Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19820 del 23/03/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 19820 Anno 2018
Presidente: SARNO GIULIO
Relatore: BARONE LUIGI

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI CALTANISSETTA
nel procedimento a carico di:
ARCARIA GIUSEPPE nato il 18/10/1969 a LEONFORTE
avverso l’ordinanza del 26/10/2017 del TRIB. LIBERTA’ di CALTANISSETTA
sentita la relazione svolta dal Consigliere LUIGI BARONE;
sentite le conclusioni del Procuratore Generale, nella persona del sost. PIETRO
GAETA, che ha chiesto il rigetto

• Udito il difensore, avv. IGNAZIO MACCARRONE del foro di CATANIA difensore di
ARCARIA GIUSEPPE, che ha chiesto il rigetto del ricorso del PM.

1

Data Udienza: 23/03/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Caltanissetta, in funzione di giudice dell’appello
cautelare, sostituiva nei confronti di Arcana Giuseppe (indagato dei reati di associazione
mafiosa ed estorsione, aggravata dall’art. 7 I. 203/91) la misura della custodia in carcere con
quella meno afflittiva degli arresti domiciliari, così riformando il provvedimento del gip presso il
medesimo tribunale che aveva respinto l’istanza di sostituzione della misura, avanzata dalla

2. Avverso la decisione ricorre per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il
Tribunale di Caltanissetta.
2.1. Con il primo motivo eccepisce violazione dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen..
Secondo la prospettazione del ricorrente, la norma prevede che per il reato previsto dall’art.
416 bis cod. pen. sia applicata la custodia in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai
quali risulta l’insussistenza di esigenze cautelari.
Nel caso di specie il tribunale sarebbe incorso in violazione di legge procedendo al
contemperamento di interessi contrapposti (tutela della collettività e salute del detenuto)
giuridicamente non consentito, in quanto, per effetto del disposto dell’art. 275, comma 3, cod.
proc. pen., l’eccezionale gravità della condotta di associazione mafiosa comporta che le
esigenze cautelari siano da considerare “massimali” e che, pertanto, l’unica misura applicabile
sia, sempre e comunque, quella della custodia in carcere, salvo che sussistano elementi che le
escludano radicalmente e che, pertanto, consentano il ritorno in libertà dell’indagato.

2.2. Con il secondo motivo eccepisce mancanza, manifesta illogicità e Contraddizione della
motivazione.
Lamenta, nello specifico, che nel provvedimento impugnato si afferma in termini del tutto
apodittici la gravità della patologia dell’indagato (depressione maggiore grave, con disturbi
dell’umore, d’ansia e del sonno) e l’incompatibilità della stessa con il regime carcerario,
benché, a dire del ricorrente, la stessa fosse pacificamente curabile con terapia farmacologica,
somministrabile in carcere.

3.

Con memoria del 7.2.2018, il difensore dell’Arcana ha chiesto che il ricorso venisse

dichiarato inammissibile o rigettato in ragione della correttezza delle argomentazioni del
tribunale del riesame a sostegno della decisione resa.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è complessivamente infondato e deve, pertanto, essere rigettato.

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difesa.


2. Con il primo motivo il p.m. encirn, all’evidenza, il disposto dell’art. 275, commi 4 bis e 4
ter, a tenore dei quali:
– «Non può essere disposta né mantenuta la custodia cautelare in carcere quando l’imputato
è persona affetta […] da […] malattia particolarmente grave, per effetto della quale le sue
condizioni di salute risultano incompatibili con lo stato di detenzione e comunque tali da non
consentire adeguate cure in caso di detenzione in carcere»;
– «nell’ipotesi di cui al comma 4-bis, se sussistono esigenze cautelari di eccezionale

senza pregiudizio per la salute dell’imputato o di quella degli altri detenuti, il giudice dispone la
misura degli arresti domiciliari presso un luogo di cura o di assistenza o di accoglienza».
Da questi dati normativi si ricava che la prevalenza del divieto di custodia in carcere per i
soggetti portatori di gravi malattie, quale previsto dal comma 4-bis dell’art. 275 cod. proc.
pen., opera anche rispetto alla presunzione d’adeguatezza esclusiva della custodia in carcere,
nei casi di cui al precedente terzo comma dello stesso articolo, sempre che risulti accertato il
presupposto costituito dall’incompatibilità delle condizioni di salute del soggetto con lo stato di
detenzione (in termini, Sez. 6, n. 18891 del 24/01/2017, Policastri, Rv. 269889; Sez. 5,
n. 22977 del 13/05/2008, Buononato, Rv. 240488).
Il provvedimento impugnato si è conformato al principio appena enunciato e non è pertanto
incorso nella violazione di legge eccepita dalla parte pubblica ricorrente.
I giudici hanno, invero, ritenuto che le condizioni di salute dell’imputato fossero di gravità
tale da essere incompatibili con il regime carcerario ed hanno, per l’effetto, disposto la
sostituzione della custodia in carcere con gli arresti domiciliari, escludendo che a ciò ostasse il
titolo del reato contestato al predetto.

3.

La criticità della decisione resa potrebbe, in via astratta, investire semmai l’iter

argomentativo attraverso cui il tribunale del riesame è pervenuto alla formulazione del giudizio
di incompatibilità dello stato di salute dell’Arcana con il permanere dello stesso in una struttura
penitenziaria.
Su questo punto si articola il secondo motivo di ricorso.
Il p.m. ha eccepito’ la’ mancanza, manifesta illogicità e contraddizione della motivazione
dell’ordinanza impugnata.
Anche in questo caso la doglianza non è, però, fondata.
Ad esito di puntuale e coerente disamina di tutte le risultanze in atti (richiamate alle pp. 1-4
dell’ordinanza), il tribunale è pervenuto alla conclusione che la malattia di cui il detenuto è
risultato affetto (secondo la convergente diagnosi effettuata dai consulenti interpellati) è
particolarmente grave con rischi di atti di autolesionismo da parte del predetto, sottoposto per
questa ragione a misure di straordinaria sorveglianza.

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rilevanza e la custodia cautelare presso idonee strutture sanitarie penitenziarie non è possibile

Il tribunale ha proceduto, altresì, ad una comparazione tra la gravità dello stato di salute del
detenuto e la pericolosità dello stesso, pervenendo, ad esito di questo ulteriore vaglio, alla
conclusione che nulla ostava alla sostituzione della misura cautelare con altra meno afflittiva.
In particolare, i giudici, sulla base di quanto oggetto di giudicato cautelare e risultante dal
certificato del casellario giudiziale (ove non figuravano precedenti specifici), hanno ritenuto
che, malgrado la gravità delle condotte contestate, l’Arcana non fosse storico esponente di
Cosa Nostra e che lo stesso non avesse assunto ruolo apicale nella famiglia mafiosa di

Da ciò ne è conseguito il ridimensionamento della pericolosità del detenuto e, di riflesso,
l’abbassamento della soglia, cui parametrare il giudizio di compatibilità dello stato di salute
dell’Arcana con il regime carcerario.
Il percorso argomentativo è corretto sul piano sia logico che giuridico:
– Sotto il primo profilo in ragione della coerente e puntuale lettura delle risultanze in atti da
cui i giudici hanno evinto la sussistenza nei confronti dell’Arcana di esigenze cautelari di non
eccezionale rilevanza;
– in relazione al secondo profilo, per la conformità del criterio di valutazione seguito
all’insegnamento di questa Corte, secondo cui in tema di incompatibilità dello stato
di salute dell’indagato con la detenzione in carcere, l’art. 275, comma 4-bis cod. proc. pen.
pone una presunzione “in bonam partem” che, ai sensi del successivo comma 4-ter, può
essere superata soltanto in presenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, risultanti da
concreti, specifici ed attuali elementi, altamente indicativi dell’esistenza di un’eccezionale,
oggettivo pericolo che deriverebbe alla comunità sociale dallo stato di libertà del soggetto
(Sez. 6,

n. 12754 del 23/02/2017,

Gattuso,

Rv. 269386;

Sez. 6,

n. 14571 del 18/03/2011, Ngedere, Rv. 250036).
Ne consegue che tra i divieti di applicazione della custodia cautelare in carcere stabiliti dai
commi quarto e quarto bis dell’art. 275 cod. proc. pen. e le presunzioni di adeguatezza
esclusiva della medesima misura nei casi previsti dal comma terzo dello stesso articolo non
sussiste un rapporto di aprioristica prevalenza degli uni sugli altri, ma è sempre necessaria una
valutazione congiunta e comparata dei due poli in gioco (tutela della collettività e tutela della
salute del reo) che trova fondamento nel giudizio di valore operato dal legislatore, in virtù del
quale l’esigenza processuale e sociale della coercizione intramuraria può piegarsi alla tutela di
altri interessi correlati ai fondamentali diritti della persona umana sanciti dall’art. 2 della
Costituzione, dei quali costituisce speciale esplicazione il diritto alla salute (sul tema v. anche
Sez. 1, n. 5840 del 16/01/2008, Conigliaro, Rv. 238655).

4. Alla stregua di tali considerazioni, il ricorso si appalesa infondato, in quanto sul piano
giuridico eccepisce erroneamente che il tribunale non avrebbe potuto compiere il
contemperamento di interessi contrapposti di cui si è detto; sul piano fattuale confuta l’esito
della valutazione operata dai giudici, con rilievi che non superano, però, la soglia della
4

Leonforte.

genericità, in quanto, a fronte del vizio formalmente eccepito (carenza, contraddittorietà della
motivazione), essi si risolvono in una alternativa lettura delle risultanze in atti che la Corte
dovrebbe sostituire a quella contenuta nell’ordinanza impugnata.
Pretesa, questa, che risolvendosi in un giudizio esclusivamente di merito non può,
evidentemente, trovare ingresso in sede di legittimità.

Rigetta il ricorso.

P.Q.M.

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