività dell’associazione mafiosa, cui le “squadre” operanti nel
traffico degli stupefacenti facevano riferimento, dimostra come gli indagati sopra
indicati traessero dall’attività delittuosa che si contesta loro i proventi necessari
per il vivere quotidiano. Ciò induce ad escludere l’occasionalità della condotta
[…], che […] si protrae da più anni sino ad epoca decisamente recente e non ha
subito alcuna interruzione nonostante le carcerazioni che hanno interessato
alcuni degli indagati che di tale condotta erano protagonisti, e ciò a
dimostrazione della capacità delle “squadre” di organizzarsi e fare fronte a
momentanee contingenze sfavorevoli per la loro sopravvivenza». La pregressa
incensuratezza dello Zamnnataro, al pari dell’identico status di altri indagati, non
era considerata indicativa di un più attenuato pericolo di recidiva specifica,
atteso che la gravità degli addebiti e la costante ripetizione nel tempo di
condotte illecite in tema di cessione di stupefacenti dimostravano al contrario
«una tale abitudine, professionalità commerciale ed assuefazione a tale tipo di
commercio da rendere evidente come ogni altra misura diversa dalla custodia in
carcere appaia del tutto inadeguata a scongiurare il rischio di reiterazione».
1.3 Si rivela pertanto evidente come il provvedimento emesso dal Gip non
fosse in alcun modo privo di una motivazione sua propria. Vero è che, nella
esposizione della ritenuta sussistenza di una adeguata piattaforma di gravità
indiziaria, il giudicante si era limitato a dare contezza delle risultanze delle
investigazioni, ma aveva comunque:
– preliminarmente spiegato che la ricostruzione dei fatti operata dal P.M. doveva
ritenersi esaustiva e meritevole di piena condivisione;
– offerto in sostanza, ed ancora in linea con le valutazioni del Procuratore della
Repubblica, una autonoma interpretazione dei colloqui intercettati chiarendo
quale ruolo dello Zammataro ne emergesse, seppure svolgendo tale disamina
analizzando la posizione dell’indagato in ordine alla sussistenza delle esigenze
cautelari. Il richiamo alla costante condotta del ricorrente nel commer o di

asor
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di cessione, trasporto ed illecita detenzione di sostanze stupefacenti […],

stupefacenti, come pure alla esistenza di “squadre” che si occupavano di tali
attività sotto l’egida di una consorteria criminale di tipo mafioso, era infatti
immediatamente ricollegabile – senza alcuna necessità di chiarificazione
ulteriore – alla precedente narrativa sul contenuto delle intercettazioni, da cui
risultava ad esempio che lo Zamnnataro teneva informati i compartecipi
sull’identità degli spacciatori che assoldava (pagg. 193 e segg.), si soffermava
sulla qualità degli stupefacenti da lui venduti, migliore della droga normalmente
reperibile (pagg. 219 e segg.), commentava il passaggio di spacciatori da un

– evidenziato che l’indagato risultava membro di un’associazione che disponeva
financo di armi, come risultante dall’intercettazione ricordata, cui era stato
dedicato uno specifico commento.

2. Il rigetto del ricorso comporta la condanna dello Zammataro al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità.
Dal momento che alla presente decisione non consegue la rimessione in
libertà del ricorrente, dovranno essere curati dalla Cancelleria gli adempimenti di
cui al dispositivo.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp..
att. cod. proc. pen.

Così deciso il 22/12/2014.

gruppo ad un altro (pagg. 225 e segg.);

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