Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20073 del 26/01/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 20073 Anno 2015
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: POSITANO GABRIELE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CERRONE NICOLA CARMINE N. IL 15/01/1949
ZURLO DAMIANA COSMA N. IL 19/02/1959
avverso la sentenza n. 52/2011 CORTE APPELLO di CAMPOBASSO,
del 04/02/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/01/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 26/01/2015

Il Procuratore generale della Corte di Cassazione, dr Mario Fraticelli, conclude chiedendo
l’annullamento con rinvio limitatamente alla qualificazione giuridica e conseguente trattamento
sanzionatorio.
Per il ricorrente è presente l’Avvocato Giulia Michela Antignani, la quale chiede l’accoglimento
del ricorso.

1. Il difensore di Cerrone Nicola Carmine e di Zurlo Damiana Cosma propone ricorso per
cassazione contro la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Campobasso, in data 5
febbraio 2014, che, in parziale riforma della decisione resa dal Tribunale di Larino,
Sezione distaccata di Termoli, in data 9 marzo 2010, rideterminava la pena in
conseguenza della concessione della circostanza attenuante prevista all’articolo 62 n. 4
c.p, confermando la penale responsabilità nei confronti degli imputati, ritenuti colpevoli
del delitto di furto aggravato, ai sensi degli articoli 624 e 625 n. 2 del codice penale,
poiché gli stessi si erano impossessati, presso il supermercato Conad, in Termoli, di
merce di vario genere, sottraendola dagli scaffali.
2. Gli imputati erano stati identificati dalle forze dell’ordine poiché il vicedirettore del
supermercato li aveva inseguiti, dopo essersi accorto della sottrazione della merce,
visionando il monitor del servizio di videosorveglianza interna.
3. Avverso la sentenza di primo grado avevano proposto appello entrambi gli imputati i
quali, pur non contestando la ricostruzione in fatto della vicenda operata dal primo
giudice, avevano dedotto la nullità della sentenza per mancata correlazione tra
l’imputazione contestata e la sentenza, avendo il Tribunale pronunziato condanna per il
delitto di furto aggravato consumato laddove, invece, nel capo d’imputazione era stato
contestato il tentativo di furto aggravato. Con il secondo motivo avevano sostenuto
l’inconfigurabilità dell’aggravante, con conseguente improcedibilità dell’azione penale
per difetto di querela, poiché la circostanza di avere occultato la merce nella borsa sotto
il giaccone non costituirebbe mezzo fraudolento. In ogni caso hanno sostenuto che in
tale condotta sarebbe ravvisabile solo il tentativo di furto, lamentando la mancata
concessione dell’attenuante relativa all’esiguo valore della refurtiva.
4. Contro la decisione del giudice di secondo grado, che ha ritenuto fondato soltanto tale
ultimo motivo, propongono ricorso per cassazione, per il tramite del difensore, gli
imputati lamentando:

RITENUTO IN FATTO

violazione dell’articolo 625 n. 2 del codice penale attesa l’insussistenza dell’aggravante
del mezzo fraudolento, poiché l’espediente di occultare la merce nella borsa e nella
giacca era risultato naturalmente inidoneo ad ingannare il personale;

violazione degli articoli 129, 336 e 337 del codice di rito poiché, in difetto
dell’aggravante contestata, ricorrerebbe l’improcedibilità per mancanza di valida
querela, tale non potendosi intendere quella presentata dal vice direttore del centro
commerciale;
violazione delle medesime disposizioni a causa della carenza di legittimazione attiva del

vicedirettore, privo del potere di rappresentanza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Preliminarmente, risultando pacificamente che le condotte in esame sono state
monitorate attraverso le immagini videoregistrate, il reato in oggetto va correttamente
qualificato in termini di tentativo, così come sostenuto dalla difesa in appello, sulla base
del principio recentemente affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui, in
caso di furto in supermercato, il monitoraggio dell’azione furtiva in essere, esercitato
mediante appositi apparati di rilevazione automatica del movimento della merce ovvero
attraverso la diretta osservazione da parte della persona offesa o dei dipendenti addetti
alla sorveglianza ovvero delle forze dell’ordine presenti nel locale ed il conseguente
intervento difensivo “in continenti”, impediscono la consumazione del delitto di furto
che resta allo stadio del tentativo, non avendo l’agente conseguito, neppure
momentaneamente, l’autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, non ancora
uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo del soggetto passivo (Sez. U, Sentenza n.
52117 del 17/07/2014 Rv. 261186). Conseguentemente la decisione va annullata sotto
tale profilo, oltre che, per quello che si dirà, con riferimento alla sussistenza
dell’aggravante ex art. 625 n. 2 c.p. oggetto del primo motivo di ricorso.
2. Infatti, con il tale motivo il ricorrente lamenta vizio di motivazione riguardo
all’applicazione della citata aggravante di cui all’articolo 625, n. 2 del codice penale. La
giurisprudenza di legittimità ha escluso, secondo la difesa, che il mero “nascondimento”
dell’oggetto rubato nelle tasche della giacca configuri l’aggravante del mezzo
fraudolento.
3. Il motivo è fondato. Le Sezioni Unite di questa Corte, investite della questione, hanno
recentemente escluso la configurabilità dell’aggravante nel caso di occultamento sulla
persona o nella borsa di merce esposta in un esercizio di vendita “self-service” (Sez. U,
n. 40354 del 18/07/2013 – dep. 30/09/2013, Sciuscio, Rv. 255974). Infatti, nel reato di
furto, l’aggravante dell’uso del mezzo fraudolento delinea una condotta, posta in essere
nel corso dell’azione delittuosa dotata di marcata efficienza offensiva e caratterizzata da

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insidiosità, astuzia, scaltrezza, idonea, quindi, a sorprendere la contraria volontà del
detentore e a vanificare le misure che questi ha apprestato a difesa dei beni di cui ha la
disponibilità. Tali elementi non possono ritenersi sussistenti nel caso in esame, in
considerazione delle modalità della condotta, delle dimensioni, del numero dei beni
occultati e dell’inidoneità degli strumenti. La decisione, pertanto, va annullata senza
rinvio sul punto, attesa la non configurabilità della dedotta aggravante nel caso di
specie.

di una valida querela, non potendosi ravvisare nel modulo depositato dal Vicedirettore
del centro commerciale, la reale volontà di perseguire il colpevole.
5. Con l’ultimo motivo il difensore deduce la carenza di legittimazione attiva del
querelante, rilevando che il Vicedirettore del centro commerciale non è abilitato a
rappresentare la società proprietaria del centro.
6. Per entrambe le censure va preliminarmente osservato che si tratta di motivi nuovi, non
sottoposti all’esame del giudice di appello ed in quanto tali inammissibili.
7. In ogni caso, quanto al secondo motivo, dall’esame della querela del 30 ottobre 2007
emerge, come dimostrato in positivo dalla Corte territoriale, con spiegazione immune
da vizi logici e giuridici, che la denuncia contiene la descrizione del fatto reato e la
manifestazione di volontà del querelante di punire il colpevole.
8. Quanto all’ultimo motivo, relativo alla legittimazione del vicedirettore, deve trovare
applicazione il recente indirizzo giurisprudenziale, riferibile anche alla figura del
Vicedirettore, sulla base del quale le Sezioni Unite di questa Corte hanno riconosciuto al
responsabile di un supermercato la legittimazione a proporre querela. Infatti, il bene
giuridico protetto dal delitto di furto è individuabile non solo nella proprietà o nei diritti
reali personali o di godimento, ma anche nel possesso – inteso come relazione di fatto
che non richiede la diretta fisica disponibilità – con la conseguenza che anche al titolare
di tale posizione di fatto spetta la qualifica di persona offesa e, di conseguenza, la
legittimazione a proporre querela (Sez. U, n. 40354 del 18/07/2013 – dep. 30/09/2013,
Sciuscio, Rv. 255975). Tali considerazioni trovano applicazione nel caso di specie poiché
il furto è un fatto illecito che si manifesta nella sottrazione, ancor prima che
nell’inflizione di un danno patrimoniale. La citata sentenza riprende i risultati di una
lunga elaborazione teorica sulla nozione di “possesso penalistico” in termini ampi,
pervenendo alla conclusione, condivisa da tempo dalla dottrina penalistica e dalla
giurisprudenza, della maggiore latitudine del concetto di possesso nel diritto penale, nel
quale ha rilievo quella signoria di fatto sulla res che consente al titolare di fruirne e
disporne in modo indipendente dall’eventualmente maggior potere giuridico altrui.

4. Con il secondo motivo il ricorrente eccepisce l’improcedibilità del giudizio per mancanza

9. Tanto che sul piano della tutela penale rileva anche la relazione possessoria, non
sorretta da base giuridica, clandestina o addirittura illecita, con la conseguenza che
costituisce furto anche la sottrazione della refurtiva al ladro (nell’ottica pubblicistica del
diritto penale, la spoliazione in danno del ladro non rende meno biasimevole la condotta
e giustifica, pertanto, la reazione punitiva).
10. Poiché il bene giuridico protetto dal reato di furto è costituito; non – solo -dal diritto di
proprietà e dai diritti reali e personali di godimento, ma anche dal possesso, inteso

di fatto con la cosa, che implica il potere di utilizzarla e gestirla, il responsabile di un
esercizio commerciale e, quindi, anche il vicedirettore, che si trovano certamente in una
relazione con la merce riconducibile a uno dei paradigmi sopra indicati, è da considerare
persona offesa dal reato e, come tale, legittimata a proporre querela, abbia o non, i
poteri rappresentativi dell’imprenditore.
P.Q.M.
Qualificato il fatto come furto tentato ed esclusa l’aggravante di cui all’art. 625 n. 2 c.p.
annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Salerno per il trattamento
sanzionatorio.
Così deciso il 26/01/2015

quest’ultimo quale detenzione qualificata, cioè caratterizzata da un’autonoma relazione

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