Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19792 del 06/02/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 19792 Anno 2015
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: SANDRINI ENRICO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SALA FRANCESCO NICOLA N. IL 05/11/1988
MAZZARELLI GRAZIANO N. IL 23/07/1991
avverso l’ordinanza n. 1015/2014 TRIB. LIBERTA’ di TORINO, del
28/07/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ENRICO GIUSEPPE
SANDRINI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.
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Data Udienza: 06/02/2015

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza pronunciata il 28.07.2014 il Tribunale di Torino, costituito ai
sensi dell’art. 309 cod.proc.pen., ha confermato l’ordinanza applicativa della
misura cautelare della custodia in carcere emessa 1’11.07.2014 dal giudice per le
indagini preliminari in sede nei confronti, per quanto qui interessa, di Mazzarelli
Graziano e Sala Francesco Nicola, gravemente indiziati di concorso nei reati di
violazione della disciplina delle armi e degli esplosivi, di danneggiamento seguito
da incendio, di violenza e minaccia aggravate a pubblico ufficiale, commessi in

con tecniche paramilitari la notte del 14.05.2013, in relazione al contributo
apportato alle attività delittuose del gruppo d’assalto denominato RC secondo i
compiti e i ruoli descritti nell’imputazione provvisoria.
Dopo aver ricostruito la dinamica dei fatti delittuosi e le indagini che ne erano
seguite, che avevano consentito di individuare alcune utenze cellulari in contatto
tra loro nel contesto spaziotemporale dell’assalto notturno del 14.05.2013 e
ritenute perciò in uso ai soggetti coinvolti, il Tribunale dava atto del contenuto
del colloquio intercettato, in altro procedimento, presso un ristorante di Milano il
14.01.2014 tra il coindagato Alberti Lucio e tale Savini Andrea, nel corso del
quale l’Alberti aveva confidato all’amico in termini espliciti, muniti di valenza
confessoria ed etero accusatoria, il coinvolgimento proprio e degli odierni
indagati Sala e Mazzarelli nell’assalto al cantiere (nel quale il primo aveva svolto
compiti di autista e il secondo di partecipe all’azione e di soggetto che aveva
procurato una sim card intestata a un nome fittizio utilizzata dai componenti per
comunicare tra loro), descrivendo particolari e dettagli dell’operazione che solo
un appartenente al gruppo degli assalitori poteva conoscere; il Tribunale riteneva
giustificati gli omissis contenuti nel decreto autorizzativo dell’attività captativa
sulla scorta della necessità di tutelare il segreto investigativo e di non
pregiudicare le indagini in corso a carico di altri soggetti, rilevando l’assenza di
un obbligo dell’accusa di operare una completa discovery degli atti d’indagine al
momento del deposito della richiesta di misura cautelare e dando atto della
compatibilità degli atti depositati con l’esercizio del diritto di accesso ai
documenti essenziali all’impugnazione previsto dalla direttiva europea 2012/13.
Quanto alla sussistenza delle esigenze cautelari, il Tribunale valorizzava il
concreto pericolo di recidiva, specificamente desumibile dalle modalità e
circostanze dei fatti e dai tratti peculiari della personalità degli indagati, e
riteneva adeguata, a fronte della refrattarietà manifestata da entrambi rispetto
alle pregresse, recenti, esperienze giudiziarie in cui erano stati coinvolti, la
massima misura custodiale.
2. Ricorrono per cassazione, personalmente, entrambi gli indagati Mazzarelli

1

occasione dell’assalto al cantiere TAV della Torino-Lione di Chiomonte eseguito

Graziano e Sala Francesco, proponendo ricorsi formalmente distinti ma che
deducono i medesimi – due – motivi di gravame, completamente sovrapponibili
tra loro e che possono perciò essere esaminati e trattati in modo congiunto.
2.1. Col primo motivo, i ricorrenti lamentano violazione di legge processuale e
vizio di motivazione in relazione agli artt. 116 cod.proc.pen., 11 Cost. e 7 par. 1
della direttiva 2012/13 del parlamento e del consiglio europeo.
I ricorrenti deducono che la conversazione ambientale intercettata (in altro
procedimento penale) il 14.01.2014, dal cui contenuto l’ordinanza impugnata

decreto che il pubblico ministero aveva prodotto, a supporto della richiesta di
applicazione della misura coercitiva, con la motivazione pressoché integralmente
omessa perché segretata per ben 50 pagine, così da non consentire alla difesa di
prenderne conoscenza e di verificarne la legittimità; rilevano che l’istanza
difensiva di rilascio di copia integrale del decreto era stata rigettata dall’organo
inquirente sul presupposto che l’atto conteneva il riferimento ai nominativi e alle
utenze di altri indagati, nonché a circostanze che non avevano ancora costituito
oggetto di discovery; deducono la conseguente inutilizzabilità, ai fini cautelari,
della conversazione intercettata, e lamentano la violazione dei principi contenuti
nella direttiva 2012/13 del parlamento e del consiglio europeo, che attribuisce
alle persone arrestate il diritto di accedere ai documenti in possesso delle
autorità competenti, che siano essenziali per impugnare in modo effettivo la
legittimità dell’arresto o della detenzione, direttiva il cui termine di attuazione nel
diritto interno era scaduto il 4.06.2014 e aveva trovato solo parziale e
insufficiente recepimento nell’ordinamento italiano mediante la modifica dell’art.
293 comma 1 del codice di rito attraverso la previsione della comunicazione al
destinatario della misura cautelare del diritto di accedere agli atti sui quali si
fonda il provvedimento, così che la norma comunitaria, in quanto avente ad
oggetto il riconoscimento in termini chiari, precisi e incondizionati di una
posizione soggettiva, deve trovare diretta e integrale applicazione da parte del
giudice nazionale; lamentano l’errore nell’interpretazione della portata della
direttiva in cui era incorsa l’ordinanza impugnata nel ritenere comprimibile il
diritto di accesso agli atti escludendolo con riguardo a quelli ritenuti non
essenziali ai fini dell’impugnazione, sulla base del disposto del paragrafo 4
dell’art. 7 che doveva invece intendersi riferito al solo diritto di accesso
contemplato dal par. 2, riguardante il processo di merito e non quello cautelare,
disciplinato dal par. 1 (sollecitando sul punto un eventuale rinvio pregiudiziale
alla Corte di giustizia UE); eccepiscono la nullità a regime intermedio verificatasi
in conseguenza della lesione del diritto di difesa, inficiante l’acquisizione
dell’intercettazione la cui inutilizzabilità era idonea a vanificare l’intero
2

aveva tratto i gravi indizi di colpevolezza a loro carico, era stata autorizzata con

compendio indiziario a carico degli indagati.
2.2. Col secondo motivo, i ricorrenti deducono violazione di legge, nonché vizio
di motivazione, in relazione agli artt. 274 e 275 del codice di rito, censurando la
ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari e il giudizio di adeguatezza della
custodia in carcere a fronteggiarle, sulla base di valutazioni carenti e generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono infondati in entrambe le deduzioni e devono essere rigettati, per
le ragioni che seguono.

che, in tema di richiesta di applicazione di misure cautelari personali, il pubblico
ministero non ha l’obbligo di mettere a disposizione del giudice gli atti di
indagine nella loro integralità, ma è legittimato a selezionare, tra gli atti di
investigazione in suo possesso, quelli che intende sottoporre alla valutazione
giudiziale, limitandosi in particolare a trasmettere semplici stralci di verbali e
potendo anche oscurarne parte del contenuto mediante

“omissis”, al fine di

garantire il segreto investigativo senza impedire lo sviluppo del contraddittorio: il
principio, ripetutamente affermato e anche di recente ribadito da questa Corte
(ex plurimis Sez. 6 n. 50949 del 19/09/2014, Rv. 261371; Sez. 1 n. 47353 del
25/11/2009, Rv. 245636; Sez. 1 n. 25589 del 17/06/2005, Rv. 232105, secondo
cui gli atti d’indagine trasmessi a sostegno di una richiesta di misura cautelare,
seppure presentino cancellature di parti del loro contenuto, sono utilizzabili nei
contenuti palesi anche in sede di riesame), non è d’altronde contestato dalla
difesa dei ricorrenti, e trova pacifica applicazione anche con riguardo ai decreti
autorizzativi delle intercettazioni telefoniche ed ambientali, la cui trasmissione al
giudice del riesame “amputata” di parti – anche molto rilevanti – della relativa
motivazione, a fini di tutela del segreto investigativo, deve ritenersi senz’altro
legittima (vedi, sul punto, Sez. 6 n. 28009 del 15/05/2014, ric. Alberto + altri).
E’ bene chiarire, su quest’ultimo punto, che nell’ipotesi in esame non si pone una
questione di assenza formale, né tantomeno sostanziale, della motivazione del
decreto autorizzativo dell’attività di captazione, censurabile – in sede di riesame,
e successivamente di legittimità – sotto il profilo della nullità del provvedimento e
della conseguente inutilizzabilità dei relativi risultati probatori, ai sensi del
combinato disposto degli artt. 267 comma 1 e 271 comma 1 del codice di rito
(Sez. Un. n. 17 del 21/06/2000, Primavera), in quanto la motivazione
pacificamente esiste (gli stessi ricorrenti danno atto che la relativa parte
secretata si estende per ben 50 pagine), ma è resa in larga misura non
conoscibile, agli indagati e al loro difensore, mediante gli

omissis apposti dal

pubblico ministero a tutela del segreto investigativo, così che la doglianza
dedotta nei ricorsi è diretta in realtà a sindacare la compatibilità delle modalità di
3

2. Con riguardo alla prima doglianza dei ricorrenti, occorre anzitutto ricordare

esercizio del relativo potere di secretazione con la verifica dell’esistenza di
un’idonea e controllabile motivazione del provvedimento autorizzativo (con
riguardo, in particolare, all’intercettazione ambientale del 14.01.2014, dai cui
contenuti i giudici del merito cautelare hanno tratto i gravi indizi di colpevolezza
a carico degli indagati), evocando un diritto di accesso al contenuto integrale
dell’atto (comprensivo delle sue parti secretate) che troverebbe specifico
riconoscimento nell’art. 7 della direttiva 2012/13 del parlamento e del consiglio
europeo, e la cui violazione sarebbe sanzionata da una nullità di ordine generale

difesa, destinata a travolgere l’utilizzabilità come fonte di prova (anche in sede
cautelare) dei risultati dell’intercettazione.
La questione così posta non è fondata.
L’intercettazione ambientale del 14.01.2014 è stata (pacificamente) disposta in
altro procedimento penale, per cui la sua utilizzabilità nel presente procedimento
a carico del Sala e del Mazzarelli non è subordinata alla produzione del relativo
decreto autorizzativo, alla stregua del chiaro disposto dell’art. 270 (comma 2)
cod.proc.pen., che prevede come adempimento necessario il solo deposito,
presso l’autorità giudiziaria competente per il procedimento diverso da quello nel
quale l’attività captativa è stata disposta, delle registrazioni e dei verbali delle
intercettazioni da utilizzare (Sez. Un. n. 45189 del 17/11/2004, Rv. 229244,
Esposito; Sez. 1 n. 38626 del 21/10/2010, Rv. 248665), rispetto ai cui contenuti
deve perciò essere apprezzata l’autosufficienza degli atti d’indagine depositati – e
resi ostensibili – dal pubblico ministero ad integrare un compendio indiziario
munito della gravità richiesta per l’applicazione della misura coercitiva.
Nel caso di specie, il contenuto della suddetta captazione ambientale, da cui
emergono i gravi indizi di colpevolezza a carico degli indagati in ordine ai reati di
cui gli stessi sono incolpati nel presente procedimento, non risulta essere stato
prodotto e messo a disposizione della difesa in modo soltanto parziale,
incompleto od oscurato da omissis (nessuna contestazione è stata sollevata sul
punto dai ricorrenti), di tal che correttamente l’ordinanza impugnata ha escluso
l’esistenza di un pregiudizio all’esercizio del diritto degli indagati di essere
informati e di poter accedere agli elementi essenziali dell’accusa a loro carico,
anche alla stregua dell’art. 7 della direttiva comunitaria (2012/13) evocata dalla
difesa (ove la stessa sia ritenuta direttamente applicabile nell’ordinamento
interno dopo la scadenza del termine di recepimento del 2 giugno 2014, sul
presupposto della sua formulazione in termini sufficientemente precisi e
incondizionati: Sez. 1^ civile n. 23937 del 9/11/2006, Rv. 594866): il paragrafo
1 del citato art. 7 prevede, infatti, la messa a disposizione della persona
arrestata e del suo difensore dei (soli) documenti che siano “essenziali” per
4

riconducibile – ex art. 178 lett. c) del codice di rito – alla lesione del diritto di

impugnare effettivamente la legittimità del provvedimento incidente sulla libertà
personale, che è stata concretamente assicurata, nei riguardi degli indagati, dal
deposito del contenuto integrale dell’intercettazione ambientale che li incrimina.
Per completezza di motivazione sul punto, è opportuno rilevare che il riferimento
testuale, così operato dalla norma comunitaria alla rilevanza essenziale che deve
caratterizzare gli atti ostensibili, si rivela coerente alla natura incidentale del
procedimento afferente l’impugnativa

de líbertate,

rendendo inconferenti le

ulteriori questioni interpretative prospettate dai ricorrenti (anche con riguardo

procedimento di merito (disciplinato dal paragrafo 2) della possibilità prevista dal
successivo paragrafo 4 dell’art. 7 – a salvaguardia dell’interesse pubblico ad
evitare la messa a repentaglio delle indagini in corso – di rifiutare l’accesso
dell’imputato a parte della documentazione relativa agli atti investigativi che lo
riguardano, posto che soltanto in relazione alla fase di merito del procedimento
assume significato la previsione espressa di un limite al diritto di accesso
altrimenti garantito in forma integrale agli atti processuali, essendo la relativa
limitazione invece connaturata alla discovery solo parziale e incompleta, rimessa
all’iniziativa dell’organo d’accusa, che connota il procedimento cautelare

de

libertate e che non abbisogna, perciò, di un’analoga, specifica, previsione
normativa, bastando a fugare ogni dubbio ermeneutico sul punto l’evidenziato
richiamo alla natura essenziale degli atti soggetti a ostensione.
Esigere il deposito, da parte del pubblico ministero, della motivazione integrale
del decreto autorizzativo delle intercettazioni ambientali disposte in altro
procedimento, mediante il rilascio di copia dell’atto comprensiva delle parti
secretate, si risolverebbe dunque – così come correttamente ritenuto dal
Tribunale del riesame – in un vulnus del tutto ingiustificato al segreto delle
indagini in corso nei confronti di altri soggetti, diversi dal Sala e dal Mazzarelli, le
cui conversazioni sono sottoposte a monitoraggio, tutelato dalla legge (anche).
mediante l’evidenziato disposto dell’art. 270 comma 2 del codice di rito, che
subordina l’utilizzabilità dei risultati dell’attività captativa nel procedimento a
carico dei ricorrenti al solo deposito dei verbali e delle registrazioni che li
riguardano: è dunque con riferimento ai risultati probatori dell’attività di
intercettazione che deve essere verificata, nella fattispecie, la garanzia
dell’effettività del diritto di difesa – in sede di impugnazione cautelare – mediante
la messa a disposizione degli indagati e del loro difensore degli atti e dei
documenti essenziali al relativo esercizio, che nel caso in esame è stata
assicurata dal deposito della conversazione ambientale del 14.01.2014 nel suo
contenuto integrale.
A garantire la legittimità genetica dell’attività di captazione effettuata nel
5

alla richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia) sulla riferibilità al solo

procedimento

a quo

basta, d’altronde, l’allegazione del relativo decreto

autorizzativo, la pacifica esistenza della cui motivazione (per quanto in larga
misura secretata) è sufficiente ex se a dimostrare la sussistenza del preventivo
vaglio giudiziale al quale la legge subordina la limitazione del diritto alla
segretezza delle comunicazioni private (vedi Sez. Un. n. 45189 del 17/11/2004,
Esposito, secondo cui solo la mancanza, e non anche l’inadeguatezza, della
motivazione del decreto autorizzativo delle intercettazioni può dar luogo alla
inutilizzabilità dei relativi risultati).

l’inammissibilità, esaurendosi in una censura essenzialmente in fatto, che non
può trovare ingresso in sede di legittimità, delle puntuali argomentazioni con cui
l’ordinanza impugnata ha congruamente motivato la sussistenza a carico degli
indagati delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 lett. c) cod.proc.pen. e
l’adeguatezza della misura custodiale in concreto applicata, sulla scorta non solo
delle specifiche modalità e circostanze dei fatti, ampiamente descritte nel testo
del provvedimento in relazione alla natura pianificata, preordinata e organizzata
secondo tecniche paramilitari dell’assalto armato al cantiere della TAV nel cui
contesto si colloca la commissione dei reati ascritti ai ricorrenti, ma anche dei
precedenti specifici, della personalità inaffidabile, refrattaria al rispetto delle
regole, e insensibile agli effetti delle pregresse esperienze giudiziarie, di
entrambi gli indagati, valorizzando in particolare la misura di prevenzione alla
quale era stato sottoposto il Sala per analoghi fatti violenti realizzati nel 2012
nell’area del cantiere TAV, e la misura cautelare degli arresti domiciliari
recentemente imposta per altri fatti al Mazzarelli.
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4. Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle

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1

spese processuali.

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P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al

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direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94, co. 1-ter, disp. att. c.p.p..
Così deciso il 6/02/2015

3. La seconda doglianza dei ricorrenti è infondata fino a rasentare

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