Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20058 del 20/02/2018


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 20058 Anno 2018
Presidente: DI NICOLA VITO
Relatore: GAI EMANUELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Panicucci Andriano, nato a Firenze il 26/03/1974

avverso la sentenza del 16/09/2015 della Corte d’appello di Firenze

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Emanuela Gai;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Francesco Salzano, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 16 settembre 2015, la Corte d’appello di Firenze, in
parziale riforma della sentenza del Giudice dell’Udienza preliminare del Tribunale
di Firenze, rideterminava la pena inflitta a Adriano Panicucci, per effetto
dell’applicazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 2014, ad anni
due e mesi quattro di reclusione e C 8000 di multa, in relazione al reato di cui
all’art. 73 comma 4 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, per avere ceduto sostanza
stupefacente tipo hashish del peso di grammi 200 a Marco Castrocane (capo b) e
del reato di cui agli artt. 110 cod.pen. e 73 comma 4 d.P.R. 9 ottobre 1990, n.
309 per avere, in corso con Fresenga Federica, detenuto a fini di spaccio grammi

Data Udienza: 20/02/2018

482,2 di hashish, rinvenuti a bordo dell’auto sulla quale viaggiavano e ulteriori
grammi 14,3 della medesima sostanza rinvenuti nella abitazione (capo c), fatti
commessi in epoca antecedente e prossima al 24 marzo 2010.
1.1. In particolare, il giudice di secondo grado, dopo aver esposto i motivi di
appello della difesa, ha ripercorso la ricostruzione dei fatti e la valutazione delle
prove del giudice di primo grado, costituite dagli atti di indagine svolti nel corso
delle indagini preliminari – trattandosi di giudizio abbreviato – che ha riportato
nel corpo della motivazione, e ha confermato il giudizio di penale responsabilità

hashish al Castrocane (capo b), sia in relazione alla detenzione del quantitativo
suddiviso in cinque panetti, del peso di grammi 482,2 della medesima sostanza,
rinvenuto a bordo dell’autovettura unitamente ad un foglio contenente
nominativi con indicazioni di somme di denaro ricevute e da ricevere, e
dell’ulteriore quantitativo di grammi 14,3 di hashish rinvenuto nell’abitazione del
predetto unitamente ad un bilancino e al materiale per il confezionamento,
elementi dai quali ha tratto il convincimento della destinazione al consumo di
terzi dell’intero quantitativo ed ha confermato la qualificazione del fatto non lieve
in ragione del non trascurabile dato ponderale.
La Corte d’appello, ha modificato unicamente il trattamento sanzionatorio
per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 2014 e della
conseguente applicazione della legge ante vigente, muovendo dalla pena base di
anni tre e mesi sei di reclusione e C 12.000,00 di multa, ridotta, per effetto delle
già riconosciute circostanze attenuanti generiche, ad anni tre di reclusione e C
9.000,00 di multa, aumentata per la continuazione ad anni tre e mesi sei di
reclusione e C 12.000,00 di multa, e ridotta, per effetto della diminuente per il
rito, ad anni due e mesi quattro di reclusione e C 8.000,00 di multa.

2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso Adriano Panicucci, a mezzo del
difensore di fiducia, e ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi
enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto
dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:

2.1. Violazione di legge penale, processuale e vizio di motivazione in
relazione agli artt. 125 e 546 cod. proc. pen., per avere la Corte d’appello
risposto alle censure mosse nei motivi di appello in modo meramente apparente
e apodittico, richiamando la motivazione della sentenza di primo grado e
omettendo qualsiasi motivazione sulla destinazione almeno in parte all’uso
personale dello stupefacente. Deduce, il ricorrente, la motivazione apparente
della sentenza impugnata che si sarebbe limitata ad una pedissequa trascrizione
della motivazione della sentenza di primo grado senza considerare che vi erano

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del Panicucci sia in relazione alla cessione del quantitativo di grammi 200 di

le dichiarazioni di soggetti terzi che consentivano di ritenere quantomeno una
destinazione parziale dello stupefacente all’uso personale.
2.2. Violazione di legge penale in relazione all’art. 73 comma 5 d.P.R. 9
ottobre 1990, n. 309 e vizio di motivazione per avere la corte territoriale escluso
il riconoscimento del fatto di lieve entità sulla scorta del mero dato ponderale
senza avere tenuto conto che parte dello stupefacente era destinato all’uso
personale.
2.3. Violazione di legge penale e processuale in relazione agli artt. 62-bis,

d’appello, nella rideterminazione della pena per effetto della pronuncia della
sentenza n. 32 del 2014, pur muovendo da una pena base inferiore a quelle
irrogata dal giudice di primo grado, applicato la riduzione per le riconosciute
circostanze attenuanti generiche in misura inferiore ad un terzo, come aveva
calcolato il primo giudice, e mantenuto l’aumento per la continuazione nella
stessa misura di mesi sei come determinato dal primo giudice e così violato il
divieto di

reformatio in peius.

Non avrebbe, anche, la corte territoriale, assolto

all’onere di motivazione nella determinazione della pena che, muovendo da una
pena base quasi prossima al massimo edittale, non avrebbe indicato quali
elementi, tra quelli di cui all’art. 133 cod.pen., ritenesse rilevanti ai fini
dell’individuazione del trattamento sanzionatorio.
3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è in parte fondato in forza delle ragioni qui esposte.
5. Il primo motivo di ricorso con cui il ricorrente deduce la carenza
motivazionale sotto il profilo della apparente e apodittica motivazione della
sentenza impugnata in

relazione alla mancata risposta dei giudici

dell’impugnazione sulle censure mosse nell’atto di appello è manifestamente
infondato.
Deduce il ricorrente che la sentenza impugnata si sarebbe limitata a
richiamare per relationem la motivazione della sentenza di primo grado senza
diffondersi sulle censure mosse nei motivi di appello in ordine alla ritenuta
finalità di detenzione per uso non esclusivamente personale, contestata dalla
difesa che assume, invece, la detenzione per uso personale del ricorrente. In tale
situazione la motivazione sarebbe meramente apparente così da integrare il vizio
dedotto. In ogni caso, i Giudici del merito avrebbero fatto erronea applicazione
dei criteri di cui all’art. 192 cod.proc.pen. sulla prova della finalità della
detenzione per uso anche di terzi, è manifestamente infondato.
Come è stato più volte affermato da questa Corte, quando le sentenze di

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81 comma 2 cod.pen. e all’art. 597 comma 3 cod.proc.pen., per avere la Corte

primo e secondo grado concordano nell’analisi e nella valutazione degli elementi
di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale
della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico
complessivo corpo argornentativo, sicché è possibile, sulla base della
motivazione della sentenza di primo grado colmare eventuali lacune della
sentenza di appello (tra le tante Sez. 6, n. 28411 del 13/11/2012, Rv. 256435;
Sez. 4, n. 15227 del 14/02/2008, Rv. 239735).
L’affermato principio, va riaffermato e condiviso, con la precisazione che

grado è possibile soltanto se nella sentenza d’appello sia riscontrabile un nucleo
essenziale di argomentazione, da cui possa desumersi che il giudice del secondo
grado, dopo avere proceduto all’esame delle censure dell’appellante, ha fatto
proprie le considerazioni svolte dal primo giudice.
A tale riguardo, per quanto qui di rilievo in relazione al motivo di censura,
deve osservarsi che il giudice del merito, per assolvere all’obbligo di motivazione,
deve dare conto ed esaminare, nel percorso motivazionale che lo ha condotto
alla decisione, le questioni sollevate dalla difesa, ma non è tenuto a disattenderle
specificatamente e singolarmente, purchè dal complesso motivazionale si evinca
che le stesse sono state esaminate e disattese. Nella motivazione della sentenza
il giudice dell’impugnazione non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di
tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le
risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro
valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo
convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo (Sez. 6,
n. 49970 del 19/10/2012, Muià e altri, Rv. 254107).
Tutto ciò premesso, la sentenza impugnata appare congruamente
motivata in merito alla finalità di cessione a terzi avendo la corte territoriale,
nell’esporre gli elementi probatori tratti dalla sentenza del Tribunale che ha
condiviso, evidenziato non solo la portata della propalazione accusatoria del
Castracane, che indicava il ricorrente quale suo fornitore, ma anche l’ulteriore
rinvenimento della medesima sostanza consegnata al Castracane sia in
autovettura, ove erano sequestrati manoscritti riportanti nominativi e somme di
denaro, sia nell’abitazione unitamente al necessario materiale per il
confezionamento, sicchè non solo risulta disattesa la censura di omessa risposta
alla doglianza difensiva, ma alcuna carenza di motivazione è predicabile dovendo
considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non
espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione
adottata.
Peraltro, il difensore che deduca l’omessa risposta, deve, anche, rilevarne
la decisività della carenza motivazionale sulle questioni sollevate. E ciò in quanto
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l’integrazione delle motivazioni tra le conformi sentenze di primo e secondo

la carenza di motivazione, per rilevare quale vizio di cui all’art. 606 comma 1
lett. e) cod.proc.pen. devono assumere la capacità di essere decisive, ovvero
essere idonee ad incidere il compendio indiziario, disarticolando l’iter logico
seguito dai giudici per l’affermazione della responsabilità. Sotto questo profilo,
priva di pregio, e anche connotata da genericità, è la censura di omessa
valutazione dichiarazioni di Fresenga Federica e di mancata risposta alla
deduzione di destinazione in parte dello stupefacente anche all’uso personale,
censure che sono state implicitamente disattese perché incompatibili con le

6. La manifesta infondatezza della censura difensiva circa la destinazione di
parte della sostanza stupefacente per uso personale comporta anche il rigetto
della censura devoluta nel secondo motivo di ricorso con cui il ricorrente
argomenta il riconoscimento della fattispecie di cui all’art. 73 comma 5 d.P.R. 9
ottobre 1990, n. 309, quale diretta conseguenza della destinazione di parte della
sostanza stupefacente anche all’uso personale.

7. Fondato è, in parte, il terzo motivo di ricorso.
Questa Corte ha affermato che in tema di stupefacenti, il principio
dell’applicazione della disciplina più favorevole, determinatasi per effetto della
sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014, non costituisce un vincolo al
pieno esercizio del potere discrezionale nella commisurazione della pena nel
rispetto dei nuovi limiti edittali e dei criteri normativi connotanti il potere
discrezionale di sua spettanza. Il Giudice, pertanto, dispone di una

piena

cognitio, sia pur nell’ambito dei (nuovi) limiti edittali e con il divieto della

reformatio in peius,

in assenza di ricorso del Pubblico Ministero (Sez. 3, n. 43382

dell’08/07/2015, Jitau, non massimata).
Il potere autonomo del giudice della cognizione, nei limiti sopra indicati,
comporta che il giudice di appello possa applicare per le circostanze attenuanti
generiche una diminuzione di pena proporzionalmente inferiore rispetto a quella
praticata dal giudice della sentenza riformata, comportando una diversa
incidenza degli elementi circostanziali (Sez. 2, n. 25739 del 09/05/2017,
Pedranza, Rv. 270667; Sez. 5, n. 41188 del 10/07/2014, Zavanese,
Rv. 261034). Non di meno, se il giudice del merito, sia che debba rivalutare un
fatto di cui all’art. 73 d.P.R. 309/90, dopo la sentenza della Corte Costituzionale,
sia nel caso in cui la rivalutazione del fatto consegua per effetto della mutata
cornice normativa di cui alla legge 79 del 2014, per l’ipotesi di cui all’art. 73
comma 5 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, non è in alcun modo vincolato rispetto
alle scelte, nell’ambito della pena edittale, operate in precedenza, deve pur
sempre, nell’ambito dell’esercizio autonomo del potere di determinazione del

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ragioni poste a base della conferma della pronuncia di condanna.

trattamento sanzionatorio, determinare la sanzione con riferimento ai criteri di
cui agli artt. 133 e ss. cod. pen., nell’ambito della più lieve cornice edittale in
vigore (ben inteso con il solo limite – nell’ipotesi di appello proposto dal solo
imputato – del divieto di reformatio in peius, da intendersi nel senso di non poter
irrogare una pena superiore nel quantum finale a quella irrogata dal primo
giudice (cfr. Sez. 3, n. 23952 del 30.4.2015, Di Pietro ed altri, Rv. 263849; Sez.
3, n. 33396 del 24.4.2015, Calvigioni, Sez. 4, n. 44779 del 8/10/2015), e deve,
altresì, osservare, nel caso in cui intenda determinare un trattamento

in quanto l’irrogazione della pena in una misura prossima al massimo edittale
rende necessaria una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità
di pena irrogata (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243; Sez. 4,
n. 27959 del 18/06/2013, Pasquali, Rv. 258356).

A tali principi non si è attenuta la Corte d’appello che, muovendo da una
pena base di anni tre e mesi sei di reclusioni, non ha assolto all’obbligo
motivazionale non argomentando in alcun modo le ragioni di tale scelta,
parimenti priva di motivazione è la diminuzione del quantum di pena per effetto
dell’applicazione delle circostanze di cui all’art. 62-bis cod.pen.
7. La sentenza va sul punto annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte
d’appello di Firenze per un nuovo giudizio.
Ai sensi dell’art. 624 cod.proc.pen. deve essere dichiarata l’irrevocabilità
della sentenza in ordine alla dichiarazione di responsabilità penale dell’imputato.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e
rinvia per un nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte d’appello di
Firenze.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Dichiara, ai sensi dell’art. 624 cod.proc.pen., irrevocabile la sentenza in ordine
all’affermazione della responsabilità.
Così deciso il 20/02/2019

sanzionatorio prossimo ai massimi edittali, un più stringente onere motivazione,

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