Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19926 del 23/03/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 19926 Anno 2018
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: MENGONI ENRICO

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
GUEYE MAMADOU LAMINE nato il 18/12/1986

avverso la sentenza del 16/05/2017 della CORTE APPELLO di GENOVA
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere ENRICO MENGONI;

Data Udienza: 23/03/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 16/5/2017, la Corte di appello di Genova confermava la
pronuncia emessa dal Tribunale di Sanremo il 14/5/2012, con la quale
Mamadoue Lamine Gueye era stato giudicato colpevole del delitto di cui all’art.
73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, e condannato – con rito abbreviato
– alla pena di otto mesi di reclusione e 2.000,00 euro di multa.
2. Propone ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore,

confermato la sanzione inflitta senza tener conto delle novelle che nel 2014
hanno investito l’art. 73, comma 5, riconosciuto in sentenza; quel che avrebbe
dovuto condurre all’irrogazione di una pena più mite.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il gravame risulta manifestamente infondato.
Occorre premettere che, come noto, con la sentenza n. 32 del 25 febbraio
2014 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli
articoli 4-bis e 4-vicies ter, d.l. 30 dicembre 2005 n. 272, convertito con
modificazioni dalla I. 21 febbraio 2006 n. 49, così rimuovendo le modifiche da
essi apportate – tra gli altri – all’articolo 73, d.P.R. n. 309 del 1990; sono
ritornati in tal modo applicabili, quindi, i commi primo e quarto della stessa
norma per come dettati prima del suddetto intervento del 2005, e dunque ha
recuperato vigenza l’irrogazione di una pena più mite per i reati attinenti alle cd.
droghe leggere (da due a sei anni di reclusione, oltre a multa, anziché da sei a
venti anni di reclusione, oltre a multa) e di una pena più severa per le cd. droghe
pesanti (la reclusione salita al range otto-venti anni, così sostituendo quella
appena richiamata da sei a venti anni).
Il medesimo art. 73 cit, poi, è stato interessato anche dal d.l. n. 146 del 23
dicembre 2013, convertito dalla I. n. 10 del 21 febbraio 2014 (che ha
trasformato l’ipotesi attenuata di cui al comma 5 – riconosciuta al ricorrente – in
fattispecie autonoma di reato, riducendo il massimo edittale da 6 a 5 anni di
reclusione e confermando la pena pecuniaria da 3.000 a 26.000 euro) e, da
ultimo, il d.l. 20 marzo 2014, n. 36, convertito, con modificazioni, dalla I. 16
maggio 2014, n. 79 (che, ancora in ordine al comma 5, ha novellato la cornice
edittale – riducendola – nei termini della reclusione da 6 mesi a 4 anni e della
multa da 1.032 a 10.329 euro). Ritiene poi questa Corte – anche alla luce
dell’indirizzo espresso dal Supremo Collegio di legittimità (Sez. U. 26/6/2015,
Della Fazia, Rv. 265111) – che tale nuovo perimetro edittale imponga comunque

I

chiedendo l’annullamento della decisione. La Corte di appello avrebbe

una nuova valutazione della pena da parte del Giudice di merito, al fine di
verificarne la costante adeguatezza e proporzionalità al fatto-reato, pur quando il
ricorso sia inammissibile, la stessa pena sia ad ogni effetto legale (cioè compresa
nella lettera della norma vigente, sia all’epoca che oggi) e non abbia formato
motivo di impugnazione in ordine al quantum.
4. Orbene, tutto ciò premesso, ritiene il Collegio che questa verifica sia stata
congruamente compiuta dalla Corte di appello di Genova, che – nel confermare
la pena inflitta in prime cure – ha fatto espresso riferimento alla cornice edittale

1990; e l’ha ritenuta congrua alla luce della qualità dello stupefacente
interessato (cocaina), della quantità della stessa e della capacità a delinquere
evidenziata dal ricorrente, come da due precedenti per condotte analoghe.
Quel che impedisce di accedere alla doglianza di cui al gravame, da ritenere,
pertanto, inammissibile.
5. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale
e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la
parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della
causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima
consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del
procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa
delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 23 marzo 2018

Il

nsigliere estensore

Il Presi nte

ad oggi prevista per la fattispecie di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del

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