Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20068 del 22/12/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 20068 Anno 2015
Presidente: FUMO MAURIZIO
Relatore: POSITANO GABRIELE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
VALENTE SAVINO N. IL 29/08/1983
avverso la sentenza n. 25786/2013 CORTE DI CASSAZIONE di
ROMA, del 10/01/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 22/12/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 22/12/2014

Il Procuratore generale della Corte di Cassazione, dr Mario Pinelli, conclude chiedendo
l’annullamento con rinvio ai fini della rideterminazione della pena
Per il ricorrente è presente l’Avvocato Alessandro Cristofori, il quale chiede l’accoglimento del
ricorso.
RITENUTO IN FATTO

sentenza emessa dalla Corte Suprema di Cassazione, Prima Sezione Penale, in data 10
gennaio 2014, che ha annullato la decisione del 1° ottobre 2012, adottata dalla Corte
d’Appello di Bologna, limitatamente al delitto di cui all’articolo 416 del codice penale,
rigettando nel resto i ricorsi.
2. Con il ricorso straordinario, proposto personalmente, l’imputato deduceva la violazione
dell’articolo 625 bis del codice di rito per essere la Corte Suprema incorsa in errore
materiale o di fatto sull’esistenza dei presupposti di applicazione della recidiva,
erroneamente ritenuta reiterata, in luogo di quella semplice.
3. Il ricorrente deduceva che, come emerge dal certificato del casellario giudiziale, lo
stesso risultava condannato alla data del 10 gennaio 2014, con sentenza di
patteggiamento del 26 marzo 1993 del Tribunale Militare di Roma per violazione delle
norme sull’obiezione di coscienza e con sentenza dell’Il febbraio 1994 dello stesso
organo, per il medesimo reato. Conseguentemente trattandosi di unico precedente,
ovvero di due precedenti, il secondo dei quali ritenuto in continuazione, ed essendo
trascorsi oltre 13 anni dall’irrevocabilità penale, gli stessi devono ritenersi estinti ai
sensi dell’articolo 445 secondo comma del codice di rito, trattandosi di declaratoria
avente natura dichiarativa e ricognitiva di una conseguenza di legge e non essendo
necessario, a tal fine, la formale statuizione di un provvedimento del giudice in sede di
esecuzione. Sulla base di tali elementi ricorrerebbe un errore di fatto sull’esistenza delle
condizioni di applicabilità al condannato della recidiva reiterata che, al più, avrebbe
dovuto essere definita semplice. Sulla base di tali elementi chiede alla Corte di
procedere alla correzione della sentenza emessa il 10 gennaio 2014, eliminando
l’aumento di anni quattro di reclusione ed, eventualmente, rimettendo gli atti ad altra
Sezione della Corte d’Appello di Bologna, per l’esclusione della pena inflitta a Valente
Savino, limitatamente alla frazione relativa alla recidiva reiterata.
4. Con provvedimento del 21 ottobre 2014 questa Corte ha rilevato che erroneamente nel
ricorso era stato dedotto un errore di percezione del contenuto del certificato del
casellario giudiziale, mentre tale censura andava correttamente intesa quale omessa
pronuncia sul punto relativo alla sussistenza della recidiva. Questione che la difesa di
Valente aveva sottoposto all’esame della Corte, come riportato a pagina 26 e seguenti

1. Valente Savino propone ricorso straordinario per cassazione, ex art. 625 bis, contro la

della decisione della Corte di Cassazione la quale, sulla questione specifica, aveva
sostanzialmente omesso di provvedere.
5. In accoglimento del ricorso, ha revocato la sentenza impugnata limitatamente
all’omessa valutazione del motivo di ricorso concernente la sussistenza della recidiva,
fissando l’udienza pubblica per la discussione di tale motivo.
6. Con memoria difensiva depositata il 9 dicembre 2014 il difensore di Valente Savino
produce la decisione emessa il 23 ottobre 2014 dal Gip presso il Tribunale Militare di

coscienza, oggetto della sentenza del Gup del Tribunale Militare di Roma del 26 marzo
1993, divenuta irrevocabile. Tale decisione ha disposto la rimozione, per sopravvenuta
abolizione del reato, ai sensi dell’articolo 673 del codice di rito, dell’aumento di pena
irrogato all’imputato con sentenza del Gup del Tribunale Militare di Roma dell’Il
febbraio 1994, divenuta irrevocabile. Insiste nella richiesta di annullamento della
sentenza del 26 febbraio 2014 della Corte Suprema di Cassazione ai fini dell’esclusione
dell’aumento per la recidiva, eventualmente rimettendo, ad altra sezione della Corte
d’Appello di Bologna, gli atti per la esclusione della pena.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il tema centrale sottoposto all’esame della Corte riguarda la circostanza se l’estinzione
del reato, che ha costituito oggetto di sentenza di patteggiamento, in conseguenza del
verificarsi delle condizioni previste dall’art. 445 comma 2 c.p.p. (cioè la mancata
commissione nel termine previsto – cinque anni, quando la sentenza concerne un
delitto, ovvero due anni, quando la sentenza concerne una contravvenzione – di un
delitto ovvero di una contravvenzione della stessa indole) opera “ipso iure” o richiede
una formale pronuncia da parte del giudice dell’esecuzione e ciò anche ai fini della
recidiva.
2. La questione è stata esaminata da questa Corte (Sez. 4, n. 11560 del 27/02/2002 dep. 21/03/2002, Gjika, Rv. 221240) che, con motivazione stringata, ha adottato la
seconda opzione giuridica, ritenendo che l’estinzione del reato oggetto di sentenza di
patteggiamento, in conseguenza del verificarsi delle condizioni previste dall’art. 445
comma 2 c.p.p. richiede una formale pronuncia da parte del giudice dell’esecuzione ai
sensi dell’art. 676 c.p.p., ritenendo convincente (come si legge in motivazione)
l’osservazione del P.G. presso questa Corte secondo cui “la situazione di fatto da cui
origina la suddetta causa di estinzione del reato per divenire condizione di diritto
abbisogna, per espressa statuizione di legge, dell’intervento ‘ricognitivd del giudice
dell’esecuzione, il quale è tenuto, nell’assolvimento di un suo preciso dovere funzionale,
ad emettere il relativo provvedimento tanto più se sollecitato dalla parte che ha
interesse ad ottenerlo”.

Roma che ha dichiarato l’estinzione del reato di rifiuto del servizio militare per motivi di

3. Nell’affermare il principio la Corte ha accolto il ricorso avverso il provvedimento del
giudice dell’esecuzione che aveva rigettato l’istanza di declaratoria di estinzione del
reato sull’erroneo presupposto che tale sopravvenuta estinzione, ai sensi del citato art.
445, non richiederebbe una formale pronunzia “ricognitiva”.
4. Tale questione ha formato oggetto di numerose decisioni adottate, in ambito
amministrativo, in tema di verifica dei requisiti soggettivi dei partecipanti alle procedure
concorsuali o di appalto. Il giudice amministrativo, richiamando la citata decisione di

per depenalizzazione, ha avuto modo di precisare che ad esso non consegue
automaticamente l’estinzione della condanna, occorrendo, all’uopo uno specifico
provvedimento del giudice competente, con la conseguenza che, nel caso in cui detto
provvedimento interviene quando la procedura concorsuale è già conclusa, esso non
incide sulla sussistenza dei requisiti, che dovevano essere posseduti al momento della
presentazione delle offerte, in ossequio al principio della parità delle condizioni dei
concorrenti (Cons. Stato, Sez. V, 9 giugno 2003, 3241; Cons. Stato Sez. V, 20 marzo
2007 n. 1331).
5. Nonostante il richiamo dei principi contenuti nella citata pronuncia della Corte di
Cassazione da parte della giurisprudenza amministrativa, la decisione è rimasta
sostanzialmente isolata nella giurisprudenza di legittimità. La questione è stata ripresa,
in motivazione in una decisione successiva (Sez. 5, Sentenza n. 31970 del 2008) che in
sede di annullamento con rinvio, ha investito la Corte territoriale della questione,
segnalando la mancata considerazione da parte del giudicante di merito del problema
relativo al fatto che “solo per via interpretativa (ASN 200211560-RV 221240), a fronte
della lettera della legge (appunto il ricordato II comma dell’art. 445 cpp), si è giunti ad
affermare la necessità di un intervento del GE -sia pure in funzione meramente
ricognitiva- al fine della “dichiarazione” di estinzione del reato”.
6. D’altra parte la dottrina, sul punto, ritiene che l’effetto estintivo operi ope legis e non
abbisogni di alcun provvedimento. Infatti, l’art. 676 c.p.p. contiene soltanto
l’attribuzione al giudice dell’esecuzione della competenza a decidere in merito
all’estinzione del reato dopo la condanna; nulla stabilisce in ordine al momento a partire
dal quale si produrrebbero gli effetti propri dell’intervenuta causa estintiva, lasciando
pertanto all’interprete chiarire se tale pronuncia giudiziale abbia un effetto costitutivo o
non piuttosto dichiarativo, di mero accertamento.
7. Ritiene la Corte che il dato testuale – di per sé pressoché autosufficiente – assume, in
materia, un’importanza decisiva. Poiché il tema centrale è l’estinzione del reato per
decorso inattivo del tempo, l’individuazione del dies a quo è argomento nel quale la

questa Corte, sia pure esaminando il differente caso di reato espunto dall’ordinamento

formulazione normativa, in un tema che riveste carattere sostanziale, non può che
assurgere al paradigma della tipicità.
8. Non è consentito, dunque, all’interprete percorrere vie esegetiche (per quanto
anch’esse non prive di argomenti sistematici) che esulino dal dato testuale chiaro che
subordina l’estinzione al verificarsi di una condizione: “se nel termine di cinque anni,
quando la sentenza concerne un delitto, ovvero di due anni, quando la sentenza
concerne una contravvenzione, l’imputato non commette un delitto ovvero una

c.p.p.
9. Le Sezioni Unite di questa corte hanno recentemente affrontato analoghe questioni, in
tema di indulto, affermando il principio secondo cui “nel caso in cui l’esecuzione della
pena sia subordinata alla revoca dell’indulto, il termine di prescrizione della pena
decorre dalla data d’irrevocabilità della sentenza di condanna, quale presupposto della
revoca del beneficio” (Cass. S. U. 30 ottobre 2014 n. 2).
10. La questione che rileva lin questa sede è che le Sezioni Unite hanno ritenuto
maggiormente coerente con i criteri ermeneutici il principio secondo cui, quando un
determinato effetto giuridico (nel caso di specie, l’estinzione del reato, mentre nel caso
esaminato dalle Sezioni Unite, l’estinzione della pena, in entrambi i casi per decorso
inattivo del tempo), l’ipotesi della decorrenza degli effetti dal momento in cui si sono
verificati i presupposti (nel caso esaminato dalle Sezioni Unite, per la revoca del
beneficio precedentemente concesso) deve ritenersi preferibile, rispetto all’opzione
ermeneutica riferita al momento in cui è divenuta definitiva la sentenza di condanna
determinante la causa della revoca dell’indulto stesso.
11.In sostanza, nel caso esaminato dalle Sezioni Unite, ai fini dell’individuazione del dies a
quo per il decorso della prescrizione della pena, in caso di revoca di benefici, si deve
fare riferimento al momento in cui siano, per legge, maturate le condizioni che abbiano
portato alla revoca stessa e non a quello in cui viene adottato il provvedimento di
revoca del beneficio
12.Sulla base di tali considerazioni le Sezioni Unite hanno affermato che la revoca
dell’indulto si determina ope legis (“il beneficio dell’indulto è revocato di diritto”) al
verificarsi della condizione risolutiva (aver commesso un delitto entro il termine
indicato); il dies a quo dal quale decorre la prescrizione della pena è quello in cui la
citata condizione risolutiva si è verificata (art. 172, quinto comma, cod. pen.).
13. L’applicazione dei condivisibili principi sopra espressi al caso di specie comporta che il
provvedimento dichiarativo dell’estinzione, successivo e ricognitivo di un effetto già

contravvenzione della stessa”, come recita testualmente il secondo comma dell’art. 445

verificatosi, resta estraneo al decorrere del tempo ai fini dell’estinzione del reato ex art.
445 c.p.p.
14.Tale impostazione, del resto, non è in contrasto con l’affermazione che si rinviene anche
nelle sentenze citate che escludono l’automatismo degli effetti, richiedendo un
intervento del giudice dell’esecuzione, sebbene in funzione meramente formale,
dichiarativa e ricognitiva.

invece, il fianco alla critica che deriva dall’essere tale l’effetto dipendente dai tempi, i
più vari e spesso lunghi, dell’attività giudiziaria diretta alla declaratoria di estinzione.
16.Si verificano le medesime criticità evidenziate dalle Sezioni Unite: l’essere esposto il
condannato alla maggiore o minore tempestività dei provvedimenti giudiziali, con
lesione del principio di uguaglianza; subire lo stesso condannato le conseguenze della
revoca a maggiore distanza di tempo, così vulnerando i principi, di rango costituzionale,
relativi all’effettività ed alla ragionevole durata del processo (anche della fase esecutiva,
ex art. 111 Cost.), ma anche afferenti ai valori rieducativi (art. 27, secondo comma,
Cost.) per cui l’esecuzione della pena deve essere il più vicino possibile alla
commissione del reato ed alla definitività della condanna.
17.La tesi dell’automatismo degli effetti rappresenta il risultato di una interpretazione
costituzionalmente orientata della norma, coerente con i principi di ragionevole durata,
di sollecita definizione e di minor sacrificio esigibile evincibili dagli artt. 5 e 6 CEDU.
18.In conseguenza dell’automatismo degli effetti estintivi va esclusa la sussistenza della
recidiva e la Corte territoriale, in sede di rinvio, provvederà a rideterminare il regime
sanzionatorio, anche ai fini della continuazione, senza essere vincolata all’obbligo
dell’aumento non inferiore ad un terzo del reato più grave, come previsto dall’art. 81
ultimo comma c.p.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio, per
nuovo esame, ad altra sezione della Corte d’Appello di Bologna.
Così deciso in Roma il 22/12/2014
Il Consigliere estensore

Il Presidente

15.La impostazione opposta, fatta propria da Cass. n. 11569 del 27 febbraio 2002, offre,

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