Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19926 del 30/04/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 19926 Anno 2013
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: MACCHIA ALBERTO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
131k9KrA-E4A41R. N IL-23444-9.84
DODA ALTIN N. IL 27/03/1985
GJNAJ ALBAN N. IL 05/08/1990
avverso l’ordinanza n. 1455/2012 TRIB. LIBERTA’ di VENEZIA, del
16/11/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALBERTO MACCHIA;
let’e/sentite le conclusioni del PG Dott.
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Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 30/04/2013

Con ordinanza del 16 novembre 2012, il Tribunale di Venezia ha respinto la
richiesta di riesame avanzata nell’interesse di DODA ALTIN e GJNAJ ALBAN
avverso l’ordinanza emessa il 13 ottobre 2012 dal Giudice per le indagini preliminari
del Tribunale di Verona con la quale era stata disposta nei confronti dei predetti la
misura della custodia cautelare in carcere in ordine ai reati di porto e detenzione di
arma, di ricettazione e resistenza ai medesimi ascritti.
Propone ricorso per cassazione il difensore il quale rinnova la censura, già
dedotta e disattesa in sede di riesame, relativa alla mancata traduzione in lingua
albanese della ordinanza di custodia cautelare, trattandosi di indagati alloglotti che
non conoscono la lingua italiana, evocandosi al riguardo l’art. 6, comma 3, lettera a)
della CEDU e l’art. 14, comma 3, lettera a), del Patto internazionale relativo ai diritti
civili e politici, nonché la sentenza della Corte costituzionale n. 10 del 1993 e la
giurisprudenza tanto di legittimità che di merito formatasi sul punto, e che viene
diffusamente passata in rassegna.
Il ricorso non è fondato. Questo Collegio ritiene infatti di dover integralmente
aderire alla più recente giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale il giudice
che emetta ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di imputato che
ignori la lingua italiana, non è tenuto alla traduzione della stessa nella lingua a
quest’ultimo nota (Cass., Sez. I, n. 35878 del 19 giugno 2012, Bindac; Cass., Sez.I, n.
33058 del 14 luglio 2011, Ben Nasr). Le Sezioni unite di questa Corte, d’altra parte,
hanno avuto modo di puntualizzare che qualora sia applicata una misura cautelare
personale nei confronti di un cittadino straniero, del quale si ignori che non è in grado
di comprendere la lingua italiana, non è dovuta la immediata traduzione
dell’ordinanza che la dispone, e il relativo diritto alla conoscenza del relativo
contenuto è soddisfatto — una volta eseguito il provvedimento — o dalla traduzione in
lingua a lui nota (in applicazione dell’art. 94, comma 1 bis, disp. att. cod. proc. pen.),
ovvero della nomina, in sede di interrogatorio di garanzia, di un interprete che traduca
le contestazioni mossegli, rendendolo edotto delle ragioni che hanno determinato
l’emissione del provvedimento nei suoi confronti. In tal caso — hanno puntualizzato le
Sezioni unite — la decorrenza del termine per impugnare il provvedimento è differita
al momento in cui il destinatario ne abbia compreso il contenuto (Nell’occasione,
sottolinea la relativa massima, la Corte ha ulteriormente precisato che, qualora non
sia stata portata a conoscenza dello straniero, in una lingua a lui nota, l’ordinanza
cautelare, quest’ultima è viziata da nullità a regime intermedio solo qualora risulti
inequivocabilmente, dagli atti in possesso del giudice al momento della sua adozione,
che lo straniero non era in grado di comprendere la lingua italiana. Cass., Sez. un., n.
5052 del 24 settembre 2003, Zalagaitis).
Non può dunque affermarsi l’esistenza di un principio generale di traduzione
della integralità degli atti nella lingua dell’imputato alloglotta, giacche, anche alla
luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 10 del 1993, la

OSSERVA

P. Q. M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagam nto delle spese processuali. Si
provveda a norma dell’art. 94, comma 1 ter, disp. att cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il 30 aprile 2013

Il ConsFt. e estensore

Il ?ridente

necessità della traduzione riguarda gli atti contestativi di esercizio della azione penale
in funzione della necessaria comprensione dei termini dell’accusa elevata nei
confronti dell’imputato, in linea con il principio sancito dall’alt 6, comma 3, lettera
a) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, a norma del quale ogni accusato
ha diritto ad «essere informato, nel più beve tempo, in una lingua che comprende e in
maniera dettagliata, del contenuto dell’accusa elevata contro di lui». La circostanza
che la Corte costituzionale, attraverso l’adozione di una sentenza cosiddetta
“interpretativa di rigetto”, abbia circoscritto — come lettura costituzionalmente
imposta del sistema — l’obbligo della traduzione esclusivamente per gli atti a natura
contestativa attraverso i quali si realizza l’esercizio della azione penale,
evidentemente esclude la necessità di una consimile “lettura” per tutti gli altri atti che
non soddisfino quella esigenza: quali, dunque, i provvedimenti di natura cautelare, la
cui funzione non è certo quella di contestazione dell’accusa.
In tale prospettiva, allora, ciò che viene in discorso è esclusivamente il profilo
del soddisfacimento delle garanzie difensive, le quali ben possono ritenersi
soddisfatte ove l’imputato sia stato comunque messo in condizione di comprendere le
“ragioni” (e gli elementi di fatto) posti a fondamento del provvedimento cautelare.
Evenienza, questa, che, nel caso di specie, risulta essersi certamente realizzata,
considerato che, come emerge tanto dal ricorso che dalla ordinanza impugnata, gli
imputati sono stati assistiti da un interprete nel corso della udienza di convalida,
nell’ambito della quale sono stati dunque informati delle ragioni dell’arresto e degli
elementi di fatto su cui si è radicato il provvedimento custodiale.
I ricorsi deve essere pertanto rigettati ed i ricorrenti condannati al pagamento
delle spese processuali.

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