Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19870 del 08/03/2018


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 19870 Anno 2018
Presidente: MOGINI STEFANO
Relatore: DE AMICIS GAETANO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
GAMMUTO PASQUALE nato il 27/09/1967 a LONGOBUCCO;
avverso la sentenza del 05/10/2016 della CORTE APPELLO di CATANZARO.
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere GAETANO DE AMICIS;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore DELIA CARDIA,
che ha concluso per l’annullamento senza rinvio per prescrizione, ferme restando
le statuizioni civili.
Uditi i difensori:
– avvocato BONIFATI ANDREA del foro di CASTROVILLARI difensore della parte
civile non ricorrente MAZZEI GIANCARLOr che conclude per l’inammissibilità o, in
subordine, il rigetto del ricorso proposto dall’imputato.
– avvocato MELE MARIA del foro di LAMEZIA TERME, sostituto processuale
dell’avvocato GRISOLIA GIOVANNI del foro di CASTROVILLARI difensore di
fiducia di GAMMUTO PASQUALE, la quale si riporta ai motivi e si associa alle
conclusioni del P.G..

Data Udienza: 08/03/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 5 ottobre 2016 la Corte d’appello di Catanzaro,
giudicando in sede di rinvio a seguito di annullamento per vizio di
motivazione pronunciato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n.
26290 del 14 giugno 2016, ha confermato la decisione di primo grado,
che condannava Gammuto Pasquale alla pena di mesi otto di reclusione
ed euro 300,00 di multa, oltre al risarcimento dei danni in favore della

parte civile, per il reato di truffa contrattuale commesso ai danni di
Giancarlo Mazzei il 12 giugno 2009.
1.1. I Giudici di merito hanno ritenuto accertati i fatti oggetto della
regiudicanda, ponendo in evidenza, sulla base delle dichiarazioni rese
dalla persona offesa, la condotta decettiva del Gammuto e il danno
arrecatole per l’ingiusto profitto legato al maggior valore del prezzo di
vendita di un esercizio commerciale che il Mazzei intendeva acquistare
credendo che fosse un bar con annessa sala giochi, quando la licenza in
possesso dell’imputato riguardava il solo esercizio della sala giochi e non
del bar.
1.2. Con sentenza del 29 ottobre 2015, poi annullata da questa
Suprema Corte con la su citata pronunzia n. 26290/2016, la Corte
d’appello di Catanzaro, in riforma della impugnata sentenza di primo
grado, aveva assolto l’imputato dal reato ascrittogli perché il fatto non
sussiste.

2. Avverso la su indicata decisione del 5 ottobre 2016 ha proposto
ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, deducendo vizi della
motivazione per averne la Corte d’appello confermato la statuizione di
responsabilità sulla scorta delle sole dichiarazioni accusatorie della
persona offesa costituita parte civile (Mazzei Giancarlo) e della madre
(Alfano Lucia), testi entrambi portatori di rilevanti interessi economici,
senza provvedere ad una puntuale verifica della loro attendibilità, né alla
ricerca di adeguati elementi di riscontro.
2.1. Nel corso delle trattative precontrattuali, peraltro, il Mazzei
aveva avuto piena cognizione dell’oggetto dell’attività commerciale che si
accingeva ad acquistare, anche per il fatto di essere stato simulatamente

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assunto per tre mesi quale dipendente del Gammuto, provvedendo così
alla diretta gestione del locale e, successivamente, al versamento degli
acconti sull’intero corrispettivo pattuito, senza rilevare od opporre
alcunchè alla controparte. Inesistenti, dunque, devono ritenersi,
nell’impostazione delineata dal ricorrente, condotte artificiose o di raggiro
all’interno dell’intera vicenda storico-fattuale qui esaminata, né alcuna
idoneità può sotto tale profilo attribuirsi alle chiare espressioni utilizzate
nel preliminare di cessione di azienda del 12 giugno 2009 per definire il

2.2. Si contesta, inoltre, la valutazione di inattendibilità del teste
Pasquale Russo, dalla Corte d’appello ritenuto non disinteressato per il
fatto di essere il commercialista del Gammuto che aveva predisposto sia
il preliminare di vendita che una stima giurata sul valore dei beni
aziendali, laddove egli era intervenuto nella vicenda in esame solo
nell’espletamento della sua attività libero-professionale.
A tale riguardo si evidenzia che, con memoria del 5 ottobre 2016, era
stata sollecitata la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale per la
escussione del teste su indicato e l’eventuale confronto con la persona
offesa: richiesta difensiva, questa, specificamente formulata, ma dalla
Corte d’appello non esaminata.
2.3. Si eccepisce, infine, l’intervenuta prescrizione del reato ai sensi
dell’art. 158 cod. pen., con la conseguente richiesta di declaratoria di
annullamento senza rinvio della sentenza impugnata agli effetti penali.

3. Con memoria depositata nel corso dell’udienza in data odierna
celebrata dinanzi a questa Suprema Corte, il difensore e procuratore
speciale della costituita parte civile ha svolto una serie di argomentazioni
a sostegno della richiesta di declaratoria di inammissibilità del ricorso,
poichè incentrato su una non consentita sollecitazione del Giudice di
legittimità ad una rilettura di elementi di fatto dai Giudici di merito già
valutati in modo conforme, contestando, altresì, l’eccepita decorrenza del
termine prescrizionale, la cui consumazione dovrebbe ritenersi avvenuta,
anche in ragione della maggiorazione dei termini computati per effetto
delle sospensioni verificatesi nel corso del giudizio di primo grado, alla
data del 10 novembre 2017.

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tipo di attività che il Mazzei intendeva acquistare.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

Preliminarmente deve rilevarsi la tardività del deposito della

memoria difensiva della parte civile, del cui contenuto non può tenersi
conto in questa Sede per l’inosservanza dei termini, applicabili anche al
regime della pubblica udienza, previsti dall’art. 611, comma 1, cod. proc.

2.

Il ricorso è fondato e va accolto in ragione della omessa

valutazione circa l’istanza di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale
dalla difesa dell’imputato avanzata in sede di giudizio di rinvio,
nonostante vi fosse stata espressamente dedotta, ai sensi dell’art. 627,
comma 2, cod. proc. pen., la rilevanza probatoria della richiesta
integrazione ai fini di una completa ricostruzione della vicenda storicofattuale oggetto del tema d’accusa.
Al riguardo, invero, questa Suprema Corte ha stabilito il principio
secondo cui il giudice del rinvio, investito del processo a seguito di
annullamento pronunciato dalla Corte di Cassazione, non è tenuto a
riaprire l’istruttoria dibattimentale ogni volta che le parti ne facciano
richiesta, poiché i suoi poteri sono identici a quelli che aveva il giudice la
cui sentenza è stata annullata, sicché egli deve disporre l’assunzione delle
prove indicate solo se le stesse sono indispensabili ai fini della decisione,
così come previsto dall’art. 603 cod. proc. pen., oltre che rilevanti,
secondo quanto statuisce l’art. 627, comma 2, cod. proc. pen. (Sez. 5, n.
52208 del 30/09/2014, Marino, Rv. 262116; Sez. 1, n. 28225 del
09/05/2014, Dell’Utri, Rv. 260939).
Vaglio delibativo, questo, il cui esito non è stato dalla Corte di merito
puntualmente esplicitato, sebbene fosse stata contestata la valutazione di
inattendibilità di un teste (Russo Pasquale) non ascoltato nel giudizio di
appello.
Al riguardo, infatti, è stato operato un controllo di tipo
esclusivamente cartolare, affermando la inattendibilità delle dichiarazioni
rese dal teste sopra indicato senza procedere direttamente alla sua
audizione, e sulla sola base di un prospettato contrasto con le risultanze

3

pen.

offerte dalle prove documentali in atti, senza neanche porlo,
eventualmente, a confronto con la persona offesa (parimenti portatrice,
anch’essa, di un diretto interesse economico in quanto costituitasi parte
civile), come del resto espressamente sollecitato dalla difesa dell’odierno
ricorrente con la richiesta di integrazione istruttoria presentata nel
giudizio di rinvio.
Con la su citata sentenza rescindente, peraltro, questa Suprema
Corte ha posto in rilievo il fatto che il contenuto delle sue dichiarazioni,

trattandosi di un testimone non del tutto indifferente (in quanto
commercialista dell’imputato), avrebbe dovuto valutarsi con maggiore
attenzione rispetto a quelle di un teste del tutto indifferente e che, pur a
prescindere da tale rilievo, la Corte di merito avrebbe dovuto valutarne il
contenuto rispetto alle ulteriori, numerose, componenti del quadro
probatorio, specie in considerazione della rilevata divergenza tra quanto il
su indicato teste aveva affermato di aver detto alla persona offesa e
quanto, invece, risultante dal contratto e da altri elementi documentali.

3.

Deve tuttavia rilevarsi, con riferimento al secondo motivo di

ricorso, come il reato oggetto del tema d’accusa, in quanto accertato il 12
giugno 2009, risulti ormai estinto, per l’intervenuto decorso del
corrispondente termine prescrizionale nella sua massima estensione ex
art. 161 cod. pen. (sette anni e sei mesi, cui devono aggiungersi tre
periodi di sospensione – due per astensione degli avvocati,
rispettivamente il 23 giugno 2011 ed il 18 febbraio 2014, uno per
legittimo impedimento del difensore, dal 14 febbraio 2012 al 13 marzo
2012 – per complessivi mesi quattro e giorni ventisette), in epoca
successiva alla pronuncia della sentenza di appello, ossia in data 9
maggio 2017.
Ne discende, pertanto, agli effetti penali, l’annullamento senza rinvio
della sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.

4. Occorre altresì considerare che la previsione di cui all’art. 578 cod.
proc. pen. – per la quale il giudice di appello o quello di legittimità, che
dichiarino l’estinzione per amnistia o prescrizione del reato per cui sia
intervenuta in primo grado condanna, sono tenuti a decidere

4

1/(

sull’impugnazione agli effetti delle disposizioni dei capi della sentenza che
concernono gli interessi civili – comporta che i motivi di impugnazione
dell’imputato devono essere esaminati compiutamente, non potendosi
dare conferma alla condanna al risarcimento del danno in ragione della
mancanza di prova dell’innocenza dell’imputato, secondo quanto previsto
dall’art. 129, comma 2, cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 16155 del
20/03/2013, Galati, Rv. 255666; v., inoltre, Sez. 6, n. 44685 del
23/09/2015, N., Rv. 265561).

abbia compiuto un esaustivo apprezzamento circa la contestata
fondatezza delle ragioni giustificative poste a base dell’affermazione di
responsabilità dell’imputato, nè abbia offerto una completa risposta alle
censure in punto di fatto prospettate in sede di gravame, per un verso
analizzando a fondo, alla luce di un più ampio e completo panorama
probatorio, la natura e le caratteristiche del contenzioso sottostante ai
rapporti intercorsi tra le parti, per altro verso ponendone a raffronto
l’esito con la diversa impostazione ricostruttiva proposta dall’imputato.
Ne consegue, pertanto, l’annullamento della medesima sentenza,
limitatamente alla conferma delle statuizioni civili, con rinvio al giudice
civile competente per valore in grado di appello, a norma dell’art. 622
cod. proc. pen. .

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto
per intervenuta prescrizione. Annulla altresì la sentenza impugnata agli
effetti civili e rinvia al giudice civile competente per valore in grado di
appello.
Così deciso 1’8 marzo 2018

Nel caso in esame, è agevole rilevare come la sentenza d’appello non

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