Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19824 del 28/03/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 19824 Anno 2018
Presidente: DI TOMASSI MARIASTEFANIA
Relatore: BINENTI ROBERTO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
DI BARTOLOMEO GIORGIO, nato il 13/11/1977 a Torre del Greco;

avverso la sentenza del 20/12/2016 della Corte di Cassazione;
sentita la relazione svolta dal consigliere Roberto Binenti;
lette le conclusioni del pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore
generale Giovanni Di Leo, che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso;
udito il difensore del ricorrente Avv. Dario Vannetiello, che ha concluso
chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO

1. Di Bartolomeo Giorgio, con atto depositato il 16 ottobre 2017, sottoscritto
dal difensore munito di procura speciale, ha proposto ricorso straordinario per
errore di fatto, avverso la sentenza indicata in epigrafe, con la quale la Corte di
cassazione aveva annullato con rinvio quella resa dalla Corte di appello di Napoli
limitatamente alla determinazione della pena, rigettando nel resto il ricorso.

2. Con un primo motivo ha rilevato che non era stato esaminato il motivo
del ricorso personale relativo all’inutilizzabilità ai sensi dell’art. 63, comma 3,
cod. proc. pen. delle dichiarazioni della persona offesa Stizzo Vincenzo (quanto al

Data Udienza: 28/03/2018

capo f2), essendosi del tutto omesso di considerare l’ulteriore rilievo concernente
la mancata acquisizione nel giudizio di appello di un’ordinanza di custodia
cautelare, da ritenersi sopravvenuta prova decisiva in quanto idonea a smentire
l’assunto definitivamente accolto dagli stessi giudici di legittimità secondo cui il
predetto Stizzo non aveva mai acquisito la veste di indagato o di imputato.

3. Con un secondo motivo ha osservato che si era omesso di esaminare il
terzo motivo del ricorso proposto dal difensore, laddove, con riferimento al capo

rappresentato come alcune richiamate sentenze irrevocabili non fossero state
valutate dai giudici di appello, in relazione all’accertamento della condotta di
partecipazione all’associazione mafiosa così come ascritta a Di Bartolomeo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni che di seguito si illustrano.

2. L’errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità, in presenza del
quale è esperibile il rimedio previsto dall’art. 625 bis cod. proc. pen., consiste in
un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di
cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio, sempreché ne sia
derivata un’influenza nel processo formativo della volontà che abbia condotto a
una decisione diversa da quella che invece sarebbe stata adottata in assenza di
quel genere errore (Sez. U., n. 16103 del 27/03/2002, Rv. 221280; Sez. 2, n.
41782 del 30/09/2015, dep. 2015, Rv. 265248; Sez. 2, n. 2241 del 11/12/2013,
dep. 2014, Rv. 259821; Sez. 4, n. 6770 del 17/01/2008, Rv. 239037).
La prospettazione dell’omessa motivazione in ordine a uno o più motivi del
ricorso per cassazione non può dar luogo alla rappresentazione di un errore di
fatto rilevante a norma dell’art. 625 bis cod. proc. pen., quando non sia possibile
escludere sulla base di quanto addotto che il motivo a suo tempo proposto non
fosse stato disatteso o che l’omissione sia solo apparente, risultando le censure
formulate con tale motivo assorbite dall’esame di altro considerato, o ancora
quando l’omesso esame del medesimo motivo non appaia decisivo, discendendo
da esso, secondo un rapporto di necessaria derivazione casuale, una statuizione
incontrovertibilmente diversa da quella che sarebbe stata adottata se il motivo
fosse stato considerato (Sez. 2, n. 53657 del 17/11/2016; Sez. 6, n. 16287 del
10/02/2015, Rv. 263113; Sez. 1, n. 15422 del 10/02/2010, Rv. 247236).

2

b), prospettandosi violazione degli artt. 238 bis e 192, cod. proc. pen., era stato

3. Con il primo motivo dell’odierno ricorso si lamenta la mancata risposta
alla doglianza introdotta con l’originario ricorso personale che prospettava la
posizione di indagato in procedimento connesso di Stizzo Vincenzo in quanto
incompatibile con quella di testimone riconosciutogli durante l’esame, avuto
riguardo a quanto avrebbe dovuto essere rappresentato dalle accuse allo stesso
mosse con un’ordinanza di applicazione della custodia cautelare del 3 giugno
2014, la cui mancata acquisizione in appello era stata censurata con il ricorso.
Tale deduzione non è idonea a dare conto dell’errore di fatto sopra descritto.

motivo dell’originario ricorso, si accenna solo ad accuse per associazione mafiosa
finalizzata a condotte di usura e riciclaggio per agevolare il clan Ascione Papale.
Ora, tale solo generico riferimento non rappresentava apprezzabili profili di
collegamento rispetto agli ascritti fatti di estorsione commessi in danno di Stizzo
Vincenzo, così da potere risultare l’astratta rilevanza della questione come posta.
Di talché, le doglianze relative alla mancata acquisizione, seguendo quanto
prospettato dal ricorrente, rimanevano allora aspecifiche, in ragione di un
originario deficit indicativo che ovviamente non può essere colmato da quanto in
merito risulta poi indicato nel contesto del medesimo odierno ricorso (pag. 10).
Inoltre, va pure considerato che, secondo quanto emerge dalla stessa
lettura di tale ricorso, le persone offese del reato di estorsione di cui trattasi, le
cui dichiarazioni erano state valutate in sede di merito ai fini della prova della
responsabilità e venivano poi fatte oggetto di rilievi con l’originario ricorso, erano
due, citandosi al riguardo non solo Stizzo Vincenzo, ma anche Stizzo Giovanni.
La questione in questa sede prospettata, sotto il profilo dell’errore di fatto
con riferimento alla mancata risposta ai rilievi concernenti la suddetta ordinanza,
attiene invece soltanto alla posizione di Stizzo Vincenzo; sicché avrebbe dovuto
rappresentarsi – ma non lo si è fatto – che quanto riferito da Stizzo Giovanni, una
volta esclusa l’utilizzabilità delle dichiarazioni di Stizzo Vincenzo, sarebbe potuto
risultare insufficiente – considerando anche ogni altro elemento valutato seppur
diversa natura – a giustificare l’affermazione della responsabilità per il fatto di
estorsione ascritto alla stregua della verifica ammessa in sede di legittimità.
E va sottolineato che le restanti originarie questioni circa l’inutilizzabilità
delle dichiarazioni, come rappresentate, allorquando invece erano state riferite
anche alla posizione assunta da Stizzo Giovanni all’atto dell’esame in giudizio,
appaiono con chiarezza specificatamente considerate nella sentenza di legittimità
in sede di esame del secondo motivo del ricorso personale (pagg. 74 e 75).
Il primo motivo dell’odierno ricorso è, dunque, manifestamente infondato.

4. Alle stesse conclusioni deve pervenirsi in relazione al secondo motivo.

3

Infatti, nell’odierno ricorso, a pagina 8, menzionandosi quanto riportato nel

Invero, ivi si fa riferimento a sentenze la cui considerazione sarebbe stata
completamente omessa dai giudici di appello. Solo assertivamente però appare
prospettato allora e si continua a prospettare ora che il contenuto di tali
sentenze sarebbe stato rilevante rispetto alle verifiche ammissibili in sede di
legittimità in punto di affermazione della responsabilità, con particolare
riferimento alla partecipazione all’associazione mafiosa ascritta a Di Bartolomeo.
A tal proposito pare essersi lamentata la mancata lettura dei fatti ivi
considerati, ma solo genericamente evocati in modo da asseverare ipotetiche

invocare un’inammissibile riconsiderazione nel merito delle risultanze acquisite in
ordine a queste ultime, senza indicare profili di decisività in termini di smentita
(si consideri al riguardo quanto risulta riportato a pag. 13 dell’odierno ricorso ove
si fa cenno in definitiva solo all’epoca del commesso del reato già giudicato).
Dunque, mancando un’idonea rappresentazione della specificità della
questione allora proposta con il motivo, degli effetti che sarebbero potuti
conseguire a smentita degli elementi di merito scrutinati in senso contrario e
della stessa assenza di un’implicita pronunzia di legittimità avuto riguardo a
quanto ivi esposto circa l’inammissibilità di tutti i rilievi del genere diffusamente
addotti (pagg. 72 e 73 della sentenza), non si mostra che l’asserita omissione
possa avere influenzato la statuizione di rigetto e tantomeno in termini decisivi;
sicché non si rappresenta l’errore di fatto che può prospettarsi in questa sede.

5. Ne discende la dichiarazione d’inammissibilità del ricorso, con condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, valutati i profili di colpa,
della somma determinata in euro duemila in favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso il 28 marzo 2018

negazioni dell’accadimento delle condotte intervenute tuttavia in seguito e così

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