Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19875 del 17/04/2018


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 19875 Anno 2018
Presidente: MOGINI STEFANO
Relatore: D’ARCANGELO FABRIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Perchinunno Nicola, nato a Cerignola il 06/01/1973

avverso la ordinanza del 13/12/2017 del Tribunale di Milano

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Fabrizio D’Arcangelo;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Gabriele Mazzotta, che ha concluso chiedendo la declaratoria di
inammissibilità del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Milano, adito ex art. 310 cod.
proc. pen. dall’imputato, ha confermato l’ordinanza della Corte di appello di
Milano, che, in data 17 novembre 2017, aveva disatteso la richiesta di

Data Udienza: 17/04/2018

sostituzione della misura coercitiva della custodia cautelare in carcere con quella
degli arresti domiciliari formulata nell’interesse di Nicola Perchinunno.

2. L’avv. Giovanni Quarticelli, difensore del Perchinunno, ricorre avverso
tale ordinanza e ne chiede l’annullamento, deducendo la violazione dell’art. 276,
comma 1 ter, cod. proc. pen. e la contraddittorietà della motivazione sul punto,

in quanto l’aggravamento della misura coercitiva degli arresti domiciliari era
stato illegittimamente disposto ancorché la violazione posta in essere

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile in quanto proposto per
motivi diversi da quelli consentiti dall’art. 606 cod. proc. pen. e, comunque,
manifestamente infondati.

2.

Il ricorrente, con unico motivo, deduce congiuntamente la violazione

dell’art. 276, comma

1 ter,

cod. proc. pen. e la contraddittorietà della

motivazione sul punto.
La misura coercitiva degli arresti domiciliari era, infatti, stata aggravata in
quanto il Perchinunno, in data 26 ottobre 2017, mentre era sottoposto agli
arresti domiciliari, era stato sorpreso dai Carabinieri di Cerignola al di fuori della
abitazione deputata all’esecuzione di tale misura coercitiva.
Deduceva, tuttavia, il ricorrente che tale violazione doveva essere ritenuta
di “lieve entità”, ai sensi dell’art. 276, comma 1 ter, cod. proc. pen., atteso che

era stato sorpreso “a circa quattro metri dalla porta di ingresso del luogo di
espiazione degli arresti domiciliari, mentre era intento a parlare con tale
Petronelli Giuseppe, incensurato con precedenti di polizia non precisati”.
La violazione, pur indiscussa, era, pertanto, unica ed era stata posta in
essere in luogo facilmente visibile per i soggetti deputati ai controlli; il
Perchinunno, inoltre, alla vista degli operanti, aveva fatto immediato rientro nel
perimetro di pertinenza dell’abitazione.
Del resto, l’imputato, che in precedenza non era stato mai condannato per
evasione, non si era sottratto alla contestazione della infrazione, ma aveva
ammesso l’addebito, asserendo che stava fumando.
Il Tribunale di Milano aveva, pertanto, confermato l’ordinanza di rigetto
della richiesta di sostituzione della misura della custodia cautelare sulla base di
un indebito automatismo tra violazione delle prescrizioni degli arresti domiciliari
ed aggravamento della misura coercitiva.

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dall’indagato fosse stata di lieve entità.

3. Tale censure si rivelano, tuttavia, inammissibili.

4. Il ricorso, infatti, si rivela aspecifico in quanto, limitandosi a ribadire le
doglianze svolta nel giudizio di appello cautelare ex art. 310 cod. proc. pen., non
si confronta con la motivazione della ordinanza impugnata.
Il Tribunale di Milano ha, infatti, disatteso l’appello interposto dal
Perchinunno, rilevando la preclusione derivante dal giudicato cautelare medio

La difesa, infatti, non aveva impugnato il provvedimento emesso in data 6
novembre 2017 dalla Corte di appello di Milano, che aveva disposto, ai sensi
dell’art. 276, comma

1-ter, cod. proc. pen., l’aggravamento della originaria

misura cautelare degli arresti domiciliari con la custodia cautelare in carcere,
bensì esclusivamente il diniego della sostituzione di tale misura, richiesto
successivamente ai sensi dell’art. 299 cod. proc. pen.
Nella valutazione del Tribunale di Milano, pertanto, la delibazione
dell’appello interposto nell’interesse del Perchinunno, formulato, senza, peraltro,
addurre alcun elemento di novità rispetto alla situazione fattuale originariamente
delibata dalla Corte di appello di Milano, era preclusa dal c.d. giudicato cautelare.
Se, infatti, il ricorrente avesse voluto contestare i presupposti fattuali
dell’aggravamento disposto, avrebbe dovuto impugnare l’ordinanza emessa dalla
Corte di appello di Milano, in quanto, a mezzo della richiesta di sostituzione della
custodia cautelare in carcere formulata ex art. 299 cod. proc. pen., potevano
essere dedotti solo elementi di novità rispetto a quelli delibati nella ordinanza di
aggravamento non impugnata.
Corretta è, pertanto, la motivazione del Tribunale di Milano, in quanto,
secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, dal
quale non vi è ragione per discostarsi, per i provvedimenti in materia cautelare,
diversi da quelli genetici e soggetti, come tali ad appello ex art. 310 cod. proc.
pen., la preclusione del c.d. giudicato cautelare vale, relativamente alle censure
che ne potevano formare oggetto, anche in caso di mancata proposizione o di
declaratoria di inammissibilità del gravame; e ciò in forza del carattere
devolutivo del mezzo, che, altrimenti, ne risulterebbe vanificato (Sez. 6, n. 506
del 11/02/1999, Romeo, Rv. 214052; Sez. 6, n. 12 del 13/03/1998, Internicola,
Rv. 210589).

5. Le doglianze formulate dal ricorrente esulano, inoltre, dai limiti cognitori
propri della giurisdizione di legittimità, in quanto sono svolte meramente in fatto
e tendono ad accreditare una versione alternativa dell’accaduto.

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tempore formatasi e, nel merito, la infondatezza della impugnazione proposta.

Nel giudizio di cassazione sono, tuttavia, precluse al giudice di legittimità la
rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e
l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione
dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una
migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (ex
plurimis: Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482).
Il Tribunale di Milano, peraltro, nell’ordinanza impugnata ha rilevato come il
Perchinunno, nel processo penale nel quale la Corte di appello di Milano aveva

l’abitazione della madre in Cerignola, era imputato della detenzione di
significativi quantitativi di cocaina (39 dosi), hashish (264 dosi) e marijuana (92
dosi) posta in essere proprio in costanza della esecuzione della misura coercitiva
degli arresti domiciliari.
Tale illecito penale era, peraltro, stato scoperto all’esito di un controllo
scaturito dalla continua presenza del Perchinunno fuori dall’abitazione, mentre
stava dialogando con una persona.
La delibazione relativa alla “lieve entità” del fatto, pertanto, non poteva
essere fondata esclusivamente alla stregua della distanza tra il luogo ove era
stato colto il Perchinunno e la abitazione della madre nell’episodio del 26 ottobre
2017, ma doveva essere svolta alla stregua della valutazione sinergica delle più
ampie risultanze processuali disponibili, che dimostravano, da parte del
ricorrente, una “assoluta indifferenza alla prescrizioni connesse alla misura degli
arresti, indifferenza già manifestata in termini identici e, nonostante ciò, ancora
reiterata”.
Ritiene, pertanto, il Collegio che la motivazione della ordinanza impugnata
sia logica ed immune dai vizi di legittimità denunciati dal ricorrente.
6. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato
inammissibile.
Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616 cod.
proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13
giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso
siano stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa
di inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma,
determinata in via equitativa, di duemila euro, in favore della cassa delle
ammende.

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sostituito la custodia cautelare in carcere con gli arresti domiciliari presso

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro duemila in favore della
cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art.
94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 17/04/2018.

Fabrizio D’Arcangelo

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Il Consigliere estensore

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