Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19930 del 23/03/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 19930 Anno 2018
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: MENGONI ENRICO

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
MACARIO FRANCESCA nato il 20/03/1980 a TERMOLI

avverso la sentenza del 12/01/2017 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere ENRICO MENGONI;

Data Udienza: 23/03/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 12/1/2017, la Corte di appello di Roma confermava la
pronuncia emessa il 19/7/2012 dal locale Tribunale, con la quale Francesca
Macario era stata giudicata colpevole del delitto di cui all’art. 73, comma 5,
d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 e condannata alla pena di otto mesi di reclusione e
2.000,00 euro di multa.
2. Propone ricorso per cassazione l’imputata, a mezzo del proprio difensore,

la condanna con argomento inadeguato e generico, specie considerando che la
Macario sarebbe assuntrice abituale di stupefacenti e quanto sequestratole
costituirebbe una provvista che la stessa si sarebbe creata. Difetterebbero,
inoltre, gli indici tipici della destinazione della sostanza ad uso non personale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il gravame risulta manifestamente infondato.
Al riguardo, occorre innanzitutto ribadire che il controllo del Giudice di
legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della
decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo,
restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e
valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv.
265482; Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009, Campanella, n. 12110, Rv. 243247).
In tal modo individuato il perimetro di giudizio proprio della Suprema Corte,
osserva allora il Collegio che le censure mosse dalla ricorrente al provvedimento
impugnato si evidenziano come inammissibili; ed invero, dietro la parvenza di
una violazione di legge o di un vizio motivazionale, lo stesso di fatto tende ad
ottenere in questa sede una nuova ed alternativa lettura delle medesime
emergenze istruttorie già esaminate dai Giudici di merito, sollecitandone una
valutazione diversa e più favorevole.
Il che, come riportato, non è consentito.
4. La doglianza, inoltre, oblitera che la Corte di appello – pronunciandosi
proprio sulla questione qui riprodotta – ha steso una motivazione del tutto
congrua, fondata su oggettive risultanze dibattimentali e non manifestamente
illogica; come tale, quindi, non censurabile. In particolare, la sentenza ha
evidenziato che la Macario era stata fermata in compagnia del convivente, e
trovata in possesso di un quantitativo di cocaina pari a circa 20 dosi medie
singole; nella sua abitazione, inoltre, erano stati rinvenuti un bilancino di

chiedendo l’annullamento della decisione. La Corte di merito avrebbe confermato

precisione, mannite e buste di plastica con ritagli circolari, oltre ad un hashish
per tre dosi. Ancora, il Collegio di appello ha adeguatamente sottolineato che la
destinazione della sostanza ad uso personale – sostenuta dalla ricorrente risultava contraddetta da plurimi fattori, compiutamente indicati alla pag. 2 della
pronuncia; elementi in fatto – tutti questi che precedono – che, peraltro, la Corte
di legittimità non può ulteriormente valutare, come invece richiesto nel gravame,
siccome motivati con argomento non viziato e propri della sola fase di merito.
5. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della

fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il
ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a
norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché
quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende,
equitativamente fissata in euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 23 marzo 2018

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sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella

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