Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19873 del 22/02/2018


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 19873 Anno 2018
Presidente: MOGINI STEFANO
Relatore: GIORDANO EMILIA ANNA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PIPIA FRANCESCO nato il 07/03/1957 a BAGHERIA

avverso l’ordinanza del 13/12/2017 del TRIB. LIBERTA’ di PALERMO
sentita la relazione svolta dal Consigliere EMILIA ANNA GIORDANO;
lette/sentite le conclusioni del PG SIMONE PERELLI che conclude per
l’inammissibilità del ricorso;
udito per il ricorrente l’avvocato PRIOLA SALVATORE, che si riporta al ricorso e
ne chiede l’accoglimento.

Data Udienza: 22/02/2018

RITENUTO IN FATTO

1.11 Tribunale del riesame di Palermo, con il provvedimento indicato in
epigrafe, ha respinto l’appello proposto da Francesco Pipia avverso l’ordinanza
con la quale la Corte di appello di Palermo, dopo la condanna del Pipia alla pena
di anni otto e mesi otto di reclusione per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen.,
ne aveva disposto la misura della custodia cautelare in carcere, ritenuto
sussistente il pericolo di fuga e quello di reiterazione di condotte dello stesso

medesimo reato per effetto di ordinanza di applicazione della misura della
custodia cautelare in carcere del 14 aprile 2015 annullata dal Tribunale del
riesame, ha ritenuto che la sopraggiunta condanna ad una pena elevata ne
asseverasse il pericolo di fuga essendo irrilevante il comportamento anche
processuale tenuto (la partecipazione alle udienze) a fronte dell’assoluzione
conseguita in primo grado ed ha ravvisato la persistente consistenza del pericolo
di reiterazione di condotte dello stesso genere, in ragione della peculiarità del
ruolo rivestito nel contesto associativo e dell’affidabilità che aveva acquisita. Il
ricorrente era stato, in vero, riconosciuto come appartenente della cosca
Bagheria ed aveva agito in costante e diretta sinergia con i capi, favorendo la
latitanza di Bernardo Provenzano, Salvatore Riina e Pietro Aglieri, permanendo
nel contesto ambientale di provenienza ove avrebbe potuto usufruire delle
coperture da lui già sfruttate per coprire la latitanza dei capi. Non erano
apprezzabili a suo favore le dichiarazioni dei collaboratori escussi in appello che,
anzi, avevano reso dichiarazioni che avevano favorito la condanna, dopo
l’assoluzione intervenuta in primo grado.

2. Il difensore, con ricorso sintetizzato ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod.
proc. pen. nei limiti strettamente necessari ai fini della motivazione, denuncia
vizi di violazione di legge, in relazione agli artt. 275, n. 3 e 274 lett. b) cod. proc.
pen. e vizio di motivazione:
2.1 per la ritenuta sussistenza del pericolo di fuga, non essendo acquisito
alcun elemento di giudizio in tal senso poiché il Pipia non si era mai allontanato
da Bagheria, neppure dopo la condanna ed aveva sempre partecipato al
processo a suo carico; né l’asserito sostegno che il gruppo mafioso avrebbe
potuto apportare alla sua latitanza denota la sussistenza di un pericolo di fuga,
che deve concreto e attuale;
2.2 per il pericolo di reiterazione, poiché al Pipia non è contestato un ruolo
apicale nel contesto associativo e la condotta illecita contestata è risalente al
periodo 2005/2007, con uno iato temporale che appare dissonante rispetto
1

genere. Il Tribunale, dato atto della vicenda cautelare del Pipia, in relazione al

all’attualità del pericolo, attualità che impone un obbligo di motivazione al
giudice della cautela e che non è stato assolto dall’ordinanza impugnata.
Ulteriore carenza motivazionale e travisamento della prova inficiano la lettura
delle dichiarazioni dei collaboratori compiuta dai giudici

a quibus che hanno

ricondotto la partecipazione del Pipia ad oltre un decennio fa (Zarcone e Flamia)
ed escluso (Salvatore Lo Piparo) la sua

intraneità all’organigramma di Cosa

Nostra fino all’epoca più recente.

1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

2. La misura della custodia cautelare in carcere è stata disposta a carico del
Pipia ai sensi dell’art. 275, commal-bis, cod. proc. pen., all’esito del giudizio di
appello ed a seguito dell’ irrogazione di una consistente pena per il reato di cui
all’art. 416 bis cod. proc. pen., reato commesso fino al 6 febbraio 2014, data
della richiesta di rinvio a giudizio, per come è dato evincere dalla precisazione
recata dall’ordinanza genetica. La norma

de qua prevede che si debba tener

conto “anche dell’esito del procedimento, delle modalità del fatto e degli
elementi sopravvenuti, dai quali possa emergere che, a seguito della sentenza,
risulta taluna delle esigenze indicate nell’ art. 274, lett. b) e c) cod. proc. pen.”.
Certamente, ai fini della decisione, il giudice deve dunque tenere conto degli
elementi che emergono dal giudizio di cognizione e, tali coordinate normative,
hanno guidato i giudici della cautela che hanno ritenuto superato il favorevole
giudicato cautelare che si era consolidato a carico del Pipia per effetto del rigetto

di misura nel corso delle indagini preliminari.

3. Tanto premesso, ritiene il Collegio che il ricorso è infondato con riguardo
alle critiche per la ritenuta sussistenza delle esigenze cautelar’, alla stregua delle
specifiche e ragionevoli argomentazioni contenute nell’ordinanza impugnata che
ha ritenuto sussistente, in forza del mutato contesto del giudizio pervenuto alla
condanna del Pipia dopo il favorevole giudicato cautelare e l’ esito del giudizio di
primo grado, il concreto ed attuale pericolo che l’imputato si sottragga alle sue
responsabilità penali attraverso la latitanza che egli stesso aveva assicurato ad
autorevoli capi del mandamento di Bagheria, contesto associativo nel quale ha,
dunque, rivestito un ruolo di assoluta rilevanza e fiducia.

4.

I giudici della cautela si sono anche confrontati con le dichiarazioni rese

dai più recenti collaboratori di giustizia che, secondo i riferimenti puntualmente
2

CONSIDERATO IN DIRITTO

riportati nel ricorso dal difensore di fiducia, hanno descritto la risalenza del
contributo associativo poiché sia durante il periodo di reggenza dello Zarcone
(fino al 2011) sia durante il periodo nel quale il Flannia aveva militato nel clan di
Bagheria (cioè fino al 2008) e, addirittura, fino al 2014, secondo le dichiarazioni
del Lo Piparo, il Pipia non era inserito operativamente nell’organigramma
associativo.

5. A tal riguardo, tuttavia, le conclusioni raggiunte dal giudice della cautela

specifiche critiche della difesa, che ne avevano sollecitato l’attenzione sul tema
del tempo trascorso dal commesso reato e dei suoi riflessi sull’attualità e sulla
sussistenza stessa delle esigenze cautelari, ha ritenuto infatti che fosse accertata
la permanenza della condotta perlomeno fino alla data del decreto che dispone il
giudizio e, soprattutto, ha valorizzato la specificità del contributo associativo del
ricorrente, che è stata proprio quella di fornire aiuto alla latitanza dei capi del
mandamento, quale elemento di significativo spessore e di assoluta rilevanza per
ritenerne perdurante l’affiliazione, al di là della mancanza di contributi specifici
offerti ai successori dei capi del mandamento. Ovvia, ma non per questo
irragionevole, l’osservazione dell’ordinanza impugnata, a comprova del giudizio
di concretezza ed attualità delle ritenute esigenze, che il ricorrente potrebbe, a
proprio favore, sfruttare proprio quei legami non completamente disvelati, che
aveva utilizzato per coprire la latitanza dei suoi referenti.

6. Deve, conclusivamente, escludersi qualsiasi vizio di motivazione, per
travisamento delle dichiarazioni dei collaboratori ovvero per carenza
dell’apparato motivazione della decisione dei giudici della cautela rispetto alle
deduzioni della difesa, poiché, invece, le une e le altre sono state oggetto di
adeguata e congruente valutazione ai fini della verifica della sussistenza dei
presupposti ai quali le previsioni di cui all’art. 274, lett. b) e c), cod. proc. pen.
assoggettano l’applicazione della misura cautelare,

con la conseguente

impossibilità di ravvisare il dedotto vizio di violazione di legge.

7. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali. La cancelleria darà alla competente Direzione della casa
circondariale di appartenenza del Pipia comunicazione della presente decisione.

P.Q.M.

3

non appaiono manifestamente illogiche. Il Tribunale del riesame, a fronte di

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter
disp. att. cod. proc. pen..
Così deciso il 22 febbraio 2018

Il Consigliere rel tore

Il Presidente

Emilia Anna Gio4dano

Stefano Mogini

7–,\

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