Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20054 del 27/04/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 20054 Anno 2015
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: IANNELLO EMILIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
KASTRATI NAZMI, nato il 05/11/1982
avverso l’ordinanza n. 7411/2014 G.I.P. TRIBUNALE di BERGAMO, del
26/07/2014;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. EMILIO IANNELLO;
lette le conclusioni del P.G. Dott. VITO D’AMBROSIO che ha chiesto che «la
Corte voglia rigettare il ricorso, con le conseguenze di legge».

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 26/7/2014 il G.i.p. del Tribunale di Bergamo
convalidava il fermo di Nazmi Kastrati operato dai carabinieri di Martinengo in
data 24/7/2014 su decreto emesso in pari data dal PM per i delitti di omicidio
colposo aggravato dalla violazione delle norme sulla circolazione stradale e di
fuga e omissione di soccorso (artt. 189, commi 6 e 7, cod. strada), commessi in
data 19/7/2014.
Il pericolo di fuga era dal G.I.P. in particolare correlato alla condotta
dell’indagato che, dopo il sinistro, si era dato alla fuga e aveva abbandonato il
territorio nazionale, recandosi dapprima in Svizzera e successivamente in
Kosovo, da dove aveva contattato il fratello per chiedergli di occultare la vettura
che aveva provocato l’incidente; solo dopo diversi giorni egli aveva fatto ritorno
in Italia, verosimilmente – secondo il giudice a quo – per avere avuto notizia, dai
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Data Udienza: 27/04/2015

giornali ovvero dai propri connazionali, che le forze dell’ordine erano ormai sulle
sue tracce, ed anche per i pericoli cui si esponeva nel paese d’origine dal quale
era fuggito per motivi politici dopo che le opposte fazioni gli avevano ucciso un
fratello, lo avevano più volte aggredito e minacciato e gli avevano intimato dì
andarsene se non avesse voluto fare la fine del suo congiunto.
Riteneva pertanto il G.I.P. che il ritorno in Italia e la spontanea
presentazione ai carabinieri non rappresentasse

«sufficiente garanzia delle

capacità di autocontrollo» dell’indagato, non valendo in particolare a escludere
«il medesimo, messo concretamente di fronte alla gravità dei fatti

contestatigli e alla prevedibile entità della pena, ponga in essere un ulteriore
tentativo di sottrarsi all’esecuzione della condanna e di far perdere ogni traccia di
sé», in tal senso anche rimarcando che nell’udienza di convalida egli si era
avvalso della facoltà di non rispondere e aveva reso giustificazioni non plausibili
in ordine alla richiesta fatta al fratello di occultare il veicolo coinvolto nel sinistro.
Segnalava infine che lo stesso indagato aveva dichiarato di avere fratelli in
Francia e che, pertanto, egli poteva godere in quel Paese di adeguato appoggio e
ausilio.

2. Avverso tale provvedimento propone ricorso il Kastrati, per mezzo del
proprio difensore, denunciando violazione dell’art. 384 cod. proc. pen. nonché
vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del presupposto del
pericolo di fuga.
Deduce, in sintesi, che tale valutazione riposa irragionevolmente sugli stessi
elementi che determinano la contestazione della fattispecie criminosa di cui
all’art. 189, comma 6, cod. strada ed è contrastata dal fatto che,
successivamente, egli si è spontaneamente consegnato all’autorità, sia pure
dopo qualche giorno dal fatto. Rileva che l’essersi messo a disposizione della
polizia, successivamente alla fuga integrante il reato di cui all’art. 189, comma 6,
cod. strada, se da un lato non consente, in quanto non avvenuto nelle
ventiquattro ore successive al fatto, l’applicazione dei benefici di cui all’art. 189,
comma 8 bis, cod. strada, dall’altro resta nondimeno condotta perfettamente

identica nei suoi contenuti e significati di resa e collaborazione, sintomatica di un
ponderato ravvedimento.
Soggiunge che altresì illogicamente il G.I.P. ha ritenuto che il rientro in Italia
sia verosimilmente imputabile ai pericoli che, per ragioni legate alle lotte tra
fazioni opposte che in passato lo avevano coinvolto in Kosovo, egli correva
permanendo nel proprio paese, rilevando che al contrario quest’ultimo si offriva a
lui come luogo sicuro, nel quale efficacemente sottrarsi al procedimento penale a
suo carico in Italia.
2

che

Osserva, infine, che nessun argomento potrebbe trarsi dalla scelta di
avvalersi della facoltà di non rispondere durante l’udienza di convalida.

3. Nella sua requisitoria scritta il P.G. ha concluso per il rigetto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è infondato.

31/05/1993, De Rimini, Rv. 195259), il controllo della legittimità del fermo, che
il giudice esegue in contraddittorio con le parti nel corso dell’udienza in camera
di consiglio deve avere per oggetto il riscontro dell’esistenza di un pericolo di
fuga dell’indagato e della presenza a suo carico di gravi indizi di colpevolezza per
uno dei reati indicati all’art. 384 cod. proc. pen..
Gli elementi che possono far ritenere fondato il pericolo di fuga, ai fini della
legittimità del fermo, devono essere anzitutto specifici ossia dotati di una
capacità di personalizzazione, indirizzata proprio nei confronti di quel singolo
soggetto che si sospetta stia per darsi alla fuga, e devono trarre origine da
circostanze concrete, sicché non può essere né presunto né ipotizzato sulla base
del titolo di reato in ordine al quale si indaga, giacché quest’ultimo elemento
costituisce il limite dell’esperibilità del fermo e non è relativo al pericolo di fuga
(cfr. Sez. 3, n. 4089 del 18/12/2003, dep. 2004, Failla, Rv. 228486; Sez. 2, n.
6924 del 04/12/1997, dep. 1998, Beatobe, Rv. 209594).
Inoltre, non deve confondersi l’atto di chi si allontani dal luogo in cui è stato
consumato il reato ed anche di rendersi momentaneamente irreperibile, con il
pericolo di fuga che costituisce il presupposto della misura precautelare, giacché,
altrimenti, il fermo sarebbe eseguibile in tutti i casi, in cui l’indagato non è stato
arrestato perché il fatto è stato accertato successivamente e, quindi, si era
allontanato, ed una simile esegesi contrasterebbe pure con gli elementi della
specificità e della concretezza da cui desumere il pericolo di fuga (cfr. Sez. 2, n.
6924 del 04/12/1997, Beatobe, cit.).
Tuttavia il requisito della concretezza del pericolo di fuga, non implica una
particolare intensità, cioè un grado particolarmente elevato di probabilità, ma
solo l’esistenza di un pericolo reale, effettivo e non immaginario, secondo quanto
appare pure dal passaggio dal presupposto del

«sospetto di fuga»,

che

caratterizzava il fermo nel codice previgente, a quello del «pericolo di fuga»,
sicché dal mero sospetto si è passati ad un rischio possibile se non probabile (v.
in tal senso Sez. 1, n. 1520 del 27/03/1991, Matina, Rv. 187048).
È certo poi che il G.i.p. ai fini della convalida del fermo, secondo
3

Secondo giurisprudenza costante di questa Corte (Sez. 6, n. 1630 del

giurisprudenza costante di questa Corte (Sez. 2, n. 2221 del 05/05/1994 – dep.
27/05/1994, P.M. in proc. Corazza, Rv. 197843; cui adde

Sez. 1, n. 2013 del

28/03/1996, P.M. in proc. Aprovitala, Rv. 204540; Sez. 1, n. 8708 del
08/02/2012, P.M in proc. Rosiichuk, Rv. 252217; Sez. 3, n. 37861 del
17/06/2014, P.M. in proc. Pasceri, Rv. 260084) deve verificare la sussistenza dei
presupposti legittimanti la misura precautelare nel momento in cui la stessa è
stata adottata dal P.M. o dalla polizia giudiziaria, restando indifferenti gli eventi
successivi.

della convalida del fermo deve consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito
dal giudice per pervenire alla decisione adottata al fine di verificarne la
correttezza, sicché deve far riferimento ad elementi specifici di fatto e concreti
risultanti dagli atti con riferimento ai parametri normativi che nella realtà
consentono e legittimano il fermo di persona gravemente indiziata di reato ad
opera della polizia giudiziaria, non essendo a tal fine sufficiente l’utilizzazione di
formule di stile, adattabili a qualsiasi situazione (Sez. 1, n. 2219 del 04/07/1990,
Diffido, Rv. 184979) senza, però, che ciò comporti una verifica sulla
ragionevolezza dell’operato della polizia giudiziaria, cui è attribuita una sfera di
discrezionalità (Sez. 6, n. 3853 del 19/10/2000, Cividini, Rv. 217388).
Per converso i motivi di ricorso proposto avverso l’ordinanza di convalida del
fermo debbono limitarsi a censurare il processo logico seguito dal giudice per
pervenire all’adozione del provvedimento, essendo sottratta al giudice di
legittimità, anche in questa ipotesi, ogni valutazione di merito circa le condizioni
in presenza delle quali il fermo è stato eseguito dalla polizia giudiziaria così come
del resto previsto per il vizio motivazionale di cui all’art. 606 lett. e) cod. proc.
pen..
Come è noto, invero, l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della
decisione ha un orizzonte circoscritto, poiché il sindacato demandato alla Corte di
Cassazione deve essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a
riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della
decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle
considerazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sottolineare il suo
convincimento o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali o allegazioni
fattuali. Inoltre, l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve
essere di spessore tale da risultare percepibile ictu ocu/i, dovendo il sindacato di
legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza.

6. Ciò premesso, deve escludersi che la motivazione posta a fondamento del
provvedimento impugnato si esponga, dati i predetti limiti di indagine, a censura

Infine, come per ogni altro provvedimento giurisdizionale, la motivazione

dì mancanza o evidente illogicità della motivazione, dandosi in essa conto in
modo esaustivo e con linearità argomentativa, sulla base di specifici e pertinenti
elementi emergenti dalle indagini, delle ragioni che inducono a ritenere
l’esistenza di un concreto pericolo di fuga dell’indagato.
Per contro le doglianze svolte dal ricorrente si appalesano dirette a
prospettare una mera diversa valutazione delle stesse emergenze ma non
risultano idonee anche a evidenziare manifeste incoerenze e intrinseche
contraddizioni nel ragionamento seguito dal giudice a quo.

ravvisarsi nel rilievo attribuito alla condotta dell’indagato antecedente al fermo,
ossia alla sua fuga non solo dal luogo del delitto ma anche dall’Italia ed al
successivo ricovero, per diversi giorni, dapprima in Svizzera e poi in Kosovo. Tale
condotta è, invero, da un lato certamente esorbitante da quella di un mero
allontanamento dal luogo dell’incidente sufficiente a integrare l’elemento
materiale del reato di cui all’art. 189, comma 6, cod. proc. pen., dall’altro, e
correlativamente, è ragionevolmente valorizzata quale indice della capacità e
prontezza dell’indagato di accedere a diverse vie di fuga.
La sua valenza sintomatica altrettanto plausibilmente è poi ritenuta non del
tutto contrastata dal successivo ritorno in Italia dell’indagato, dopo diversi giorni.
Ciò anche in ragione degli elementi altrettanto specificamente indicati in
ordinanza che giustificano la riconduzione di tale scelta a spinte ben diverse da
quella di un maturato ravvedimento e di una definitiva disponibilità a sottoporsi
al procedimento penale instaurato a suo carico.

7. Il ricorso deve essere pertanto rigettato, con la conseguente condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 27/4/2015.

Nessuna indebita sovrapposizione di piani di indagine può in particolare

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