Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19791 del 06/02/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 19791 Anno 2015
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: SANDRINI ENRICO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ALBERTI LUCIO N. IL 19/09/1990
avverso l’ordinanza n. 1015/2014 TRIB. LIBERTA’ di TORINO, del
28/07/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ENRICO GIUSEPPE
SANDRINI;
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lette/sentite le conclusioni del PG Dott. R j o

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Data Udienza: 06/02/2015

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza pronunciata il 28.07.2014 il Tribunale di Torino, costituito ai
sensi dell’art. 309 cod.proc.pen., ha confermato l’ordinanza applicativa della
misura cautelare della custodia in carcere emessa 1’11.07.2014 dal giudice per le
indagini preliminari in sede nei confronti, per quanto qui interessa, di Alberti
Lucio, gravemente indiziato di concorso nei reati di violazione della disciplina
delle armi e degli esplosivi, di danneggiamento seguito da incendio, di violenza e
minaccia aggravate a pubblico ufficiale, commessi in occasione dell’assalto al
cantiere TAV della Torino-Lione di Chiomonte eseguito con tecniche paramilitari

la notte del 14.05.2013, in qualità di appartenente al gruppo d’assalto
denominato RC e di autore materiale del taglio delle reti del cantiere.
Dopo aver ricostruito la dinamica dei fatti delittuosi e le indagini che ne erano
seguite, che avevano consentito di individuare alcune utenze cellulari in contatto
tra loro nel contesto spaziotemporale dell’assalto notturno del 14.05.2013 e
ritenute perciò in uso ai soggetti coinvolti, il Tribunale dava atto del contenuto
del colloquio intercettato, in altro procedimento, presso un ristorante di Milano il
14.01.2014 tra l’odierno indagato e tale Savini Andrea, nel corso del quale
l’Alberti aveva confidato all’amico in termini espliciti, muniti di valenza
confessoria, la partecipazione propria e di altri due soggetti (Mazzarelli Graziano
e Sala Francesco Nicola, in tal modo chiamati in correità) all’assalto al cantiere,
descrivendo particolari e dettagli dell’operazione che solo un appartenente al
gruppo degli assalitori poteva conoscere; il Tribunale riteneva giustificati gli
omissis contenuti nel decreto autorizzativo dell’attività captativa sulla scorta
della necessità di tutelare il segreto investigativo e di non pregiudicare le
indagini in corso a carico di altri soggetti, rilevando l’assenza di un obbligo
dell’accusa di operare una completa discovery degli atti d’indagine al momento
del deposito della richiesta di misura cautelare e dando atto della compatibilità
degli atti depositati con l’esercizio del diritto di accesso ai documenti essenziali
per l’impugnazione previsto dalla direttiva europea 2012/13.
Quanto alla sussistenza delle esigenze cautelari, il Tribunale valorizzava il
concreto pericolo di recidiva, specificamente desumibile dalle modalità e
circostanze dei fatti e dai tratti peculiari della personalità dell’indagato, e
riteneva adeguata, a fronte della refrattarietà manifestata dall’Alberti rispetto
alle pregresse, recenti, esperienze giudiziarie in cui era stato coinvolto, la
massima misura custodiale.
2. Ricorre per cassazione Alberti Lucio, personalmente, deducendo due motivi di
gravame.
2.1. Col primo motivo, il ricorrente lamenta violazione di legge processuale e
vizio di motivazione in relazione agli artt. 116 cod.proc.pen., 11 Cost. e 7 par. 1
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della direttiva 2012/13 del parlamento e del consiglio europeo.
Il ricorrente deduce che la conversazione ambientale intercettata (in altro
procedimento penale) con Savini Andrea il 14.01.2014, dal cui contenuto
l’ordinanza impugnata aveva tratto i gravi indizi di colpevolezza a carico
dell’indagato, era stata autorizzata con decreto che il pubblico ministero aveva
prodotto, a supporto della richiesta di applicazione della misura coercitiva, con la
motivazione pressoché integralmente omessa perché segretata per ben 50
pagine, così da non consentire alla difesa di prenderne conoscenza e di

del decreto era stata rigettata dall’organo inquirente sul presupposto che l’atto
conteneva il riferimento ai nominativi e alle utenze di altri indagati, nonché a
circostanze che non avevano ancora costituito oggetto di discovery; deduce la
conseguente inutilizzabilità, ai fini cautelari, della conversazione intercettata, e
lamenta la violazione dei principi contenuti nella direttiva 2012/13 del
parlamento e del consiglio europeo, che attribuisce alle persone arrestate il
diritto di accedere ai documenti in possesso delle autorità competenti, che siano
essenziali per impugnare in modo effettivo la legittimità dell’arresto o della
detenzione, direttiva il cui termine di attuazione nel diritto interno era scaduto il
4.06.2014 e aveva trovato solo parziale e insufficiente recepimento
nell’ordinamento italiano mediante la modifica dell’art. 293 comma 1 del codice
di rito attraverso la previsione della comunicazione al destinatario della misura
cautelare del diritto di accedere agli atti sui quali si fonda il provvedimento, così
che la norma comunitaria, in quanto avente ad oggetto il riconoscimento in
termini chiari, precisi e incondizionati di una posizione soggettiva, deve trovare
diretta e integrale applicazione da parte del giudice nazionale; lamenta l’errore
nell’interpretazione della portata della direttiva in cui era incorsa l’ordinanza
impugnata nel ritenere comprimibile il diritto di accesso agli atti escludendolo
con riguardo a quelli ritenuti non essenziali ai fini dell’impugnazione, sulla base
del disposto del paragrafo 4 dell’art. 7 che doveva invece intendersi riferito al
solo diritto di accesso contemplato dal par. 2, riguardante il processo di merito e
non quello cautelare, disciplinato dal par. 1 (sollecitando sul punto un eventuale
rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE); eccepisce la nullità a regime
intermedio verificatasi in conseguenza della lesione del diritto di difesa, inficiante
l’acquisizione dell’intercettazione la cui inutilizzabilità era idonea a vanificare
l’intero compendio indiziario a carico dell’Alberti.
2.2. Col secondo motivo, il ricorrente deduce violazione di legge, nonché vizio di
motivazione, in relazione agli artt. 274 e 275 del codice di rito, censurando la
ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari e il giudizio di adeguatezza della
custodia in carcere a fronteggiarle, sulla base di valutazioni carenti e generiche.
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verificarne la legittimità; rileva che l’istanza difensiva di rilascio di copia integrale

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato in entrambe le sue deduzioni e deve essere rigettato, per
le ragioni che seguono.
2. Con riguardo alla prima doglianza del ricorrente, occorre anzitutto ricordare
che, in tema di richiesta di applicazione di misure cautelari personali, il pubblico
ministero non ha l’obbligo di mettere a disposizione del giudice gli atti di
indagine nella loro integralità, ma è legittimato a selezionare, tra gli atti di
investigazione in suo possesso, quelli che intende sottoporre alla valutazione

potendo anche oscurarne parte del contenuto mediante “omissis”, al fine di
garantire il segreto investigativo senza impedire lo sviluppo del contraddittorio: il
principio, ripetutamente affermato e anche di recente ribadito da questa Corte
(ex plurimis Sez. 6 n. 50949 del 19/09/2014, Rv. 261371; Sez. 1 n. 47353 del
25/11/2009, Rv. 245636; Sez. 1 n. 25589 del 17/06/2005, Rv. 232105, secondo
cui gli atti d’indagine trasmessi a sostegno di una richiesta di misura cautelare,
seppure presentino cancellature di parti del loro contenuto, sono utilizzabili nei
contenuti palesi anche in sede di riesame), non è d’altronde contestato dalla
difesa del ricorrente, e trova pacifica applicazione anche con riguardo ai decreti
autorizzativi delle intercettazioni telefoniche ed ambientali, la cui trasmissione al
giudice del riesame “amputata” di parti – anche molto rilevanti – della relativa
motivazione, a fini di tutela del segreto investigativo, deve ritenersi senz’altro
legittima (vedi, sul punto, Sez. 6 n. 28009 del 15/05/2014, ric. Alberto + altri).
E’ bene chiarire, su quest’ultimo punto, che nell’ipotesi in esame non si pone una
questione di assenza formale, né tantomeno sostanziale, della motivazione del
decreto autorizzativo dell’attività di captazione, censurabile – in sede di riesame,
e successivamente di legittimità – sotto il profilo della nullità del provvedimento e
della conseguente inutilizzabilità dei relativi risultati probatori, ai sensi del
combinato disposto degli artt. 267 comma 1 e 271 comma 1 del codice di rito
(Sez. Un. n. 17 del 21/06/2000, Primavera), in quanto la motivazione
pacificamente esiste (è lo stesso ricorrente a dare atto che la relativa parte
secretata si estende per ben 50 pagine), ma è resa in larga misura non
conoscibile, all’indagato e al suo difensore, mediante gli omissis apposti dal
pubblico ministero a tutela del segreto investigativo, così che la doglianza
dedotta nel ricorso è diretta in realtà a sindacare la compatibilità delle modalità
di esercizio del relativo potere di secretazione con la verifica dell’esistenza di
un’idonea e controllabile motivazione del provvedimento autorizzativo (con
riguardo, in particolare, all’intercettazione ambientale del 14.01.2014, dai cui
contenuti i giudici del merito cautelare hanno tratto i gravi indizi di colpevolezza
a carico dell’Alberti), evocando un diritto dell’indagato di accedere al contenuto

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giudiziale, limitandosi in particolare a trasmettere semplici stralci di verbali e

integrale dell’atto (comprensivo delle sue parti secretate) che troverebbe
specifico riconoscimento nell’art. 7 della direttiva 2012/13 del parlamento e del
consiglio europeo, e la cui violazione sarebbe sanzionata da una nullità di ordine
generale riconducibile – ex art. 178 lett. c) del codice di rito – alla lesione del
diritto di difesa, destinata a travolgere l’utilizzabilità come fonte di prova (anche
in sede cautelare) dei risultati dell’intercettazione.
La questione così posta non è fondata.
L’intercettazione ambientale del 14.01.2014 è stata (pacificamente) disposta in

a carico dell’Alberti non è subordinata alla produzione del relativo decreto
autorizzativo, alla stregua del chiaro disposto dell’art. 270 (comma 2)
cod.proc.pen., che prevede come adempimento necessario il solo deposito,
presso l’autorità giudiziaria competente per il procedimento diverso da quello nel
quale l’attività captativa è stata disposta, delle registrazioni e dei verbali delle
intercettazioni da utilizzare (Sez. Un. n. 45189 del 17/11/2004, Rv. 229244,
Esposito; Sez. 1 n. 38626 del 21/10/2010, Rv. 248665), rispetto ai cui contenuti
deve perciò essere apprezzata l’autosufficienza degli atti d’indagine depositati – e
resi ostensibili – dal pubblico ministero ad integrare un compendio indiziario
munito della gravità richiesta per l’applicazione della misura coercitiva.
Nel caso di specie, il contenuto della suddetta captazione ambientale, da cui
emergono i gravi indizi di colpevolezza a carico dell’Alberti in ordine ai reati di cui
lo stesso è incolpato nel presente procedimento, non risulta essere stato
prodotto e messo a disposizione della difesa in modo soltanto parziale,
incompleto od oscurato da omissis (nessuna contestazione è stata sollevata sul
punto dal ricorrente), di tal che correttamente l’ordinanza impugnata ha escluso
l’esistenza di un pregiudizio all’esercizio del diritto dell’indagato di essere
informato e di poter accedere agli elementi essenziali dell’accusa a suo carico,
anche alla stregua dell’art. 7 della direttiva comunitaria (2012/13) evocata dalla
difesa (ove la stessa sia ritenuta direttamente applicabile nell’ordinamento
interno dopo la scadenza del termine di recepimento del 2 giugno 2014, sul
presupposto della sua formulazione in termini sufficientemente precisi e
incondizionati: Sez. 1^ civile n. 23937 del 9/11/2006, Rv. 594866): il paragrafo
1 del citato art. 7 prevede, infatti, la messa a disposizione della persona
arrestata e del suo difensore dei (soli) documenti che siano “essenziali” per
impugnare effettivamente la legiÚimità del provvedimento incidente sulla libertà
personale, che è stata concretamente assicurata, nei riguardi dell’Alberti, dal
deposito del contenuto integrale dell’intercettazione ambientale che lo incrimina.
Per completezza di motivazione sul punto, è opportuno rilevare che il riferimento
testuale, così operato dalla norma comunitaria alla rilevanza essenziale che deve
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altro procedimento penale, per cui la sua utilizzabilità nel presente procedimento

caratterizzare gli atti ostensibili, si rivela coerente alla natura incidentale del
procedimento afferente l’impugnativa

de libertate,

rendendo inconferenti le

ulteriori questioni interpretative prospettate dal ricorrente (anche con riguardo
alla richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia) sulla riferibilità al solo
procedimento di merito (disciplinato dal paragrafo 2) della possibilità prevista dal
successivo paragrafo 4 dell’art. 7 – a salvaguardia dell’interesse pubblico ad
evitare la messa a repentaglio delle indagini in corso – di rifiutare l’accesso
dell’imputato a parte della documentazione relativa agli atti investigativi che lo

assume significato la previsione espressa di un limite al diritto di accesso
altrimenti garantito in forma integrale agli atti processuali, essendo la relativa
limitazione invece connaturata alla discovery solo parziale e incompleta, rimessa
all’iniziativa dell’organo d’accusa, che connota il procedimento cautelare

de

libertate e che non abbisogna, perciò, di un’analoga, specifica, previsione
normativa, bastando a fugare ogni dubbio ermeneutico sul punto l’evidenziato
richiamo alla natura essenziale degli atti soggetti a ostensione.
Esigere il deposito, da parte del pubblico ministero, della motivazione integrale
del decreto autorizzativo delle intercettazioni ambientali disposte in altro
procedimento, mediante il rilascio di copia dell’atto comprensiva delle parti
secretate, si risolverebbe dunque – così come correttamente ritenuto dal
Tribunale del riesame – in un vulnus del tutto ingiustificato al segreto delle
indagini in corso nei confronti di altri soggetti, diversi dall’Alberti, le cui
conversazioni sono sottoposte a monitoraggio, tutelato dalla legge (anche)
mediante l’evidenziato disposto dell’art. 270 comma 2 del codice di rito, che
subordina l’utilizzabilità dei risultati dell’attività captativa nel diverso
procedimento a carico del ricorrente al solo deposito dei verbali e delle
registrazioni che lo riguardano: è dunque con riferimento ai risultati probatori
dell’attività di intercettazione che deve essere verificata, nella fattispecie, la
garanzia dell’effettività del diritto di difesa – in sede di impugnazione cautelare mediante la messa a disposizione dell’indagato e del suo difensore degli atti e dei
documenti essenziali al relativo esercizio, che nel caso in esame è stata
assicurata dal deposito della conversazione ambientale del 14.01.2014 nel suo
contenuto integrale.
A garantire la legittimità genetica dell’attività di captazione effettuata nel
procedimento

a quo

basta, d’altronde, l’allegazione del relativo decreto

autorizzativo, la pacifica esistenza della cui motivazione (per quanto in larga
misura secretata) è sufficiente ex se a dimostrare la sussistenza del preventivo
vaglio giudiziale al quale la legge subordina la limitazione del diritto alla
segretezza delle comunicazioni private (vedi Sez. Un. n. 45189 del 17/11/2004,
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riguardano, posto che soltanto in relazione alla fase di merito del procedimento

Esposito, secondo cui solo la mancanza, e non anche l’inadeguatezza, della
motivazione del decreto autorizzativo delle intercettazioni può dar luogo alla
inutilizzabilità dei relativi risultati).
3. Il secondo motivo di ricorso è infondato fino a rasentare l’inammissibilità,
esaurendosi in una censura essenzialmente in fatto, che non può trovare
ingresso in sede di legittimità, delle puntuali argomentazioni con cui l’ordinanza
impugnata ha congruamente motivato la sussistenza a carico dell’indagato delle
esigenze cautelari di cui all’art. 274 lett. c) cod.proc.pen. e l’adeguatezza della

modalità e circostanze dei fatti, ampiamente descritte nel testo del
provvedimento in relazione alla natura pianificata, preordinata e organizzata
secondo tecniche paramilitari dell’assalto armato al cantiere della TAV al quale
ha partecipato l’Alberti, ma anche della personalità inaffidabile, refrattaria al
rispetto delle regole, e insensibile agli effetti delle pregresse denunce ed
esperienze giudiziarie, del ricorrente.
4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna dell’Alberti al pagamento delle
spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al
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direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94, co. 1-ter, disp. att. c.p.p..
Così deciso il 6/02/2015

misura custodiale in concreto applicata, sulla scorta non solo delle specifiche

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