Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19832 del 18/04/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 19832 Anno 2018
Presidente: DI TOMASSI MARIASTEFANIA
Relatore: TARDIO ANGELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli

nel procedimento a carico di
Boccia Antonio, nato a Napoli il 26/08/1978

avverso l’ordinanza del 05/10/2017 del Tribunale di Napoli

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Angela Tardio;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Pala Filippi, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con ordinanza del 5 ottobre 2017 il Tribunale di Napoli, in funzione di
giudice dell’esecuzione, ha dichiarato la temporanea inefficacia dell’ordine di
esecuzione per la carcerazione n. SIEP 1776/2017, emesso in data 15 settembre
2017 dal Procuratore della Repubblica presso lo stesso Tribunale nei confronti di

Data Udienza: 18/04/2018

Antonio Boccia, e ha disposto, per l’effetto, l’immediata liberazione del
condannato se non detenuto per altra causa, ritenendo che la pena che il
medesimo doveva espiare (pari ad anni tre, mesi otto e giorni sedici di
reclusione), poiché inferiore a quattro anni, consentisse la sospensione
dell’esecuzione in attesa della proposizione di istanza per l’affidamento ai servizi
sociali, ai sensi dell’art. 47, comma 3-bis, Ord. pen., da valutarsi dal magistrato
di sorveglianza, in base a una interpretazione conforma ai principi costituzionali e
sovranazionali della previsione normativa dell’art. 656, comma 5, cod. proc. pen.

della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, che ne ha chiesto l’annullamento,
denunciando, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la incorsa
violazione di legge per inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 656 cod.
proc. pen. e 47, comma 3-bis, Ord. pen.
Secondo il ricorrente, il mancato allineamento del disposto dell’art. 656,
comma 5, cod. proc. pen. rispetto al testo dell’indicato art. 47, comma 3-bis,
Ord. pen. (introdotto dall’art. 3, comma 8, lett.

c, d.l. n. 146 del 2013,

convertito con modificazioni dalla legge n. 10 del 2014), che ha previsto la
possibilità di concedere l’affidamento in prova ai servizi sociali ai condannati a
pene non superiori a quattro anni di detenzione, è stata frutto di una scelta del
legislatore nel senso della presenza di «una sorta di sistema ‘a doppio binario’»,
connotato da due forme di affidamento, tradizionale e nuova, a seconda della
entità del residuo della pena da espiare.
Né poteva anticiparsi una valutazione discrezionale sui requisiti di accesso
da parte del condannato alla ridetta misura alternativa, spettante alla
giurisdizione di sorveglianza e presupponente, quando la pena fosse superiore ai
tre anni, che il condannato avesse serbato un buon comportamento quantomeno
nell’anno precedente alla presentazione della richiesta, «trascorso in regime di
espiazione di pena […] ovvero in libertà».
3. Il ricorso è infondato, sì come rimarcato anche nella requisitoria scritta,
pervenuta il 15 marzo 2018, della Procura generale presso questa Corte.
3.1. Il ricorrente Procuratore ha evocato a fondamento delle sue deduzioni,
attinenti alla contestata declaratoria di inefficacia dell’ordine di carcerazione
emesso nei confronti del condannato Boccia Antonio, le ragioni che hanno
sostenuto un orientamento della giurisprudenza di legittimità (tra le altre, Sez. 1,
n. 46562 del 21/09/2017, Gjini, Rv. 270923; Sez. 1, n. 1784 del 30/11/2017,
dep. 2018, Marchese, Rv. 272055), che, pur consolidato, deve ora tenere conto
della sentenza della Corte costituzionale n. 41 del 6 febbraio 2018, depositata il
2 marzo 2018 e pubblicata nella G.U. n. 10 del 7 marzo 2018.

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2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore

Con detta sentenza, infatti, è stata dichiarata la illegittimità costituzionale
dell’art. 656, comma 5, cod. proc. pen., «nella parte in cui si prevede che il
pubblico ministero sospende l’esecuzione della pena detentiva, anche se
costituente residuo di maggiore pena, non superiore a tre anni, anziché a quattro
anni».
3.2. La Corte, movendo dal rilievo che «la genesi dell’istituto definito
dall’art. 656, comma 5, cod. proc. pen. e lo sviluppo che esso ha trovato nella
legislazione confermano che immanente al sistema, e tratto di imprescindibile

a raffronto», previsti da detta norma e dall’art. 47 Ord. pen., e dando conto degli
interventi correttivi intervenuti nel tempo in conseguenza del «carattere
complementare che l’art. 656, comma 5, cod. proc. pen. riveste rispetto alla
scelta legislativa di aprire la via alla misura alternativa», ha rilevato che la
rottura del parallelismo, dovuta alla mancata elevazione del termine previsto per
sospendere l’ordine di esecuzione della pena detentiva, ex art. 656, comma 5,
cod. proc. pen., sì da renderlo corrispondente al termine di concessione
dell’affidamento in prova allargato, «appare di particolare gravità, perché è
proprio il modo con cui la legge ha configurato l’affidamento in prova allargato
che reclama, quale corollario, la corrispondente sospensione dell’ordine di
esecuzione», che ha come destinatari i condannati che si trovino in stato di
libertà ovvero siano già detenuti.
Essendo, invero, espressamente prevista la concessione dell’affidamento
allargato al condannato in stato di libertà, ha aggiunto la Corte, «l’esecuzione
dell’ordine di carcerazione, avvenuta senza aver dato al condannato il tempo di
chiedere l’affidamento in prova allargato e comunque senza attendere una
decisione al riguardo, renderebbe impossibile la concessione della misura
alternativa prima dell’ingresso in carcere», pervenendosi al rilievo conclusivo
che, «mancando di elevare il termine previsto per sospendere l’ordine di
esecuzione della pena detentiva, così da renderlo corrispondente al termine di
concessione dell’affidamento in prova allargato, il legislatore non è incorso in un
mero difetto di coordinamento, ma ha leso l’art. 3 Cost. […] dando luogo a un
trattamento normativo differenziato di situazioni da reputarsi uguali, quanto alla
finalità intrinseca alla sospensione dell’ordine di esecuzione della pena detentiva
e alle garanzie apprestate in ordine alle modalità di incisione della libertà
personale del condannato».
4. Alla immediata applicabilità nel caso concreto dell’indicato intervento della
Corte costituzionale segue la insussistenza della denunciata violazione di legge,
avendo l’ordinanza impugnata offerto -in linea con lo stesso- una esatta

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coerenza intrinseca di esso, è un tendenziale parallelismo tra i due termini posti

interpretazione della disposizione costituente il parametro legale di riferimento,
che ha correttamente applicato.
5. Il ricorso, alla luce delle svolte considerazioni, deve essere, pertanto,
rigettato.
Trattandosi di ricorso proposto dalla sola parte pubblica non deve adottarsi
alcun provvedimento in ordine alle spese ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.

Rigetta il ricorso.
Così deciso il 18/04/2018

P.Q.M.

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