Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19923 del 23/03/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 19923 Anno 2018
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: MENGONI ENRICO

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
DIARA BA nato il 15/10/1994 a ASONGO( MALI)

avverso la sentenza del 19/09/2017 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere ENRICO MENGONI;

Data Udienza: 23/03/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 19/9/2017, la Corte di appello di Catania, in riforma
della pronuncia emessa il 17/11/2016 dal locale Tribunale, rideterminava la pena
inflitta a Diara Ba in un anno, quattro mesi di reclusione e 4.000,00 euro di
multa, in ordine al delitto di cui all’art. 73, comma 4, d.P.R. 9 ottobre 1990, n.
309.
2. Propone ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore,

stata confermata in assenza di elementi univoci e con motivazione viziata; negli
stessi termini, poi, non sarebbe stata riconosciuta l’ipotesi di cui all’art. 73,
comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, pur ricorrendone i presupposti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il gravame risulta manifestamente infondato.
Al riguardo, occorre innanzitutto ribadire che il controllo del Giudice di
legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della
decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo,
restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e
valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv.
265482; Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009, Campanella, n. 12110, Rv. 243247).
In tal modo individuato il perimetro di giudizio proprio della Suprema Corte,
osserva allora il Collegio che le censure mosse dal ricorrente al provvedimento
impugnato si evidenziano come inammissibili; ed invero, dietro la parvenza di
una violazione di legge o di un vizio motivazionale, lo stesso di fatto tende ad
ottenere in questa sede una nuova ed alternativa lettura delle medesime
emergenze istruttorie già esaminate dai Giudici di merito, sollecitandone una
valutazione diversa e più favorevole.
Il che, come riportato, non è consentito.
4. La doglianza, inoltre, oblitera che la Corte di appello – pronunciandosi
proprio sulla questione qui riprodotta – ha steso una motivazione del tutto
congrua, fondata su oggettive risultanze dibattimentali e non manifestamente
illogica; come tale, quindi, non censurabile. In particolare, la sentenza ha
evidenziato, a conferma dell’ipotesi accusatoria: a) il luogo in cui la droga era
occultata (sotto un letto), nella disponibilità esclusiva del ricorrente; b) la duplice
natura della stessa (marijuana ed hashish); c) il rilevante quantitativo
sequestrato (marijuana per 285 dosi medie singole; hashish per 267 dosi medie

chiedendo l’annullamento della decisione. La colpevolezza del Diara sarebbe

singole); d) il rinvenimento della somma di 360,00 euro, negli slip del ricorrente,
in banconote di piccolo taglio. Ancora, la pronuncia ha contestato in modo
efficace le deduzioni offerte dalla difesa, quale quella secondo cui il letto sotto il
quale la droga era stata occultata non sarebbe stato riconducibile allo stesso
imputato; del pari, quanto alle giustificazioni fornite sulla provenienza lecita del
danaro, la Corte di merito ne ha sottolineato il carattere meramente verbale,
privo di riscontri (anche in punto di attività lavorativa svolta), oltre che in
contrasto con le citate modalità di custodia, nella biancheria indossata.

cit., questa è stata congruamente esclusa dalla Corte in ragione dei medesimi
elementi sopra richiamati, con particolare riguardo alla duplicità delle sostanze
sequestrate e del numero di dosi medie ricavabili.
6. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della
sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella
fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il
ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a
norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché
quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende,
equitativamente fissata in euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 23 marzo 2018

Il onsigliere estensore

Il Presidentè

5. Con riguardo, poi, all’ipotesi di lieve entità di cui all’art. 73, comma 5,

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