Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2 del 30/10/2014


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Penale Sent. Sez. U Num. 2 Anno 2015
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: ZAMPETTI UMBERTO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Maiorella Enrico, nato a Venosa il 20/12/1959

avverso l’ordinanza del 24/09/2012 del Tribunale di Milano

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione fatta dal componente Umberto Zampetti;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del sostituto Procuratore
generale Sante Spinaci, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio
dell’ordinanza impugnata.

Data Udienza: 30/10/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Enrico Maiorella azionava incidente di esecuzione davanti al Tribunale di
Milano, quale giudice competente ai sensi dell’art. 665 cod. proc. pen., avverso il
provvedimento di unificazione di pene concorrenti emesso nei suoi confronti in
data 21 dicrnbre 2011 dal Procuratore della Repubblica di Milano. Sosteneva in
particolare il predetto condannato che le pene, inserite in detto cumulo, portate
dal precedente provvedimento di unificazione di pene concorrenti emesso il 24

19 di reclusione) e dalla sentenza del 19 aprile 1983 del Tribunale di Melfi (anni
1 di reclusione) dovevano essere ritenute estinte per prescrizione, ex art. 172
cod. pen., e quindi non eseguibili.

2. Con ordinanza in data 24 settembre 2012 l’adito Tribunale dì Milano, in
composizione collegiale ed in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava
l’istanza come proposta dal Maiorella, argomentando in sintesi nei seguenti
termini: si trattava di pene già dichiarate estinte per applicazione dell’indulto,
beneficio peraltro revocato con ordinanza del 27 febbraio 2008 del Tribunale di
Melfi; il termine estintivo decennale (trattandosi di delitti) non era dunque
ancora trascorso, sul presupposto che detto termine dovesse decorrere dalla
data del provvedimento di revoca del beneficio.

3. Avverso detta ordinanza del Tribunale di Milano Enrico Maiorella ha
proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento ai sensi dell’art.
606, lett. b) , cod. proc. pen., per erronea applicazione dell’art. 172 cod. pen.
Ricostruiti i termini della vicenda processuale, il ricorrente ha denunziato
l’illegittimità del provvedimento impugnato in quanto assunto in contrasto con il
“costante” (tale qualificato dal ricorrente) insegnamento reso dalla
giurisprudenza di legittimità in materia di interpretazione della prescrizione della
pena, per la quale «Il termine di prescrizione della pena, divenuta eseguibile a
causa della revoca dell’indulto precedentemente concesso, decorre dal momento
in cui in concreto si è verificato il presupposto per la revoca del beneficio e non
da quello in cui è divenuta definitiva la decisione che ne ha accertato la
condizione risolutiva» (in tal senso si cita Sez. 1, 13/01/2012, n. 10924), ovvero
per cui «Il termine di prescrizione della pena decorre dal momento in cui si sono
verificati i presupposti per la revoca del beneficio precedentemente concesso (nel
caso di specie, l’indulto), e non dal giorno in cui è divenuta definitiva la decisione
che ha accertato la causa di revoca, non potendo porsi a carico del condannato il
danno per il ritardo con cui viene presa la decisione» (così Sez. 1, 21/05/2009,

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gennaio 1985 dal Procuratore della Repubblica di Milano (anni 1, mesi 7 e giorni

n. 26748). In applicazione degli indicati principi, pertanto – sosteneva il
ricorrente – il dies a quo nel computo del termine di prescrizione della pena,
divenuta eseguibile a causa della revoca dell’indulto precedentemente concesso,
non deve essere individuato nel momento in cui è divenuta definitiva l’ordinanza
del Tribunale di Melfi del 27 febbraio 2008, con cui è stata accertata la causa
della revoca del beneficio, bensì nel momento in cui è diventata definitiva la
sentenza della Corte di appello di Milano del 22 settembre 1989, costituente il
presupposto per la revoca del concesso beneficio, giusta applicazione dei disposti

revocato se chi ne ha usufruito commette, entro cinque anni dalla data di entrata
in vigore del presente decreto, un delitto non colposo per il quale riporti
condanna a pena detentiva non inferiore ad un anno») e 10 d.P.R. 18 dicembre
1981, n. 744 («Il beneficio dell’indulto è revocato di diritto qualora chi ne abbia
usufruito commetta, entro cinque anni dalla data di entrata in vigore del
presente decreto, un delitto non colposo per il quale riporti condanna a pena
detentiva non inferiore a sei mesi»). Ne consegue – argomentava ancora il
ricorrente – che nel caso in esame risulta già abbondantemente intervenuta la
prescrizione della pena, per decorso del termine decennale stabilito dalla norma
dell’art. 172, primo comma, cod. pen., decorrente dalla data di passaggio in
giudicato della sentenza del 22 settembre 1989 presupposto della revoca.

4. La Prima Sezione penale, cui il ricorso era assegnato, con ordinanza del
21-22 marzo 2014, n. 30007, depositata il 9 luglio 2014, ha rimesso la
trattazione del ricorso stesso alle Sezioni Unite, ex art. 618 cod. proc. pen.,
rilevando che la questione ivi dedotta evidenziava una problematica su cui verte
un contrasto interpretativo tra le Sezioni, concernente il dubbio se, nel caso di
subordinazione dell’esecuzione della pena alla revoca dell’indulto, il termine di
estinzione della sanzione, a norma dell’art. 172, quinto comma, cod. pen.,
decorra dalla data in cui è divenuta definitiva la sentenza di condanna
costituente il presupposto da cui dipende la revoca del beneficio, ovvero dalla
data in cui è diventata definitiva la decisione che abbia accertato la sussistenza
della causa di revoca del condono, disponendo quest’ultima. Nell’ordinanza di
rimessione il Collegio ha puntualizzato come con riguardo alla sollevata
questione sussista, già da tempo, un conflitto giurisprudenziale tra due
contrapposti orientamenti interpretativi: l’uno, più risalente, per il quale, nel
caso di subordinazione dell’esecuzione della pena alla scadenza di un termine o
al verificarsi di una condizione, il dies a quo da computarsi ai fini dell’estinzione
della pena, ex art. 172, quinto comma, cod. pen., decorre dal giorno in cui è
divenuta definitiva la decisione (sentenza o ordinanza emessa in sede di

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degli artt. 11 d.P.R. 16 dicembre 1986, n. 865 («Il beneficio dell’indulto é

esecuzione ex art. 674 cod. proc. pen.) che ha accertato la causa della revoca,
disponendo quest’ultima; l’altro, più recente, secondo il quale il termine di
prescrizione della pena decorre dal momento in cui si sono verificati i presupposti
per la revoca del beneficio precedentemente concesso, ovvero è divenuta
definitiva la sentenza di condanna determinante la causa della revoca del
beneficio stesso. Elencate le più significative pronunce espressive degli indicati
orientamenti, la Prima Sezione ha inoltre precisato le argomentazioni poste a
sostegno di entrambe le opzioni interpretative.

momento in cui, accertata la verificatasi decadenza del beneficio, la pena può
essere concretamente posta in esecuzione, ossia dal momento in cui il
provvedimento di revoca del condono sia divenuto irrevocabile. E’ vero, infatti,
che la pronunzia giudiziale di revoca dell’indulto ha natura solo dichiarativa, ma
per tale interpretazione é aspetto decisivo che, in assenza della relativa
declaratoria di revoca, la pena non può essere posta di esecuzione, continuando
a conservare efficacia, fino alla sua formale revoca, il pregresso provvedimento
di concessione del beneficio. L’indicata esegesi ritiene di presentare una
maggiore coerenza con il principio generale sancito dall’art. 172, quarto comma,
cod. pen., per il quale il termine prescrittivo decorre dal giorno in cui la
pronuncia di condanna è divenuta irrevocabile, ovverosia allorché essa abbia
acquisito forza esecutiva ex art. 650 cod. proc. pen. e sia concretamente
utilizzabile come titolo esecutivo. Solo dal momento della revoca del condono,
infatti, si ha la giudiziale certezza della verificazione della condizione risolutiva
prevista per la revoca di diritto del beneficio e solo da tale data la pena può
essere concretamente eseguita.
Per il più recente indirizzo interpretativo, invece, la ritenuta coincidenza
della decorrenza del termine di prescrizione con il momento di verificazione dei
presupposti per la revoca del beneficio precedentemente concesso è da ritenersi
preferibile in quanto supportata da una lettura della norma dell’art. 172, quinto
comma, cod. pen. sorretta da precisi ed univoci argomenti testuali, logici e
sistematici. Il riferimento, presente nella formulazione letterale del dettato
normativo, al «giorno in cui […] la condizione si è verificata» attesta, infatti, che
la decorrenza del termine di prescrizione della pena é, di per sé, collegata alla
data di realizzazione del presupposto da cui la legge fa derivare la revoca del
beneficio, nulla rilevando il successivo momento di adozione formale del
provvedimento di revoca. Né è di alcun valore appare, in senso contrario, la
giustificazione resa dalla contrapposta tesi, per cui la pena diventa
concretamente eseguibile solo in esito all’intervento della decisione di revoca,
osservato che «la decadenza dal beneficio […] opera di diritto, non appena la
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Per il più risalente orientamento il termine di prescrizione deve decorrere dal

condanna che la comporta passa in giudicato, e che il provvedimento di revoca
ha mera funzione ricognitiva della condizione risolutiva del beneficio, di talché i
relativi effetti si producono ex tunc, retroagendo al momento in cui la condizione
si è verificata». L’indicata opzione ermeneutica, inoltre, si pone in termini
maggiormente conformi rispetto alla ratio della disciplina della prescrizione, sia
del reato che della pena, che si fonda sull’esigenza di garantire la certezza delle
situazioni giuridiche. Sotto tale profilo, allora, il termine prescrizionale non può
che decorrere dall’obiettiva verificazione delle condizioni legittimanti la revoca di

5. Il quesito di diritto sottoposto alle Sezioni Unite veniva quindi formulato
nei seguenti termini : “Se, nel caso in cui l’esecuzione della pena sia subordinata
alla revoca dell’indulto, il termine di estinzione della sanzione, a norma dell’art.
172, quinto comma, cod. pen., decorre dalla data in cui è divenuta definitiva la
sentenza di condanna che costituisce il presupposto dal quale dipende la revoca
del beneficio, o, invece, dalla data in cui è divenuta definitiva la decisione che
accerta la sussistenza della causa di revoca del condono”.

6. Il Primo Presidente, con decreto in data 14 luglio 2014, ha assegnato il
ricorso alle Sezioni Unite, fissandone la trattazione all’odierna udienza camerale,
nelle forme di cui all’art. 611 cod. proc. pen.

7. Il Procuratore generale, con requisitoria depositata il 23 settembre 2014,
ha rilevato, con specifico riguardo alla questione rimessa alle Sezioni Unite, come
debba essere preferita la soluzione discendente dall’orientamento
giurisprudenziale più recente ed ormai maggioritario secondo cui il termine di
prescrizione della pena, ex art. 172, quinto comma, cod. pen., decorre dal
momento in cui si sono verificati i presupposti per la revoca del beneficio in
precedenza concesso. In tal senso il requirente ha chiesto che, affermato tale
principio, l’ordinanza impugnata sia annullata con rinvio, non mancando peraltro
di segnalare come, in sede di giudizio di rinvio, si debba pure verificare
l’eventuale sussistenza, nella concreta fattispecie, di cause preclusive della
chiesta prescrizione ex art. 172, ultimo comma, cod. pen., a suo giudizio già
rilevabili in atti.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il quesito di diritto, come sopra riportato [v. al § 5 del Ritenuto in fatto],
al quale le Sezioni Unite devono rispondere, si genera per la diversa
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diritto.

interpretazione sistematica data in subiecta materia dalla giurisprudenza di
legittimità.
E’ opportuno, dunque, ripercorrere e qui di seguito riportare l’evoluzione
giurisprudenziale che si è andata differenziando in due sostanziali filoni
interpretativi.

2. Con un primo orientamento, che ben può definirsi più risalente, ma anche
di recente a volte ribadito, la Corte si è espressa, in numerose sentenze, per una

della pena alla scadenza di un termine o al verificarsi di una condizione, il dies a
quo da computarsi ai fini dell’estinzione della pena, secondo il dettato dell’art.
172, quinto comma, cod. pen., debba decorrere dal giorno in cui è divenuta
definitiva la sentenza o l’ordinanza che ha accertato la causa della revoca,
disponendo quest’ultima.
Secondo tale orientamento, in particolare, il tempo necessario per
l’estinzione della pena decorre dal giorno in cui si ha la certezza giudiziale
dell’avvenuta verificazione della condizione risolutiva, acquisibile, come nel caso
dell’indulto condizionato, solo con il passaggio in giudicato della sentenza di
accertamento della causa di revoca del beneficio. Infatti, pur avendo la relativa
pronuncia giudiziale natura dichiarativa e contenuto meramente accertativo di
una situazione oggettiva, alla quale è collegata ope legis la decadenza del
beneficio indulgenziale, per la concreta espiazione della pena occorre,
comunque, indeclinabilmente la previa declaratoria del giudice, che deve essere
assunta ai sensi dell’art. 674 cod. proc. pen. a conclusione di un procedimento
diretto alla verifica della sussistenza delle

condiciones juris alle quali è

subordinata l’applicazione della sanzione revocatoria. In mancanza di tale
declaratoria, la pena non è suscettibile di esecuzione, essendo ancora in vigore il
provvedimento di concessione del beneficio, che conserva efficacia fino a quando
non viene ad essere formalmente rimosso.
Nel solco di tale orientamento interpretativo si sono espresse – tra le altre Sez. 6, n. 199 del 18/01/1978, Cavallo, Rv. 139852; Sez. 6, n. 901 del
30/03/1983, Cerasuolo, Rv. 159712; Sez. 1, n. 294 del 19/01/1994, Ferri, Rv.
197787; Sez. 1, n. 5516 del 03/11/1995, dep. 1996, Buccella, Rv. 203443; Sez.
1, n. 3428 del 16/05/1997, Sannazzaro, Rv. 207973; Sez. 1, n. 2998 del
15/04/1999, Iacofci, Rv. 213589; Sez. 1, n. 395 del 19/01/2000, Bizzarro, Rv.
215384; Sez. 1, n. 1441 del 28/02/2000, Zanon, Rv. 216007, la cui
argomentazione sintetizza l’orientamento fin qui esposto sostenendo che
«nell’ipotesi di indulto sottoposto alla condizione risolutiva della commissione di
un nuovo reato, il termine di prescrizione della pena deve farsi decorrere dal
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interpretazione volta a ritenere che, in ipotesi di subordinazione dell’esecuzione

momento in cui, verificatasi la decadenza dal beneficio, la pena può essere
concretamente posta in esecuzione. Tale momento non coincide temporalmente
con la data di passaggio in giudicato della sentenza di condanna comportante la
perdita del beneficio anteriormente concesso, bensì con la data in cui, disposta la
revoca del condono, il relativo provvedimento è divenuto irrevocabile. […] È pur
vero, infatti, che la pronunzia giudiziale di revoca di benefici ha natura
dichiarativa, tuttavia, in mancanza della relativa declaratoria, la pena non è
suscettibile di esecuzione poiché il provvedimento con cui il beneficio è stato

interpretazione, peraltro, secondo l’orientamento in esame, si pone «in linea con
il principio generale stabilito nel quarto comma dell’art. 172 cod. pen. secondo
cui il termine per la prescrizione della pena decorre dal giorno in cui la condanna
è divenuta irrevocabile ovverosia allorché essa abbia acquisito forza esecutiva
giusto l’art. 650 cod. proc. pen. e sia concretamente utilizzabile come titolo
esecutivo». In tempi più recenti l’anzidetto orientamento è stato ribadito, con
analoghe argomentazioni, dalla sentenza Sez. 1, n. 22707 del 05/12/2012, dep.
2013, Mirabella, Rv. 256481.
I medesimi concetti – sostanzialmente coerenti all’indirizzo suddetto – sono
stati espressi dalla Suprema Corte anche in relazione all’analogo tema della
prescrizione della pena in relazione alla revoca della sospensione condizionale
della stessa. In Sez. 1, n. 13414 del 21/02/2013, Strusi, Rv. 255647, è stato
affermato che il dies a quo da cui decorre il termine di prescrizione della pena,
oggetto di sospensione condizionale poi revocata, deve essere individuato nel
giorno di passaggio in giudicato della decisione che ha disposto la revoca del
beneficio, e non dal momento in cui è stato commesso il reato che ha dato luogo
alla revoca medesima, e sebbene da ciò possa scaturire un danno al condannato,
derivante dall’eventuale ritardo con cui è possibile venga accertata la causa della
revoca, questa soluzione appare comunque quella da preferirsi, essendo
necessario che a prevalere sia il generale interesse alla certezza dei rapporti
giuridici. Tale orientamento, sempre in tema di prescrizione della pena in
relazione alla revoca della sospensione condizionale della stessa, è stato ribadito
nelle più recenti decisioni Sez. 1, n. 43489 del 05/07/2013, Longhitano, Rv.
257412 e Sez. 1, n. 39565 del 13/06/2014, Venosa, n. m.

3. A fronte dell’indicato indirizzo interpretativo, si è nel tempo consolidato
un opposto orientamento esegetico, per il quale il termine di prescrizione della
pena, in caso di indulto successivamente revocato, decorre dal momento in cui si
sono verificati i presupposti per la revoca del beneficio precedentemente

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concesso conserva efficacia finché non venga formalmente revocato». Tale

concesso, ovvero è divenuta definitiva la sentenza di condanna determinante la
causa della revoca dell’indulto stesso.
In sostanza, per questa più recente opzione ermeneutica, ai fini
dell’individuazione del dies a quo per il decorso della prescrizione della pena, in
caso di revoca di benefici, si deve fare riferimento al momento in cui siano per
legge maturate le condizioni che abbiano portato alla revoca stessa e non a
quello in cui viene adottato il provvedimento di revoca del beneficio.
Tale indirizzo interpretativo, che pur annovera plurimi non recenti

le altre, Sez. 1, n. 5897 del 17/11/1995, Montaldo, Rv. 203039 e Sez. 1, n. 5145
del 18/10/1995, Novellis, Rv. 202898, con cui la Corte ha espressamente
affermato il principio per cui ai fini dell’individuazione del dies a quo per il
decorso del termine di prescrizione della pena, in caso di revoca di benefici, si
deve far riferimento al momento in cui siano per legge maturate le condizioni
che avrebbero dovuto portare alla revoca stessa, a prescindere dal fatto che
queste siano state, o non, subito dichiarate, in quanto le cause di revoca dei
benefici operano di diritto, e cioè all’atto del verificarsi dei loro presupposti, e le
sentenze che le accertano rivestono natura meramente dichiarativa e non
costitutiva) è stato più di recente ribadito.
Nella sentenza Sez. 1, n. 41574 del 12/12/2006, Capetta, Rv. 236015,
quindi, è stato ulteriormente chiarito che l’indirizzo interpretativo che fa
decorrere il termine di prescrizione della pena dal momento in cui sono per legge
maturate le condizioni che avrebbero dovuto portare alla revoca del beneficio,
indipendentemente dal fatto che queste siano state, o meno, subito dichiarate
con sentenza, «risulta rispondente ad una lettura dell’art. 172 cod. pen., quinto
comma, che è sorretta da precisi ed univoci argomenti testuali, logici e
sistematici. […] Dalla formulazione letterale della norma traspare, quindi, un
primo elemento che milita a favore della soluzione qui condivisa, dato che
l’esplicito riferimento al “giorno in cui […] la condizione si è verificata”
inequivocamente attesta che la decorrenza del termine di prescrizione della pena
è, di per sé, collegata alla data in cui si è realizzato il presupposto dal quale la
legge fa derivare la revoca della sospensione condizionale della pena, non
rilevando, per contro, il momento in cui è adottato il provvedimento di revoca del
beneficio. Né vale obiettare, a giustificazione della tesi contraria, che la pena
diventa concretamente eseguibile soltanto a seguito della decisione di revoca,
per l’evidente ragione che la decadenza dal beneficio della sospensione
condizionale della pena opera di diritto, non appena la condanna che la comporta
passa in giudicato, e che il provvedimento di revoca ha mera funzione ricognitiva
della condizione risolutiva del beneficio, di talché i relativi effetti si producono ex
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precedenti, a dimostrazione che il tema è stato sempre dibattuto (si vedano, tra

tunc, retroagendo al momento in cui la condizione si è verificata. Un ulteriore
argomento esegetico dispiega incidenza decisiva a sostegno dell’opzione
ermeneutica favorevole alla tesi che fa decorrere il termine di prescrizione non
dalla data della revoca del beneficio, ma da quella di avveramento della
condizione risolutiva. Se si considera, infatti, che la ratio della disciplina della
prescrizione, sia del reato che della pena, è indissolubilmente legata all’esigenza
di certezza delle situazioni giuridiche, appare chiaro che il termine prescrizionale
non può che decorrere dal fatto oggettivo della verificazione delle condizioni che

così non fosse, la prescrizione verrebbe collegata ad una data che varia in
relazione alle contingenti determinazioni dell’autorità giudiziaria: con l’ulteriore
conseguenza che i termini e il decorso della prescrizione verrebbero fatti
dipendere da cause riferibili alla maggiore o minore tempestività delle decisioni
degli organi deputati all’esecuzione della pena e alla revoca del beneficio, in
palese violazione dei principi di certezza e di legalità».
Analoghe valutazioni sono state, poi, riaffermate nella sentenza Sez. 1, n.
40678 del 16/10/2008, Narzisi, Rv. 241562, ed in Sez. 1, n. 18552 del
05/03/2009, Canarecci, Rv. 243644, nella quale è stato, in particolare, ribadito
come l’indicata soluzione risulti preferibile «sia perché non pone a carico del
condannato il ritardo con cui il p.m. procede alla richiesta di revoca ed il giudice
decide, spettando a tali organi operare con celerità, sia perché consente una
interpretazione della norma conforme ai principi di ragionevolezza e di
tempestività nella esecuzione delle pene, di cui agli artt. 3 e 27, secondo
comma, della Costituzione, con riguardo ai quali non appare accettabile che una
pena definitiva e che dovrebbe essere eseguita tempestivamente venga di fatto
eseguita dopo decenni, soltanto per inerzia degli organi a ciò preposti, in
contrasto con l’effetto rieducativo della pena per cui la esecuzione deve essere
tendenzialmente prossima alla commissione del reato o quanto meno alla
definitività della condanna. D’altronde anche l’interpretazione letterale del quinto
comma dell’art. 172 cod. pen. suggerisce tale soluzione poiché impone che il
tempo necessario per la esecuzione della pena decorre, nel caso in cui la
esecuzione sia condizionata, dal momento in cui si è verificata la condizione, con
ciò evocando i presupposti di fatto e di diritto per il verificarsi della condizione e
non anche un provvedimento di accertamento definitivo della verificazione della
condizione».
I medesimi temi interpretativi sono, quindi, rinvenibili, con riferimento alla
giurisprudenza più recente, nelle sentenze Sez. 1, n. 26748 del 21/05/2009,
Papallo, Rv. 244714, e Sez. 1, n. 10924 del 13/01/2012, Gargiulo, Rv. 252553.
Da ultimo, nella decisione Sez. 1, n. 34145 del 03/07/2014, Saorin, n. m., è

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rendono revocabile di diritto la sospensione condizionale della pena, dato che, se

stato osservato che «ove la revoca del beneficio sia collegata alla “commissione
del reato”, potrebbero teoricamente venire in rilievo tre momenti: il momento
storico di commissione del reato (presupposto di fatto); il momento di
accertamento giudiziale di tale commissione, che deve essere definitivo
(presupposto giuridico); il momento in cui il beneficio viene revocato». Escluso
che i termini di prescrizione possano decorrere dal mero dato fattuale della
commissione di un reato entro il previsto termine quinquennale, essendo a tal
fine indispensabile un accertamento della relativa responsabilità disposto con
sentenza irrevocabile di condanna, non possono neppure decorrere i predetti

termini «dall’ultimo di tali momenti, che si riferisce a decisione meramente
ricognitiva di condizione verificatasi, il cui eventuale ritardo non può dunque
gravare sul condannato. L’unico momento in cui possono invece considerarsi
perfezionati i presupposti “di fatto e di diritto” per la revoca, e da cui può
validamente (in base al principio

contra non valentem agere non currit

praescriptio) decorrere il termine di prescrizione, è perciò il secondo: quello
dell’accertamento giudiziale definitivo della commissione del reato da cui
consegue la revoca».
Deve, infine, essere rimarcato come anche con riguardo al presente indirizzo
esegetico rilevino alcune pronunce, dall’identico tenore di quelle espresse in
tema di indulto condizionato, pronunziate dalla Suprema Corte in sede di esame
del diverso istituto della sospensione condizionale della pena. Così, infatti, in
Sez. 6, n. 1465 del 02/06/1983, Marziani, Rv. 160523, è stato affermato che nel
caso di revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena il termine
per la prescrizione decorre dal giorno in cui è divenuta irrevocabile la sentenza
con la quale è stata pronunciata la condanna che determina la revoca. Nello
stesso solco interpretativo, quindi, la sentenza Sez. 1, n. 17346 del 11/04/2006,
Petrella, Rv. 233882, ha stabilito che il termine di prescrizione della pena, nel
caso in cui sussistano le condizioni per revocare la sospensione condizionale,
decorre dal momento in cui si sono verificate dette condizioni e non da quello in
cui è adottato il provvedimento di revoca del beneficio, e ciò sulla base sia del
dettato letterale dell’art. 172, quinto comma, cod. pen. che della

ratio della

disciplina della prescrizione, la quale, poiché ispirata all’esigenza di certezza delle
situazioni giuridiche, non può dipendere dalle contingenti determinazioni
dell’autorità giudiziaria.

4. Tanto rievocato – e rilevato poi come in sede dottrinale lo specifico
argomento risulti assai poco frequentato e per lo più con riproposizione assertiva
delle decisioni di questa Corte – vale qui affermare essere corretta soluzione al

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(

quesito posto quella discendente dalla seconda, sopra riportata, più recente
opzione ermeneutica.
A tanto conduce, senza possibilità di equivoci interpretativi, il dato testuale,
quello logico e quello sistematico, anche in una lettura che sia, doverosamente,
costituzionalmente e convenzionalmente orientata.
Il dato testuale – di per sé pressoché autosufficiente – assume, in materia,
un’importanza decisiva. Poiché il tema centrale è l’estinzione della pena per
decorso inattivo del tempo, e cioè la prescrizione della stessa, l’individuazione

riveste carattere sostanziale, non può che assurgere al paradigma della tipicità.
Non è consentito, dunque, all’interprete percorrere vie esegetiche (per quanto
anch’esse non prive di argomenti logico-sistematici) che esulino dal dato testuale
assolutamente preciso e chiaro; orbene, ai nostri fini, nel caso in cui l’esecuzione
della pena sia subordinata al verificarsi di una condizione, «il tempo necessario
per l’estinzione della pena decorre dal giorno in cui […] la condizione si è
verificata», come recita testualmente il quinto comma dell’art. 172 del codice
penale. Orbene, nel caso in cui l’esecuzione della pena sia condizionata alla
revoca dell’indulto, tale revoca, e con essa l’eseguibilità della pena, si determina
con il solo fatto dell’avverarsi della condizione risolutiva che, a mente delle
pertinenti diposizioni dei provvedimenti legislativi di indulto, è stabilita con
riferimento alla condanna per reato successivamente commesso. Nella
fattispecie, in relazione alla normativa indulgenziale applicata (come si evince in
atti), si tratta del d.P.R. 18 dicembre 1981, n. 744, e del d.P.R. 16 dicembre
1986, n. 865, che presentano, entrambi, la medesima dizione testuale in ordine
al determinarsi della revoca del beneficio, rispettivamente all’art. 10 ed all’art.
11: «il beneficio dell’indulto è revocato di diritto qualora chi ne abbia usufruito
commetta, entro cinque anni dalla data di entrata in vigore del presente decreto,
un delitto non colposo per il quale riporti condanna a pena detentiva». Tale
specifica disposizione, in tema di revoca dell’indulto, è diventata poi un dato
tralaticio, essendo riportata pedissequamente nei successivi provvedimenti
indulgenzali, e cioè dall’art. 4 del d.P.R. 394/90 e dall’art. 3 della legge.
241/2006.
Dunque l’ineludibile conclusione discendente, in modo chiaro e piano, dai
correlati disposti normativi si propone nei seguenti termini da ritenere cogenti
trattandosi di norme che, attenendo alla pena, rivestono carattere e valore
sostanziale: la revoca dell’indulto si determina ope legis («il beneficio dell’indulto
è revocato di diritto») al verificarsi della condizione risolutiva (aver commesso un
delitto entro il termine indicato); il dies a quo dal quale decorre la prescrizione
della pena è quello in cui la citata condizione risolutiva si è verificata (art. 172,
11

del dies a quo è argomento nel quale la formulazione normativa, in un tema che

quinto comma, cod. pen.). Tale condizione risolutiva si verifica, di necessità, con
l’irrevocabilità della sentenza che determina il presupposto della revoca, e cioè
l’accertata commissione, da parte di chi abbia usufruito dell’indulto, del fatto di
reato implicante, ope legis, la revoca stessa (in tal senso si veda, con assoluta
chiarezza, la sopra citata sentenza Sez. 1, n. 34145 del 03/07/2014, Saorin).
E’ quindi evidente, dal complesso interpretativo fin qui elaborato, che il
provvedimento di revoca, successivo e ricognitivo di un effetto già verificatosi,
resta estraneo al decorrere del tempo ai fini dell’estinzione della pena per

Tale impostazione, del resto, è coerente con le affermazioni, che si
rinvengono in entrambi gli orientamenti giurisprudenziali sopra rievocati,
secondo cui da un lato la revoca dell’indulto opera di diritto al verificarsi della
condizione risolutiva, dall’altro la disposizione giudiziale di revoca ha natura
meramente formale, dichiarativa e ricognitiva.
Non è chi non veda, allora, l’incongruenza logica dell’impostazione che fa
capo a quello che sopra si è indicato come più risalente orientamento, secondo
cui la revoca dell’indulto si determina ope legis al verificarsi del presupposto, ma
pur tuttavia l’eseguibilità della pena dovrebbe attendere il provvedimento
giudiziale dichiarativo di tale revoca. Siffatta impostazione offre il fianco all’evidenza – alla critica, che peraltro ampiamente si rinviene nella
giurisprudenza di legittimità, che deriva dall’essere tale eseguibilità dipendente
dai tempi, i più vari e spesso lunghi, dell’attività giudiziaria diretta alla
declaratoria di revoca, con due negative e non accettabili ricadute: l’essere
esposto il condannato alla maggiore o minore tempestività dei provvedimenti
giudiziali, con lesione del principio di uguaglianza; subire lo stesso condannato le
conseguenze della revoca a maggiore distanza di tempo, così vulnerando i
principi, di rango costituzionale, relativi all’effettività ed alla ragionevole durata
del processo (anche della fase esecutiva, ex art. 111 Cost.), ma anche afferenti
ai valori rieducativi (art. 27, secondo comma, Cost.) per cui l’esecuzione della
pena deve essere il più vicino possibile alla commissione del reato ed alla
definitività della condanna.
Va dunque affermato che la soluzione qui privilegiata si propone
decisamente anche come interpretazione costituzionalmente orientata e, quindi,
in tal senso dovuta.
Nessun dubbio, poi, che l’opzione ermeneutica che questa Corte assume,
anticipando il tempo dell’esecuzione della pena al momento dell’avveramento
della condizione risolutiva (anziché attendere i più lunghi e variabili tempi di una
successiva declaratoria di revoca), si presenta del tutto coerente con i principi di

12

prescrizione.

ragionevole durata, di sollecita definizione e di minor sacrificio esigibile evincibili
dagli artt. 5 e 6 CEDU.
Anche sul piano sistematico e sull’operatività del meccanismo processuale
che ne deriva, il contrario orientamento non appare convincente, posto che esso,
spostando il baricentro della propria valutazione sulla necessità della declaratoria
di revoca, finisce per sottolineare il momento ricognitivo, come tale formale,
rispetto a quello sostanziale. Peraltro il lato più debole di siffatta, più risalente,
impostazione va rinvenuto nella di certo non condivisibile logica di voler legare il

si avrebbe – sostiene quell’orientamento – solo con la definitività del
provvedimento di revoca. Non è difficile cogliere il duplice errore che si cela
dietro tale argomentazione, peraltro contraria al chiaro dettato normativo: a)
sotto un primo aspetto, la prescrizione è istituto legato al decorrere del tempo e,
per quanto attiene all’estinzione della pena, non sono previste cause di
sospensione, mentre l’interruzione si ha solo con l’inizio della sua concreta
esecuzione; dunque, a fronte di un dies a quo determinato per legge, il preteso
rinvio del decorso della prescrizione fino al momento della (presunta) successiva
eseguibilità, è argomento che, introducendo una sospensione della prescrizione
non prevista, non ha basi normative e si pone come anomalo nel sistema:
questo prevede invero cause di sospensione dell’esecuzione (già avviata: v. art.
656 cod. proc. pen.), ma non sospensioni della prescrizione della pena; ed
invero, ancora, l’art. 172 cod. pen. prevede diversi dies a quibus (a seconda dei
casi: condannato che si sottrae volontariamente all’esecuzione già iniziata;
verificarsi di una condizione), ma non, come appena detto, ipotesi di sospensione
del corso della prescrizione rispetto ad un inizio fissato per legge; b) l’eseguibilità
della pena non si ha di necessità solo con il provvedimento di revoca dell’indulto;
in caso di avveramento della condizione risolutiva, efficace

ope legis, deve

affermarsi invero l’immediata eseguibilità della pena senza attendere la
dichiarazione formale e meramente ricognitiva della revoca del beneficio; in
quest’ultimo senso deve invero rilevarsi, come la Corte di cassazione ha già
avuto modo di ricordare (si veda Sez. 1, n. 8670 del 17/02/2006, Urso, Rv.
233584, in tema di sospensione condizionale, e Sez. 1, n. 23457 del
24/01/2011, Ianni, Rv. 250419, in tema di indulto), come il pubblico ministero
possa, ed anzi debba, in forza dell’art. 655 cod. proc. pen., porre subito in
esecuzione la pena, e dunque anche quella derivante dall’avvenuto avveramento
della condizione risolutiva del concesso beneficio; avveramento che egli stesso
può rilevare – trattandosi di un’operazione che di norma non richiede articolate
valutazioni, di mero recepimento di una sentenza irrevocabile di condanna contemporaneamente chiedendo al giudice dell’esecuzione di procedere, ai sensi

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dies a quo della prescrizione della pena alla concreta eseguibilità della stessa che

dell’art. 674 cod. proc. pen., alla dichiarazione (come detto, ricognitiva) della
revoca del beneficio; seguendo, se proposto, eventuale incidente di esecuzione
in opposizione.
Peraltro ben può il giudice della cognizione, nel momento stesso in cui
accerta la commissione, da parte di chi abbia usufruito dell’indulto, di un reato
per il quale infligge condanna non inferiore al limite previsto nel provvedimento
indulgenziale, pronunciare, con la sentenza, la revoca di diritto del beneficio; tale
operazione giuridica – oggi possibile ed affidabile con la maggiore tempestività

– diventerà poi immediatamente operativa con la definitività di tale sentenza.
Dunque, in definitiva, anche sul piano pratico si devono ritenere dissolte le
preoccupazioni pratiche che sembra essere state sottese all’orientamento
contrario a quello qui affermato.
La soluzione al posto quesito che qui si afferma come corretta risulta poi
fornita di evidente coerenza rispetto al parallelo istituto della prescrizione del
reato (artt. 157 e segg. cod. pen.) e dunque presenta il pregio di comporre una
sistematica unitarietà. Ed invero – allo stato della normativa, di cui occorre
prendere atto, al di là dei più vari progetti di riforma – come il dies a quo per
l’estinzione del reato decorre dalla commissione del fatto (elemento sostanziale),
e non dall’inizio del processo di cognizione diretto ad accertarlo, così il dies a quo
per l’estinzione della pena non può non decorrere dall’irrevocabilità della
sentenza o, per quanto rilevi, dall’avverarsi della condizione risolutiva che
costituisce il presupposto della revoca (elemento sostanziale), e non dall’attività
processuale, peraltro di conclamata natura formale e ricognitiva, nonché
variabile nei tempi, che prenda atto del già avvenuto avverarsi di tale condizione
risolutiva.

5. In definitiva, al quesito di diritto posto alle Sezioni Unite deve essere data
corretta risposta nei seguenti termini: “Nel caso in cui l’esecuzione della pena sia
subordinata alla revoca dell’indulto, il termine di prescrizione della pena decorre
dalla data d’irrevocabilità della sentenza di condanna, quale presupposto della
revoca del beneficio”.

6. Per conseguenza l’ordinanza impugnata, che si è attenuta a criterio
diverso, qui ritenuto errato, deve essere annullata con rinvio per violazione di
legge.
Il giudice del rinvio, che deve essere individuato nel Tribunale di Milano in
composizione collegiale quale giudice dell’esecuzione, procederà quindi a nuovo
esame dell’istanza proposta da Enrico Maiorella, attenendosi, ai sensi dell’art.
14

consentita dall’inserimento telematico dei provvedimenti nel casellario giudiziale

627, comma 3, cod. proc. pen., al principio di diritto enunciato da questa Corte
di legittimità.

7. E’ peraltro del tutto evidente che, permanendo comunque nel giudice del
rinvio, ex art. 627, comma 2, cod. proc. pen., tutti i poteri propri del giudice a
quo, nella fattispecie dell’esecuzione, lo stesso dovrà attentamente valutare
l’eventuale concreta sussistenza, nel caso in esame, delle cause ostative
all’estinzione della pena quali previste dall’ultimo comma dell’art. 172 cod. pen.;

motivazionale adottata.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di
Milano.
Così deciso il 30/10/2014.

vaglio non compiuto nell’ordinanza impugnata in ragione della (errata) soluzione

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