Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19932 del 23/03/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 19932 Anno 2018
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: MENGONI ENRICO

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
CRIMI DANIELE nato il 25/09/1985 a MARSALA

avverso la sentenza del 18/10/2017 del TRIBUNALE di MARSALA
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere ENRICO MENGONI;

Data Udienza: 23/03/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 18/10/2017, il Tribunale di Marsala applicava a Daniele
Crimi – ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. – la pena di otto mesi di reclusione e
7.500,00 euro di multa in ordine al delitto di cui all’art. 6, commi 2 e 6, I. 13
dicembre 1989, n. 401.
2. Propone ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore,
chiedendo l’annullamento della decisione. Il Tribunale non avrebbe valutato

pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il gravame risulta inammissibile.
L’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., introdotto dalla I. 23 giugno 2017,
n. 103, dispone che il pubblico ministero e l’imputato possono proporre ricorso
per cassazione contro la sentenza di “patteggiamento” solo per motivi attinenti
all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la
richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità
della pena o della misura di sicurezza. Con conseguente inammissibilità, dunque,
di ulteriori censure, come quella proposta in questa sede, concernenti il giudizio
di equivalenza/prevalenza delle circostanze attenuanti su quelle aggravanti
contestate.
4. A ciò si aggiunga, peraltro, che il ricorrente si limita a lamentare che il
Giudice non avrebbe speso alcun argomento circa l’insussistenza di cause di
proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen., ma in ciò non muove alcun concreto
riferimento critico al provvedimento impugnato. Sul punto, peraltro, deve
richiamarsi il costante orientamento di questa Corte secondo cui l’obbligo della
motivazione, imposto al Giudice dagli artt. 111 Cost. e 125, comma 3, cod. proc.
pen. per tutte le sentenze, non può non essere conformato alla particolare
natura giuridica della sentenza di patteggiamento, rispetto alla quale, pur non
potendo ridursi il compito del Giudice a una funzione di semplice presa d’atto del
patto concluso tra le parti, lo sviluppo delle linee argonnentative della decisione è
necessariamente correlato all’esistenza dell’atto negoziale con cui l’imputato
dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti dedotti nell’imputazione. Ne
consegue che il giudizio negativo circa la ricorrenza di una delle ipotesi di cui
all’art. 129 cod. proc. pen. deve essere accompagnato da una specifica
motivazione soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti
emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non

l’eventuale sussistenza di cause di non punibilità di cui all’art. 129 cod. proc.

punibilità, dovendo, invece, ritenersi sufficiente, in caso contrario, una
motivazione consistente nell’enunciazione – anche implicita – che è stata
compiuta la verifica richiesta dalle leggi e che non ricorrono le condizioni per la
pronuncia di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. (ex plurimis, Sez. 2, n.
41785 del 6/10/2015, Ayari, Rv. 264595; Sez. 4, n. 41408 del 17/9/2013,
Mazza, Rv. 256401; Sez. 4, n. 33214 del 2/7/2013, Oshodin Osi, Rv. 256071).
Orbene, tale orientamento trova applicazione anche nel caso di specie, nel quale
la motivazione della sentenza appare sufficiente poiché richiama gli atti di

valutabili a favore dell’imputato.
5. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale
e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la
parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della
causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima
consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del
procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa
delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 23 marzo 2018

42 sigliere estensore
Il’

indagine, peraltro in modo analitico, evidenziando l’inesistenza di elementi

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