Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19982 del 11/04/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 19982 Anno 2018
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: CATENA ROSSELLA

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
LO MANIANG nato il 05/06/1957 a KEUR SACONATE( SENEGAL)

avverso la sentenza del 26/01/2017 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere ROSSELLA CATENA;

Data Udienza: 11/04/2018

Fatto e diritto

Con sentenza del 26/01/2017 la Corte d’Appello di Catania confermava la
sentenza di primo grado, con cui Lo Maniang era stato condannato a pena di
giustizia per il reato di cui all’art. 474 cod. pen.
Nell’interesse dell’imputato è stato proposto ricorso per cassazione, con il quale
si lamentano violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla ritenuta
insussistenza dell’art. 49 cod. pen. ed alla violazione dell’art. 191 cod. proc.
pen., essendo la sentenza basata sulla perizia tecnica effettuata su incarico della

Il ricorso è inammissibile per assenza di specificità, in quanto fondati su censure
che, nella sostanza, ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute
infondate dal giudice del gravame. La mancanza di specificità del motivo, invero,
deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza,
ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla
decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non
potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio
indicato, conducente, a mente dell’art. 591 comma 1 lett. c), cod. proc. pen.,
all’inammissibilità (Sez. 4, 29/03/2000, n. 5191, Barone, Rv. 216473; Sez. 1,
30/09/2004, n. 39598, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, 03/07/2007, n. 34270,
Scicchitano, Rv. 236945; Sez. 3, 06/07/2007, n. 35492, Tasca, Rv. 237596).
Con motivazione immune da censure logiche, la Corte di appello si è
correttamente conformata – quanto alla qualificazione giuridica dei fatti accertati
– al consolidato orientamento di questa Corte di legittimità (da ultimo, Sez. 5, n.
5260 dell’11/12/2013 – 03/02/2014, Rv. 258722), per la quale integra il delitto
di cui all’art. 474 cod. pen. la detenzione per la vendita di prodotti recanti
marchio contraffatto senza che abbia rilievo la configurabilità della contraffazione
grossolana, considerato che l’art. 474 cod. pen. tutela, in via principale e diretta,
non già la libera determinazione dell’acquirente, ma la fede pubblica, intesa
come affidamento dei cittadini nei marchi e segni distintivi, che individuano le
opere dell’ingegno e i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione anche
a tutela del titolare del marchio; si tratta, pertanto, di un reato di pericolo, per la
cui configurazione non occorre la realizzazione dell’inganno non ricorrendo quindi
l’ipotesi del reato impossibile qualora la grossolanità della contraffazione e le
condizioni di vendita siano tali da escludere la possibilità che gli acquirenti siano
tratti in inganno.
Quanto all’accertamento della falsificazione, la sentenza ha richiamato non solo
la consulenza effettuata su incarico della persona offesa, ma anche la
deposizione del teste che aveva effettuato il sequestro.

persona offesa.

In realtà, le censure aspirano ad una rivalutazione del compendio probatorio
preclusa in questa sede.
Secondo il costante insegnamento di questa Corte, esula dai poteri del giudice di
legittimità quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento
della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di
merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di
una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze
processuali (per tutte: Sez. Un., 30/4-2/7/1997, n. 6402, Dessimone, riv.
207944; tra le più recenti: Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003 – 06/02/2004, Elia,

Il motivo proposto tende, appunto, ad ottenere una inammissibile ricostruzione
dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di
merito, il quale, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le
ragioni del suo convincimento.
La novella codicistica, introdotta con la L. del 20 febbraio 2006, n. 46 ,che ha
riconosciuto la possibilità di deduzione del vizio di motivazione anche con il
riferimento ad atti processuali specificamente indicati nei motivi di
impugnazione, non ha mutato la natura del giudizio di cassazione, che rimane
pur sempre un giudizio di legittimità, sicché gli atti eventualmente indicati, che
devono essere specificamente allegati per soddisfare il requisito di
autosufficienza del ricorso, devono contenere elementi processualmente
acquisiti, di natura certa ed obiettivamente incontrovertibili, che possano essere
considerati decisivi in rapporto esclusivo alla motivazione del provvedimento
impugnato e nell’ambito di una valutazione unitaria, e devono pertanto essere
tali da inficiare la struttura logica del provvedimento stesso. Resta, comunque,
esclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da
contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa
lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione
storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti di
prova.
E’ stato ulteriormente precisato che la modifica dell’art. 606 lett. e) cod. proc.
pen., per effetto della legge n. 46 del 2006, non consente alla Cassazione di
sovrapporre la propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito
mentre comporta che la rispondenza delle dette valutazioni alle acquisizioni
processuali può essere dedotta nella specie del cosiddetto travisamento della
prova, a condizione che siano indicati in maniera specifica e puntuale gli atti
rilevanti e sempre che la contraddittorietà della motivazione rispetto ad essi sia
percepibile “ictu oculi”, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere

2

Rv. 229369).

limitato ai rilievi di macroscopica evidenza, senza che siano apprezzabili le
minime incongruenze. (Sez. 4, n. 20245 del 28/04/2006, Francia, Rv. 234099).
Alla inammissibilità del ricorso consegue,

ex art. 616 cod. proc. pen., la

condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in
favore della cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si
stima equo determinare in euro 2.000,00.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle

Ammende.
Così deciso in Roma, il 11 aprile 2018
Il Componente estensore

Il Presidente

spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle

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