Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20056 del 31/10/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 20056 Anno 2015
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Federico Mario, nato a Luzzi il 28.10.1959, avverso la sentenza
pronunciata dal tribunale di Cosenza il 2.10.2012;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore
generale Massimo Galli, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
uditi per il ricorrente, l’avv. Vincenzo Davoli, del Foro di Roma, in
qualità di sostituto processuale del difensore di fiducia, avv.
Rossella Gallo, del Foro di Cosenza, che ha concluso, riportandosi
ai motivi di ricorso, di cui chiede l’accoglimento.

Data Udienza: 31/10/2014

FATTO E DIRITTO

1. Con sentenza pronunciata il 2.10.2012 il tribunale di Cosenza,
in qualità di giudice di appello, confermava la sentenza con cui il

Federico Mario alla pena ritenuta di giustizia ed al risarcimento dei
danni derivanti da reato, in relazione al delitto di cui all’art. 582,
c.p., commesso in danno di Garofalo Vincenzo.
2.

Avverso la sentenza di secondo grado, di cui chiede

l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione
l’imputato, a mezzo del suo difensore di fiducia, deducendo i vizi
di cui all’art. 606, co. 1, lett. b); c) ed e), c.p.p., sotto molteplici
punti di vista.
Lamenta, in particolare, il ricorrente, l’inattendibilità delle
dichiarazioni della persona offesa, in considerazione del contrasto
emergente tra il contenuto della querela e quanto riferito nel
corso dell’istruttoria dibattimentale dal Garofalo, nonché dai testi
Lappano e Federico Maria Pia, come pure l’insufficienza della
documentazione medica a suffragare le dichiarazioni della persona
offesa, per cui non risulta dimostrato il nesso eziologico tra la
condotta addebitata all’imputato e l’alterazione patologica subita
dalla vittima; il mancato riconoscimento da parte del giudice di
pace dell’esistenza di un legittimo impedimento a comparire
dell’imputato all’udienza del 6.5.2010, documentato da
certificazione medica, e di un legittimo impedimento del difensore
ad essere presente all’udienza del 19.11.2009, del pari
documentato, essendo in quella data il suddetto difensore

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giudice di pace di Cosenza, in data 21.4.2011, aveva condannato

impegnato nella propria attività di g.o.t. presso il tribunale di
Rossano; la violazione dell’art. 468, c.p.p., per non avere il
giudice di pace escusso i testi a discarico, cui la difesa aveva
rinunciato, revocandone l’ammissione, pur in assenza di un
esplicito consenso delle altre parti processuali; l’omessa decisione
in ordine alla richiesta di escutere in qualità di testimone

primo grado; la mancata esposizione delle ragioni che giustificano
la costituzione di parte civile; la genericità della motivazione sulla
condanna al risarcimento dei danni derivanti da reato, che non si
giustifica non essendo stata riconosciuta la sussistenza dei
presupposti per la liquidazione in favore della parte civile della
provvisionale richiesta; la violazione degli artt. 142, 136, 137,
c.p.p., sulle modalità di redazione dei verbali delle udienze innanzi
al giudice di pace; la mancata identificazione del querelante, con
conseguente nullità della querela; il mancato riconoscimento delle
circostanze attenuanti generiche e l’intervenuta estinzione del
reato per prescrizione.
3. Il ricorso non può essere accolto.
4.

Ed invero, va innanzitutto rilevato che il tribunale, con

motivazione approfondita ed immune da vizi logici, ha
correttamente posto a fondamento della sua decisione le
dichiarazioni accusatorie della persona offesa, evidenziando come
tali dichiarazioni siano state rese in maniera “chiara e dettagliata”
dal Garofalo, giustificando un giudizio in termini di attendibilità ed
affidabilità di quest’ultimo, che trova ulteriore conferma nel
contenuto della certificazione medica, acquisita agli atti.
In tal modo il giudice di secondo grado si è puntualmente attenuto
ai principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, secondo

Terranova Franca, formulata ex art. 507, c.p.p., nel giudizio di

cui, come è noto, non applicandosi le regole dettate dall’art. 192,
comma 3, c.p.p., alle dichiarazioni della persona offesa, tali
dichiarazioni possono essere legittimamente poste da sole a
fondamento dell’affermazione di penale responsabilità
dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione,
come fatto dal giudice di secondo grado, della credibilità

racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e
rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni
di qualsiasi testimone (Cass., sez. un., 19/07/2012, n. 41461, rv.
253214).
Rispetto a tale esaustivo argomentare, i rilievi difensivi, non
appaiono condivisibili, sia perché generici, sia perché con essi
viene prospettata una versione alternativa delle risultanze
processuali acquisite, inidonea ad evidenziare vizi di legge o
incongruenze logiche del percorso argomentativo seguito dal
tribunale, versione alternativa non consentita in sede di
legittimità.
Infondate sono le censure relative alla mancata considerazione da
parte del giudice di pace delle cause di legittimo impedimento a
comparire del difensore e dell’imputato per le udienze del 6
maggio 2010 e del 19 novembre del 2009, in quanto, come
rilevato dalla corte territoriale, in entrambi i casi, contrariamente
a quanto richiesto pacificamente dai principi vigenti in subiecta
materia, (cfr., fra le altre, Cass., sez. un., 27/03/1992, Fogliani e
altro) le cause dell’impedimento non erano documentate e
nessuna attività istruttoria si è svolta, in quanto entrambe le
udienze venivano rinviate per consentire alle parti di addivenire ad

soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo

una conciliazione, per cui nessuna lesione ne è derivata per
l’imputato ed il suo diritto di difesa.
Infondati sono, altresì, gli ulteriori rilievi riguardanti la mancata
acquisizione delle prove testimoniali indicate dal ricorrente.
Da un lato, infatti, non può non rilevarsi che, come si evince dalla
lettura integrata dei motivi di ricorso e della sentenza di secondo

ricorso per cassazione, e, quindi, inammissibili, ai sensi del
disposto dell’art. 606, co. 3, c.p.p..
Dall’altro non può non rilevarsi che, come evidenziato dallo stesso
ricorrente, una volta intervenuta la rinuncia da parte del difensore
dell’imputato all’esame degli altri testimoni addotti a discarico, la
revoca della relativa ordinanza istruttoria è stata adottata dal
giudice di pace sul presupposto che le altre parti, chiedendo il
rinvio del processo ad altra udienza e, quindi, non opponendosi
alla menzionata rinuncia, hanno implicitamente aderito a tale
manifestazione di volontà, conformemente a quanto previsto
dall’art. 495, co. 4-bis, c.p.p., secondo cui, nel corso
dell’istruzione dibattimentale ciascuna delle parti può rinunziare,
con il consenso dell’altra parte, all’assunzione delle prove
ammesse a sua richiesta, potendo tale consenso ritenersi implicito
nella mancata opposizione alla rinuncia e nella mancata esplicita
richiesta delle altre parti volta ad ottenere la citazione dei predetti
testi.
Ed invero, come affermato da un condivisibile arresto della
giurisprudenza di legittimità, la mancata assunzione dei mezzi di
prova già ammessi non produce alcuna nullità del procedimento,
laddove non sia stata manifestata alcuna riserva alla chiusura
dell’istruzione dibattimentale da parte di chi tali mezzi aveva

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grado, si tratta di doglianze prospettate per la prima volta con il

richiesti, né opposizione delle altre parti processuali (cfr. Cass.,
sez. VI, 11/12/2009, n. 1081).
Né il difensore ha chiarito le ragioni per cui appariva necessario ai
fini della decisione, assumere la testimonianza ex art. 507, c.p.p.,
di Terranova Franca, per cui, sul punto la censura difensiva è
inammissibile, in quanto assolutamente generica, posto che il

l’acquisizione, anche d’ufficio, di nuovi mezzi di prova, è pur
sempre condizionato dalla circostanza che si tratti di una prova
indispensabile per rendere la decisione.
Ne consegue che quando si lamenta la mancata motivazione in
ordine alla richiesta formulata da una delle parti processuali al
riguardo, occorre sempre indicare le ragioni sul carattere
indispensabile della prova di cui è stata chiesta l’ammissione ex
art. 507, c.p.p., la cui mancata considerazione forma oggetto di
censura, proprio per consentire al giudice investito del gravame di
valutare se la suddetta omissione sia giustificabile o meno in
considerazione dell’eventuale manifesta infondatezza della
richiesta di integrazione istruttoria.
Tutti gli ulteriori rilievi sulla costituzione della parte civile e sulla
regolare redazione dei verbali di cui all’udienza del 19.5.2010,
sono inammissibili, sia perché generici, sia perché dedotti per la
prima volta con il ricorso per cassazione.
Al riguardo va rilevato che la nullità dei verbali di udienza privi
della sottoscrizione del pubblico ufficiale redigente, prevista
dall’art. 142, c.p.p., ha natura di nullità relativa (cfr. Cass., sez.
II, 09/01/2007, n. 2503, rv. 235627), quindi, non può essere
dedotta per la prima volta con il ricorso per cassazione.

dovere per il giudice di ricorrere al proprio potere di disporre

Con particolare riferimento, poi, alla dedotta nullità della querela,
la relativa censura appare inammissibile per genericità, in quanto
il ricorrente sembra adombrare la mancata identificazione del
querelante, desumendola dalla mancata indicazione di un
documento valido per il riconoscimento, condizione, quest’ultima,
non richiesta dalla norma di cui si lamenta la violazione (art. 337,

Del resto, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità nella
sua espressione più autorevole, la mancata identificazione del
soggetto che presenta la querela non determina l’invalidità
dell’atto quando ne risulti accertata la sicura provenienza (cfr.
Cass., sez. un., 28/03/2013, n. 26268, rv. 25584) ed al riguardo
il ricorrente non specifica per quali ragioni non sia possibile
affermare che la querela, di cui lo stesso ricorrente riconosce la
paternità in capo alla persona offesa nel momento in cui pretende
di ravvisarvi un contenuto in contrasto con quello delle
dichiarazioni rese dal Garofalo nel corso dell’istruttoria
dibattimentale, provenga dal suddetto Garofalo.
Generico è il rilievo sul mancato riconoscimento delle circostanze
attenuanti generiche, che il giudice ha motivato implicitamente,
facendo correttamente riferimento alla congruità della pena
inflitta, alla luce dei parametri di cui all’art. 133, c.p., in essi,
dunque, individuando un ostacolo alla concessione del beneficio
richiesto, che, come è noto, non costituisce un diritto
dell’imputato.
Infondata, infine, è la doglianza relativa al decorso del temine
prescrizionale, che, essendo pari nella sua massima estensione,
tenuto conto, cioè degli atti interruttivi intervenuti, a sette anni e

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co. 4, c.p.p.)

sei mesi, si sarebbe perento solo il 18.3.2015, trattandosi di reato
consumato il 18.9.2007.
5. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso va, pertanto,
rigettato, con condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616,
c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.

spese processuali.
Così deciso in Roma il 31.10.2014

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle

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