Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20064 del 12/12/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 20064 Anno 2015
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: PEZZULLO ROSA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PERONI LUISA N. IL 06/06/1954
avverso la sentenza n. 4611/2010 CORTE APPELLO di MILANO, del
24/10/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/12/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ROSA PEZZULLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
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Data Udienza: 12/12/2014

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udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. Vito
D’Ambrosio, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore dell’imputato, avv. Vito Tucci, che ha insistito per raccoglimento del
ricorso

RITENUTO IN FATTO

del locale Tribunale del 4.3.2010, con la quale Peroni Luisa, in qualità di
amministratore unico della società Online Europe s.r.I., dichiarata fallita in data
13.11.2003, era stata condannata alla pena di anni tre e mesi sei di reclusione, per i
reati di bancarotta fraudolenta per distrazione di somme di denaro della società, per un
totale complessivo di C 203.281,85 e di bancarotta fraudolenta documentale, per aver
falsificato le scritture contabili della società fallita, rappresentando una situazione
patrimoniale ed un risultato economico inattendibile.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l’imputata, a mezzo del difensore di
fiducia, affidato a due motivi, con i quali
lamenta:
-con il primo motivo, la violazione dell’art. 606, primo comma, lett. e) c.p.p., per
mancanza di motivazione, risultando il vizio dal testo del provvedimento impugnato,
atteso che l’imputata è stata condannata per aver falsificato alcune scritture contabili
della società Online – falsificazioni consistite, tra l’altro, nel fare apparire la voce
“debiti verso soci per finanziamenti” che in realtà non sarebbero mai stati fatti, voce
“azzerata nel bilancio al 31 dicembre 2002 per effetto della rinuncia al relativo rimborso
da parte dei soci” che, invece, doveva essere iscritta come sopravvenienza passiva di
pari importo, trattandosi di finanziamento effettuato mediante sconto di dieci effetti, per
complessivi C 101.151,99, tornati insoluti in data antecedente la chiusura dell’esercizio,
nonchè nell’inserire nella voce delle “immobilizzazioni immateriali” una posta per C
113.493,71 relativa a beni che, pur figurando essere stati apparentemente acquistati
dalla Online, in realtà non erano mai entrati a fare parte delle disponibilità patrimoniali
della società, perché il formale fornitore, Pubblipress, era risultato soggetto giuridico
inesistente, nel registrare pagamenti per cassa dell’importo di C 24.881,22 in realtà mai
eseguiti, far figurare, come pagamento a saldo delle fatture emesse da
Pubblipress, prelievi per C 51.627,76 effettuati dai conti correnti bancari della società a
favore di terzi, far risultare un saldo cassa di C 10.499,39 non rivenuto dalla curatela
fallimentare, annotare in contabilità le “fatture dei pretesi fornitori Vizzali e Sidi” la cui
“falsità” è “pacifica”- tutte manipolazioni contabili miranti a mascherare le passività
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1.Con sentenza del 24.10.2013 la Corte d’ Appello di Milano confermava la sentenza

della società che aveva perso integralmente il proprio capitale sociale; tuttavia, nella
sua stringata motivazione sul punto, il Giudice di merito non dà una adeguata
spiegazione delle ragioni in base alle quali ha ritenuto che le suddette falsità abbiano
determinato l’irreversibilità del dissesto, cagionando così il fallimento della società, né
indica perché ha considerato che quelle falsità fossero di per sé idonee a danneggiare
concretamente i creditori della società e siano state effettivamente eseguite con il dolo
specifico di recare pregiudizio ai creditori stessi, così come avrebbe dovuto essere per

mediante falsificazione, che richiede, appunto, il dolo specifico;
-con il secondo motivo, i vizi di cui all’art. 606, primo comma, lett. b) ed e) c.p.p., in
relazione agli artt. 223 e 216, comma 1, n. 1 L.Fall., 219, comma 2, n. 1 L.Fall., per
inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e violazione dell’art. 606,
comma 1, lett. e) c.p.p., per mancanza di motivazione, risultando il vizio dal testo del
provvedimento impugnato; in particolare, le scritture contabili della fallita società
Online, secondo l’assunto dei giudici di merito, erano ideologicamente false e, non
attendibili, ma per ritenere che la società avesse il possesso delle somme di denaro,
che sarebbero state poi distratte dal patrimonio sociale, non potevano essere
considerate solo le indicazioni contenute nelle predette scritture contabili, pacificamente
qualificate come non attendibili, perché ideologicamente false; i giudici di merito
hanno affermato la colpevolezza della ricorrente in ordine al reato di bancarotta per
distrazione, solo perché la stessa non avrebbe dato idonee e convincenti spiegazioni in
ordine a quelle somme di danaro che risultavano annotate in contabilità come spese
fatte in nome e per conto della società, ma che in realtà sarebbero state distratte dal
patrimonio sociale nell’interesse della stessa imputata e/o terzi, ma hanno omesso di
considerare che il reato in questione è configurabile solo ove risulti pacificamente
dimostrata la preventiva esistenza nel patrimonio sociale dei beni che costituiscono
l’oggetto della contestata distrazione e dalle risultanze processuali, mentre nella
fattispecie, non è dato conoscere, ad esempio, l’esistenza di un effettivo saldo di C
10.499,39 nelle casse della società, ovvero degli altri importi, così come non è possibile
stabilire se sia mai stata materialmente depositata nella casse della società e, poi,
distratta quella somma di C 116.273,48 che sarebbe stata utilizzata per il pagamento
di fatture fittizie, anzi lo stesso addebito, per come è letteralmente formulato, induce a
credere che la circostanza che la predetta somma sia confluita nelle casse sociali è
desumibile solo dalle scritture contabili, indicandosi nel capo di imputazione che la
distrazione di C 116.273,48 sarebbe avvenuta “mediante esposizione di passività
inesistenti attraverso la registrazione di pagamenti per cassa a saldo dì fatture relative
a fornitori fittizi”, senza alcuna verifica della disponibilità da parte della Online di quella
somma indicata nella contabilità come pagata per cassa in contante alla inesistente
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potersi configurare il contestato reato di bancarotta fraudolenta documentale commesso

società Pubblipress; identico ragionamento vale con riguardo all’altro addebito,
ovverosia quello di aver distratto la somma di C 24.881,22 attraverso la registrazione di
pagamenti per cassa a fornitori mai eseguiti nella realtà; la circostanza che in
contabilità figurino pagamenti di alcuni debiti della società, in realtà da questa mai
eseguiti, non è di per sé sufficientemente idonea a dimostrare che quella somma sia
mai confluita nelle casse sociali e che di essa si sia illecitamente appropriata l’imputata.

Il ricorso non merita accoglimento.
1.Con il primo motivo di ricorso la ricorrente, amministratore unico della società
fallita Online Europa s.r.I., in sostanza si duole dell’insussistenza del dolo specifico per
la configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta documentale, operata mediante
falsificazione delle scritture contabili, a lei ascritto. Giova premettere che la
giurisprudenza di questa Corte è costantemente orientata nel senso che, mentre “per le
ipotesi di sottrazione, distruzione o falsificazione di libri e scritture contabili, per
espresso dettato della legge (art. 216, primo comma n. 2, legge fallimentare) è
necessario il dolo specifico, consistente nello scopo di procurare a sè o ad altri un
ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori”(Sez. V, 13 ottobre 1993, Trombetta,
m. 195896), per le ipotesi di irregolare tenuta della contabilità, caratterizzate dalla
tenuta delle scritture “in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o
del movimento degli affari”, è richiesto, invece, il dolo intenzionale, perché la finalità
dell’agente è riferita a un elemento costitutivo della stessa fattispecie oggettiva,
l’impossibilità di ricostruire il patrimonio e gli affari dell’impresa, anziché a un elemento
ulteriore, non necessario per la consumazione del reato, qual’è il pregiudizio per i
creditori (Cass., sez. V, 18 febbraio 1992, De Simone, m. 189813).
E’ stato evidenziato, tuttavia, come nella prospettiva dell’accertamento, alle diverse
configurazioni del dolo nelle due ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale non
corrisponde una sostanziale diversificazione nell’onere probatorio per l’accusa, perché è
pur sempre necessario escludere in entrambi i casi la rilevanza di un atteggiamento
psicologico di mera superficialità dell’imprenditore fallito
(Sez. 5, n. 5905 del 06/12/1999, Rv. 216267).
Nel caso in esame va senz’altro escluso l’atteggiamento di superficialità dell’imputata,
vedendosi, come è dato evincere dalle sentenze di merito, senza che sul punto siano
state svolte serie contestazioni, in plurime e diverse tipologie di falso, operate in un
momento in cui la società aveva già perso integralmente il capitale sociale e le
manipolazioni contabili, erano dirette, pertanto, a nascondere perdite che si
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CONSIDERATO IN DIRITTO

aggiungevano a quelle derivanti dall’occultamento di altre passività. Emblematica in
proposito, è stata ritenuta, ad esempio, la posta corrispondente
alla “immobilizzazioni immateriali” per C 113.493,71, rappresentato dal software
fatturato società Pubblipress, società questa inesistente, con emersione della relativa
perdita, ovvero la voce relativa a finanziamenti per complessi 26.0347, 00, trattandosi
di versamenti registrati per cassa, ovvero ancora la voce “debiti verso soci per
finanziamenti”, che risulta azzerata nel bilancio 31.12.2002, per effetto della rinuncia al
relativo rimborso da parte dei medesimi, che, peraltro, trattandosi di finanziamento

in data antecedente alla chiusura dell’esercizio, l’amministratore avrebbe dovuto
iscrivere come sopravvenienza passiva di pari importo. Tali elementi, in uno agli altri
compiutamente esposti nelle sentenze di merito, valutati alla luce della circostanza che
la Online era stata ammessa all’amministrazione controllata revocata, dopo
poco, anche per effetto della contraffazione di alcuni documenti depositati dalla società
(cfr. copia di una fidejussione CFR- Centro raccolta finanziaria- s.p.a. per C 250.000,00
a garanzia del fabbisogno concordatario contraffatta nell’importo) sono stati senza
ritenuti senza illogicità rappresentativi della volontà dell’imputata di occultare perdite di
esercizio e patrimoniali della società, tali che avrebbero dovuto imporre al 31.12.2002
la ricostituzione del capitale e non certo l’ammissione all’amministrazione controllata,
con lo scopo, quindi, di recare pregiudizio ai creditori.
2. Del pari infondato si presenta il secondo motivo di ricorso, con il quale l’imputata
adduce l’inidoneità della prova delle avvenute distrazioni, in quanto fondata sulle
risultanze delle scritture contabili ritenute false e su elementi che non comproverebbero
la disponibilità da parte della società dei beni ritenuti distratti.
Giova premettere in proposito che la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione
del principio più volte enunciato da questa Corte secondo cui in materia di bancarotta
fraudolenta la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società
dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione, ad opera
dell’amministratore, della destinazione dei beni suddetti (Sez. 5, n.

22894 del

17/04/2013; Sez. 5, n. 19896 del 07/03/2014; Sez. 5, n. 7048 del 27 novembre 2008,
Bianchini, Rv. 243295; Sez. 5, n. 3400/05 del 15 dicembre 2004, Sabino, Rv. 231411).
L’art. 87, comma 3, L. Fall., in particolare (anche prima della sua riforma) assegna al
fallito obbligo di verità circa la destinazione dei beni di impresa al momento
dell’interpello formulato dal curatore al riguardo, con espresso richiamo alla sanzione
penale, sicchè le condotte descritte all’art. 216, comma 1, n. 1 (tra loro sostanzialmente
equipollenti) hanno (anche) diretto riferimento alla condotta infedele o sleale del fallito
nel contesto dell’interpello. Osservazioni che giustificano l'(apparente) inversione
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effettuato mediante sconto di dieci effetti per complessivi C 101.151,99 tornati insoluti,

dell’onere della prova ascritta al fallito nel caso di mancato rinvenimento di cespiti da
parte della procedura e di assenza di giustificazione al proposito (o di giustificazione
resa in termini di spese, perdite ed oneri attinenti o compatibili con le fisiologiche regole
di gestione) (Sez. 5, n. 22894 del 17/04/2013). Trattasi, invero, di sollecitazione al
diretto interessato della dimostrazione della concreta destinazione dei beni o del loro
ricavato, risposta che (presumibilmente) soltanto egli, che è (oltre che il responsabile)
l’artefice della gestione, può rendere (Sez. 5, n. 7588 del 26 gennaio 2011, Buttitta e
in

motivazione).

2.1.Nel caso di specie l’imputata, come in sostanza rilevato dai giudici di merito,
non ha dimostrato che le somme pervenute alla società – e sul punto non ha peraltro
svolto serie contestazioni- fossero state effettivamente utilizzate per realizzare un
obiettivo sociale. Ed invero, per quanto concerne la somma di euro
10.499,39 costituente il saldo cassa, i giudici d’appello senza incorrere in vizi hanno
ritenuto integrata la condotta distrattiva, non essendo stata rinvenuta tale somma, in
uno alle giustificazioni rimaste solo enunciate prive di riscontro (come ad es. con
fatture, ricevute per spese vive e quant’altro, indicazioni di eventuali specifici
collaboratori e di eventuali specifici compensi) della Peroni, secondo cui il fondo cassa
era servito per il pagamento, peraltro parziale delle spese della ammissione
all’amministrazione controllata Quanto poi alla somma complessiva di euro
116.273,48, riguardante la registrazione di pagamenti per cassa a saldo di fatture
relative a fornitori fittizi- la Pubblipress, società risultata inesistente per falsità di tutti
gli elementi identificativi (numero di telefono, codice fiscale, partita IVA e numero di
iscrizione alla Camera di Commercio)- la Corte territoriale con ragionamento, anche qui
immune da vizi logici, ha evidenziato come, nel corso dell’inventario dei beni della
società da parte del curatore, l’imputata ben poteva interloquire in merito al
mancato rinvenimento del software e del gioco che la (inesistente) Pubblìpress
avrebbe ceduto. La somma, poi, di euro 24.881,2, anch’essa è stata ritenuta oggetto di
distrazione essendo, con ragionamento non censurabile, riconducibile ad una serie di
pagamenti effettuati per cassa a creditori della società che però non risultavano essere
pervenuti, per i quali l’imputata non è stata in grado di produrre ricevute, così come la
somma di euro 51.627,76 è stata ritenuta anch’essa oggetto di distrazione, attraverso
prelevamenti dai conti bancari alla società fallita e contabilizzati come pagamenti a
fornitori non eseguiti.
3. Il ricorso va, pertanto, rigettato, e la ricorrente va condannata al pagamento, ai sensi
dell’art. 616 c.p.p., delle spese del procedimento.
p.q.m.

5

altri,

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 12.12.2014

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