Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19922 del 23/03/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 19922 Anno 2018
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: MENGONI ENRICO

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:

BARBATO GIUSEPPE nato il 01/01/1966 a CATANIA

avverso la sentenza del 05/07/2017 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere ENRICO MENGONI;

Data Udienza: 23/03/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 5/7/2017, la Corte di appello di Catania confermava la
pronuncia emessa il 7/2/2017 dal locale Tribunale, con la quale Giuseppe
Barbato era stato giudicato colpevole del delitto di cui all’art. 73, d.P.R. 9 ottobre
1990, n. 309 e condannato – con rito abbreviato – alla pena di quattro anni di
reclusione e 18.000 euro di multa.
2. Propone ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore,

riconosciuto l’ipotesi di lieve entità, di cui al comma 5 dell’art. 73 in rubrica, pur
ricorrendone chiari i presupposti, alla luce della modestia dell’attività di spaccio
svolta dal Barbato, tratto in arresto nell’abitazione della madre (contrariamente
all’assunto della sentenza), luogo di certo conosciuto da un numero assai limitato
di persone.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il gravame risulta manifestamente infondato.
Al riguardo, occorre innanzitutto ribadire che il controllo del Giudice di
legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della
decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo,
restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e
valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv.
265482; Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009, Campanella, n. 12110, Rv. 243247).
In tal modo individuato il perimetro di giudizio proprio della Suprema Corte,
osserva allora il Collegio che le censure mosse dal ricorrente al provvedimento
impugnato si evidenziano come inammissibili; ed invero, dietro la parvenza di
una violazione di legge o di un vizio motivazionale, lo stesso di fatto tende ad
ottenere in questa sede una nuova ed alternativa lettura delle medesime
emergenze istruttorie già esaminate dai Giudici di merito, sollecitandone una
valutazione diversa e più favorevole.
Il che, come riportato, non è consentito.
4. La doglianza, inoltre, oblitera che la Corte di appello – pronunciandosi
proprio sulla questione qui riprodotta – ha steso una motivazione del tutto
congrua, fondata su oggettive risultanze dibattimentali e non manifestamente
illogica; come tale, quindi, non censurabile. In particolare, la sentenza ha
evidenziato che l’ipotesi lieve invocata non poteva esser riconosciuta in ragione:
a) del dato quantitativo della sostanza rinvenuta, ossia cocaina – solida ed in

chiedendo l’annullamento della decisione. La Corte di appello non avrebbe

polvere – pari a 57 dosi medie singole; b) della professionalità della condotta,
con disponibilità di strumenti e materiali per pesatura e confezionamento; c)
della altrettanta disponibilità alla cessione, che il ricorrente aveva subito
dimostrato verso i verbalizzanti, ritenuti clienti; d) della somma di danaro
rinvenuta, pari a 685,00 euro in banconote di piccolo taglio, che solo
asseritamente proverrebbero da un prestito che il Barbato avrebbe ottenuto dalla
madre; e) dell’evidente illazione insita nell’assunto – ribadito anche in questa
sede – secondo cui il luogo di spaccio (a prescindere dal fatto che costituisse

di persone. Sì da concludere – con argomento adeguato e non confutabile – che
il soggetto aveva predisposto un’attività di spaccio non occasionale o su base
ridotta, ma stabile ed organizzata, potendo far conto su sicuri canali di
approvvigionamento e vasto bacino di assuntori.
5. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della
sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella
fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il
ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a
norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché
quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende,
equitativamente fissata in euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 23 marzo 2018

DEPOSITA TA

casa del ricorrente o della madre) sarebbe stato noto solo ad un numero limitato

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