Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19920 del 23/03/2018
Penale Ord. Sez. 7 Num. 19920 Anno 2018
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: MENGONI ENRICO
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NDIAYE MOUSTAPHA nato il 20/09/1977
avverso la sentenza del 12/07/2017 della CORTE APPELLO di GENOVA
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere ENRICO MENGONI;
Data Udienza: 23/03/2018
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 12/7/2017, la Corte di appello di Genova confermava la
pronuncia emessa il 12/5/2014 dal locale Tribunale, con la quale Moustapha
Ndiaye era stato giudicato colpevole del delitto di cui agli artt. 81 cpv., 474, 648
cod. pen., 171-ter, comma 1, lett. c) d), e comma 2, lett. a), I. 22 aprile 1941,
n. 633 e condannato – con rito abbreviato – alla pena di due mesi di reclusione e
300,00 euro di multa.
chiedendo l’annullamento della decisione. La Corte di appello avrebbe compiuto
un’erronea applicazione della norma contestata, alla luce della nota sentenza
Schwibbert della Corte di giustizia dell’Unione europea; in particolare, nessun
accertamento sarebbe stato eseguito sul contenuto dei supporti in sequestro,
residuando, pertanto, la mera mancanza del contrassegno SIAE, come tale
insufficiente a fondare un giudizio di penale responsabilità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso risulta manifestamente fondato.
Con riguardo alla condotta ex art. 171-ter, comma 1, lett. c), I. n. 633 del
1941, deve essere infatti ribadito – in ordine agli effetti della sentenza
Schwibbert della Corte di Giustizia CE – che la non opponibilità ai privati della
normativa sul contrassegno SIAE, quale effetto della mancata comunicazione
dello stesso alla Commissione Europea in adempimento della normativa
comunitaria relativa alle “regole tecniche”, comporta il venir meno unicamente
dei reati caratterizzati dalla sola mancanza del contrassegno suddetto,
continuando dunque ad essere vietata e sanzionata penalmente qualsiasi attività
che comporti l’abusiva diffusione, riproduzione o contraffazione delle opere
dell’ingegno contraffatte (tra le molte Sez. 3, n. 12520 del 24/2/2011,
Salamone, Rv. 249921; Sez. 3, n. 34555 del 24/6/2008, Cissoko, RV 240753).
Contraffazione che, peraltro, la sentenza ha tratto – con argomento congruo e
non manifestamente illogico – da plurimi ed oggettivi elementi, diversi dalla
mancanza del citato contrassegno, quali l’elevato numero dei supporti rinvenuti
(nell’ordine di alcune migliaia), la loro natura evidentemente artigianale e
l’assenza di documenti circa la lecita provenienza; elementi ai quali, peraltro, il
ricorso non dedica neppure un passaggio, sì da emergerne ulteriormente
l’inammissibilità.
Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e
rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte
2. Propone ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore,
abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa
di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a
norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché
quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende,
equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 23 marzo 2018
r-E5IN CANCELLFRIA
-7S1 TATA
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle