Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19931 del 23/03/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 19931 Anno 2018
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: MENGONI ENRICO

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
GIAMPALMO DOMENICO nato il 09/08/1976 a BITONTO

avverso la sentenza del 08/03/2017 del TRIBUNALE di BARI
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere ENRICO MENGONI;

Data Udienza: 23/03/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza dell’8/3/2017, il Tribunale di Bari applicava a Domenico
Giampalmo – ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. – la pena di dieci mesi di
reclusione ed 800,00 euro di multa in ordine al delitto di cui all’art. 73, comma 5,
d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
2. Propone ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore,
chiedendo l’annullamento della decisione. Il Tribunale avrebbe dovuto

recidiva, non già a questa equivalenti, sì da pervenire ad una pena più mite e più
prossima al reale disvalore del fatto contestato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il gravame risulta inammissibile.
Al riguardo, deve richiamarsi il costante orientamento di questa Corte
secondo cui l’obbligo della motivazione, imposto al Giudice dagli artt. 111 Cost. e
125, comma 3, cod. proc. pen. per tutte le sentenze, non può non essere
conformato alla particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento,
rispetto alla quale, pur non potendo ridursi il compito del Giudice a una funzione
di semplice presa d’atto del patto concluso tra le parti, lo sviluppo delle linee
argomentative della decisione è necessariamente correlato all’esistenza dell’atto
negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti dedotti
nell’imputazione. E senza tacere, peraltro, che la doglianza qui proposta in tema
di responsabilità risulta del tutto generica, apodittica e priva di qualsivoglia
richiamo ad elementi concreti; come tale, palesemente inammissibile.
Ancora, quanto alla pena, ribadisce il Collegio che, una volta che l’accordo
tra l’imputato ed il pubblico ministero è stato ratificato dal Giudice con la
sentenza, il ricorso per cassazione è proponibile solo nel caso di pena illegale o
per questioni inerenti all’applicazione delle cause di non punibilità di cui all’art.
129, comma primo, cod. proc. pen. (per tutte, Sez. 2, n. 7683 del 27/1/2015,
Duric, Rv. 263431); ipotesi – queste menzionate – che il ricorso neppure
richiama, invocando solo genericamente la mancata concessione delle
circostanze attenuanti generiche con carattere di prevalenza sulla recidiva, a
fronte del giudizio di equivalenza formulato dal Tribunale.
Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e
rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte
abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa
di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a

riconoscere le circostanze attenuanti generiche come prevalenti sulla contestata

norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché
quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende,
equitativamente fissata in euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle

Così deciso in Roma, il 23 marzo 2018

igliere estensore

Il Preside e

ammende.

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