Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19789 del 19/04/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 19789 Anno 2018
Presidente: SARNO GIULIO
Relatore: MAGI RAFFAELLO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
LIVOLSI UBALDO nato il 27/10/1945 a MILANO

avverso la sentenza del 18/11/2016 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere RAFFAELLO MAGI
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ANTONIETTA
PICARDI
che ha concluso per

Preliminarmente il Presidente chiede al P.G. la valutazione riguardante l’istanza
presentata dall’Avvocato DINOIA il quale chiede la nullità per non aver mai
ricevuto l’avviso si deposito della sentenza impugnata e di non aver potuto
presentare ricorso..
Il P.G. chiede il rigetto dell’istanza.
L’Avv. DINOIA insiste nell’accoglimento dell’istanza.
L’Avv. PERRONI si associa alla richiesta del co-difensore.
La Corte si riserva e chiede di procede nella trattazione del procedimento.

Il P.G. conclude chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.

4

ck)

Data Udienza: 19/04/2018

Udito il difensore
L’avvocato PERRONI GIORGIO del foro di ROMA in difesa di LIVOLSI UBALDO
conclude chiedendo l’accoglimento dei motivi di ricorso.
L’avvocato DINOIA MASSIMO del foro di MILANO in difesa di LIVOLSI UBALDO

(41

1._ e (.3)

insiste sulla richiesta di nullità presentata.

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RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Milano, decidendo in sede di rinvio da questa Corte di
Cassazione (Sez. V penale, sent. n. 23039/2016) con sentenza emessa in data 18
novembre 2016 ha affermato la penale responsabilità di Livolsi Ubaldo per il delitto di
cononcorso in bancarotta fraudolenta (artt.110 cod.pen., 216, 223, 219 Lfall. ) come
descritto e contestato al capo B della originaria rubrica.
1.1 Per una migliore comprensione della complessa vicenda occorre, sia pure in breve,

merito, in una con i contenuti essenziali della decisione rescindente.
Livolsi Ubaldo risulta tratto a giudizio quale consigliere di amministrazione della
FIN.PART., dichiarata fallita in Milano il 25 ottobre del 2005, in riferimento a più condotte
materiali :
– quella descritta al capo B della rubrica, formulata in fatto nel modo che segue :..
dissipavano il patrimonio sociale, allorchè il 16 dicembre 2002 destinavano 13,9 milioni di
euro in un impiego (versamento a LAFICO) la cui motivazione non era esplicitata in
bilancio e risiedeva, in realtà, nell’acquisto di azioni OLCESE spa, la cui titolarità
permaneva in capo a LAFICO allo scopo di evitare – per FIN.PART. – l’obbligo di OPA sul
capitale di OLCESE, ciò laddove la fallita acquisiva azioni di una società in uno stato di
grave crisi.. ;
– quelle descritte al capo C della rubrica, tra cui – per quanto qui rileva – il segmento di
una più ampia condotta di aumento solo fittizio del capitale sociale, causalmente
rilevante in rapporto al successivo dissesto, posto che la sottoscrizione operata da
LAFICO (30 milioni di euro) non portava risorse a FIN.PART. in quanto veniva impiegata
per 10 milioni di euro per la sottoscrizione di azioni OLCESE (con acquisizione di
partecipazione al 29,66%) e per 13,9 milioni di euro per l’impiego di cui al capo B
(versamento a LAFICO).
1.2 Il Tribunale di Milano con sentenza emessa il 3 aprile 2012 affermava la penale
responsabilità del Livolsi esclusivamente in relazione alla contestazione di concorso in
bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui al capo B (con condanna alla pena di anni tre
di reclusione nonchè al risarcimento dei danni), mentre lo mandava assolto in riferimento
al capo C per non aver commesso il fatto.
In motivazione, per quanto qui rileva, si afferma – in estrema sintesi – che il ruolo svolto
dal Livolsi era stato centrale nella operazione di aumento di capitale della FIN.PART. di
fine 2002 (per complessivi 100 milioni di euro). In particolare la società libica LAFICO
sottoscrive il 12 dicembre 2002 l’aumento di capitale per 30 milioni di euro, con regolare
bonifico (vi è transito del denaro da LAFICO a FIN.PART.). Al contempo LAFICO risulta
essere uno dei principali azionisti della OLCESE, società leader nel settore dei cotoni.

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rievocare i contenuti descrittivi delle imputazioni nonchè l’esito dei precedenti giudizi di

Quasi contestualmente FIN.PART. sottoscrive azioni OLCESE per 10 milioni di euro (fatto
che è stato contestato, unitamente ad altri, al capo C). Inoltre, in data 16 dicembre 2002
è FIN.PART. che pone in essere un accredito con bonifico di 13,9 milioni di euro verso
LAFICO, per future attività di investimento da realizzarsi in NordAfrica con
delocalizzazione di stabilimenti industriali (fatto contestato al capo B

sub specie

dissipazione). In realtà, secondo il Tribunale, la causale del versamento (il piano
industriale di investimento) è artefatta e l’operazione si configura come mera
retrocessione di parte dell’investimento, sicchè il ‘reale’ aumento di capitale sottoscritto

azioni OLCESE, meno i 13,9 milioni in realtà retrocessi con la ‘copertura’ del piano
industriale comune). Solo per strategìa di mercato si rappresentò l’avvenuto ingresso di
LAFICO in FIN.PART. nella misura di trenta milioni di euro.
Ciò posto, il Tribunale ritiene che mentre l’acquisto diretto dei 10 milioni di euro di azioni
OLCESE non possa ritenersi di per sè una operazione dissipatoria, mantiene in tali termini
(così come contestata al capo B) la qualificazione del versamento dei 13,9 milioni di euro
di cui al capo B (da FIN.PART. verso LAFICO), pur affermando testualmente che la
condotta è da ritenersi quale restituzione parziale del conferimento, visto che (pag. 108)

..l’aumento di capitale sociale giunse nelle casse di FIN.PART. e poi fu restituito a LAFICO
attraverso i passaggi prima descritti. Il mantenimento della qualificazione in termini di
‘dissipazione’ ha, in realtà, ragioni di tipo giuridico, posto che ad avviso del Tribunale,
fermo restando che la condotta in fatto rappresenta una parziale restituzione di
conferimento (art. 2626 cod.civ.) punibile ai sensi dell’art. 223 co.2 (bancarotta
impropria da reato societario), ciò non esclude l’applicabilità della ‘generale ipotesi’ di cui
all’art. 216 legge fallimentare, non versandosi in ipotesi di specialità

di tipo ‘escludente’

tra le due fattispecie. In altri termini, lì dove l’operazione di restituzione abbia
concorrente natura dissipatoria le due norme incriminatrici potrebbero coesistere, ed il
Tribunale ritiene che la condizione finanziaria negativa di OLCESE, nota al Livolsi, incida
sul giudizio, consentendo di qualificare la retrocessione a LAFICO dei 13,9 milioni di euro
quale condotta (anche) dissipatoria.

da LAFICO è pari a soli 6 milioni di euro (30, meno i dieci impiegati in acquisto diretto di

o-vi

1.3 La Corte di Appello di Milano con sentenza emessa in data 3 aprile 2012 confermava,
per quanto qui rileva, la decisione del Tribunale.
1.4 La decisione rescindente, emessa da questa Corte di legittimità in data 16 marzo
2016 riteneva fondato il terzo motivo di ricorso all’epoca proposto dai difensori del
Livolsi.
1.4.1 Giova precisare che con tale motivo era stata formulata specifica doglianza in punto
di inquadramento giuridico del fatto nella previsione di legge di cui all’art. 216/223
comma 1 legge fallimentare. La difesa del ricorrente aveva, in sostanza, evidenziato che
la Corte di secondo grado aveva eluso il tema della corretta qualificazione, dovendosi
-?

3

privilegiare – in tesi difensiva – la diversa qualificazione di bancarotta impropria societaria
per indebita restituzione di conferimento (art. 223 co.2 nella parte in cui tale disposizione
richiama i fatti di cui all’art.2626 cod.civ.). In fatto, lo stesso Tribunale di primo grado
aveva precisato come la ricostruzione probatoria portasse a tale inquadramento, pur
mantenendo inalterata la corrispondenza alla imputazione (elevata in termini di
bancarotta fraudolenta per dissipazione), con opzione censurata dal Livolsi in virtù
dell’erroneo riferimento ad un possibile temperamento – in termini di coesistenza – tra le
due previsioni incriminatrici. La Corte di secondo grado, si affermava nel motivo, non

tra le due operazioni economiche, aspetto per nulla idoneo ad escludere

l’indebita

restituzione di conferimento) nè in diritto (con omissione totale di argomentazioni). Il
ricorrente, in particolare, osservava che la qualificazione in termini di bancarotta
impropria societaria non rappresentava una mera questione definitoria ma implicava
rilevanti ricadute difensive in tema di necessario accertamento, ove fosse stata ritenuta
preferibile l’ipotesi della bancarotta impropria, del nesso causale tra la specifica azione di
restituzione parziale del conferimento (avvenuta nel 2002) ed il successivo default della
società.
1.4.2. In sede di decisione rescindente, pertanto, si affermava la fondatezza di tale,
articolata, doglianza.
In particolare, la motivazione espressa – sul tema – in secondo grado veniva ritenuta
illogica e contraddittoria.
Quanto al profilo in fatto utilizzato dalla Corte di merito per negare accesso alla diversa
(rispetto alla rubrica in diritto) qualificazione, se ne affermava l’erroneità. Non può dirsi,
infatti, che la non contestualità delle operazioni (valorizzata dalla Corte di Appello)
rappresenti un ostacolo alla ravvisabilità, in concreto, della fattispecie di indebita
restituzione di conferimento di cui all’art. 2626 cod.civ. .
Quanto alla residua struttura motivazionale della decisione allora impugnata,
caratterizzata da ampio rinvio alle argomentazioni impiegate dal Tribunale, questa Corte
riteneva da un lato insoddisfacente il rinvio per relationem (a fronte di specifica censura

avrebbe esplorato il tema in modo corretto, nè in fatto (evidenziando la non contestualità

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proposta in secondo grado), dall’altro poco avveduta in diritto la stessa decisione
richiamata (quella del Tribunale) posto che .. è la stessa sentenza di primo grado, alla
quale il giudice di appello aderisce in parte qua, a ricostruire le vicende dei due
versamenti sopra indicati nei termini di una parziale restituzione di conferimenti da parte
di Fin Part a La fico.. .

Da ciò l’assoluta necessità di argomentare in modo specifico – in

sede di rinvio – circa l’effettiva possibilità in diritto di ritenere sussistente, in luogo o in
concorrenza con la bancarotta impropria (non contestata al capo B), la bancarotta
fraudolenta tipica (art. 216 I.fall.), risolvendo il dubbio in tema di ricorrenza o meno dé
una connotazione di specialità tra le due norme.

Ar
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Per completezza, va ricordato che questa Corte dichiarava espressamente infondati il
primo, il secondo, il nono, il decimo e l’undicesimo motivo di ricorso.
Mentre i primi due riguardavano ipotesi di vizi processuali, i successivi involgono temi
ricostruttivi in fatto. Veniva affermata, sul tema, l’assenza di vizi logici o giuridici, in tal
modo rendendo intangibile la valutazione operata in sede di merito sulla esistenza di
riscontri alla versione di accusa fornita dal dichiarante Facchini.
2. In presenza di tali antecedenti, la Corte di Appello di Milano in sede di rinvio, dopo
aver illustrato i contenuti delle decisioni antecedenti :

diffondendosi sulla attendibilità complessiva della versione resa dal Facchini (da pag. 20 a
pag. 30);
– ribadisce, in fatto, che il conferimento ‘effettivo’ di LAFICO in FIN PART è stato di sei
milioni di euro (v. pag.32) , in virtù di accordi intervenuti in epoca antecedente al formale
versamento (di 30 milioni di euro) e che

non può parlarsi di ‘restituzione’ del

conferimento ma di dissipazione, così come contestato.
Ciò perchè, pure in presenza di una operazione economica di retrocessione di parte del
conferimento (quella dei 13,9 milioni di euro) a LAFICO, la realtà è che tale operazione
era stata posta, unitamente all’acquisto diretto delle azioni OLCESE, dai libici come precondizione per il loro ingresso in FIN.PART. e la società OLCESE andava verso la
decozione.
Dunque in chiave economica si trattò di una operazione che arrecò danno alla FIN PART,
per volontà dei libici della LAFICO che volevano liberarsi in via definitiva della loro
partecipazione in OLCESE.
La ribadita natura dissipativa della operazione di cui al capo B della imputazione rende
superfluo, per il giudice del rinvio, l’esame dei connotati (di specialità o meno) delle due
fattispecie in comparazione teorica, risultando applicabile solo la prima (bancarotta
fraudolenta per dissipazione).
La Corte di rinvio ribadisce, altresì, la ricorrenza dell’elemento psicologico in capo al
Livolsi, essendo costui a conoscenza della grave condizione economica della OLCESE.

3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione Livolsi Ubaldo a mezzo del
difensore avv. Giorgio Perroni.
Ai sensi dell’art. 173 co.1 disp.att.cpp si farà menzione espressa dei soli motivi necessari
per la presente motivazione, rinviandosi per completezza al testo dell’atto di ricorso.
3.1 Al primo motivo di ricorso si deduce vizio della decisione per avere la Corte di
Appello, in sede di rinvio, vagliato doglianze che erano state proposte in sede di ricorso
per cassazione e dichiarate assorbite. Si lamenta la vilazione dell’art. 597 co.1
cod.proc.pen. in tema di effetto devolutivo dell’appello.

5

– rievoca ampiamente la linea ricostruttiva emersa nella decisione di primo grado,

3.2 Al secondo motivo di ricorso si deduce erronea applicazione della legge penale e
vizio di motivazione in punto di inquadramento della fattispecie incriminatrice.
Si afferma che la decisione di rinvio ripropone essenzialmente lo schema logico contenuto
nella sentenza di primo grado, cui si era rifatta la prima decisione di secondo grado
annullata. Viene riaffermata, in sentenza, la tesi della bancarotta per dissipazione in
modo contraddittorio e non rispondente alla dinamica fattuale cui la stessa Corte di
merito pare aderire. In tal modo, attraverso il mantenimento di una qualificazione
giuridica erronea, il giudice del rinvio evita di confrontarsi con le richieste contenute nella

l’operazione contestata – che resta di restituzione di parte del conferimento- ed il
dissesto dello società.
L’argomento utilizzato dalla Corte di merito per negare la ricorrenza della bancarotta
impropria da reato societario – rappresentato dal previo accordo tra le parti – è
manifestamente illogico, posto che tale accordo sottostante è ciò che ha determinato, sul
piano fattuale, la parziale restituzione del conferimento e non già una dissipazione.
Vengono evidenziati spunti fattuali, contenuti nelle precedenti decisioni di merito, che
convalidano, in tesi, tale inquadramento in fatto e in diritto.
Si ribadisce che la retrocessione dei 13,9 milioni dì euro, come da imputazione,

è

avvenuta in favore di LAFICO e non di OLCESE.
3.3 Al terzo motivo di ricorso si deduce omessa motivazione circa il rapporto di specialità
tra le due previsioni incriminatrici della bancarotta fraudolenta per dissipazione e della
bancarotta impropria e mancato accertamento del nesso causale tra la restituzione del
conferimento ed il dissesto.
La conseguenza della – erronea ed apodittica – riaffermazione della natura dissipatoría
dell’operazione è stata quella di non affrontare nè il tema della specialità, evidenziato
nella decisione rescindente, nè quello del nesso causale, non richiesto in ipotesi di
bancarotta fraudolenta per dissipazione.
Ciò rappresenta, in tesi difensiva, un sostanziale aggiramento dei contenuti argomentativi
della decisione rescindente e una elusione dei conseguenti obblighi motivazionali gravanti

decisione rescindente e di affrontare il tema della ricorrenza o meno del nesso causale tra

sul giudice del rinvio.
3.4 Al quarto motivo si deduce erronea applicazione della legge penale in riferimento ai
caratteri della dissipazione.
Si tratta, in sostanza, di motivo subordinato, atteso che la linea difensiva si attesta sulla
qualificazione dell’operazione, per quanto emerso nei giudizi di merito ed avallato da
taluni passaggi della decisione rescindente, in termini di restituzione parziale di
conferimento. Si rinvia al testo del ricorso ai sensi dell’art. 173 co.1 disp.att.cpp.

6 Atil

3.5 Al quinto motivo si deduce vizio di motivazione in relazione alle argomentazioni sullo
stato di salute della OLCESE. Si rinvia al testo del ricorso ai sensi dell’art. 173 co.1
disp.att.cpp. .
3.6 Al sesto motivo si deduce violazione dell’art. 627 cod.proc.pen. e, in ogni caso, vizio
di motivazione in riferimento alla ingiustificata diversità di inquadramento giuridico delle
operazioni contestate.
Si ribadisce che in rapporto all’acquisto ‘diretto ed effettivo’ di azioni OLCESE per 10
milioni di euro, il Livolsi è stato assolto (capo C). La motivazione della sentenza di rinvio

buona parte dell’aumento di capitale sociale in operazioni scriteriate.
Ma in realtà il solo rapporto diretto FIN.PART. / OLCESE non ha avuto esito di condanna,
lì dove il capo B descrive un rapporto tra FIN.PART. e LAFICO in termini di restituzione
parziale del conferimento. LAFICO, in particolare, non si libera in tale occasione delle
azioni detenute in OLCESE, che restano nella sua titolarità. Si ribadisce, in ogni caso, che
l’impiego in OLCESE, pur se limitato alla quota dei dieci milioni di euro non poteva essere
qualificato in termini di dissipazione, non essendo estraneo l’impiego alle finalità
aziendali.
3.7 Al settimo motivo si deduce erronea applicazione di legge e vizio di motivazione in
riferimento alla mancata derubricazione del fatto in bancarotta semplice ai sensi dell’art.
217 I.fall. .
Si rinvia al testo del ricorso ai sensi dell’art. 173 co.1 disp.att.cpp.
3.8 All’ottavo motivo si deduce erronea applicazione di legge e vizio di motivazione in
riferimento alla ritenuta consapevolezza del Livolsi della operazione di restituzione.
Si rinvia al testo del ricorso ai sensi dell’art. 173 co.1 disp.att.cpp.
2.9 Al nono motivo si deduce erronea applicazione di legge e vizio di motivazione in
relazione alla ritenuta sussistenza dell’elemento psicologico del reato.
Si rinvia al testo del ricorso ai sensi dell’art. 173 co.1 disp.att.cpp.
2.10 Al decimo si deduce vizio di motivazione in riferimento alla determinazione del
trattamento sanzionatorio.
Si rinvia al testo del ricorso ai sensi dell’art. 173 co.1 disp.att.cpp.

4. Va altresì dato atto della istanza del codifensore del Livolsi, avvocato Massimo Dinoia,
tesa ad ottenere declaratoria di nullità dell’avviso di fO’ssazione dell’odierna udienza .
4.1 Detto difensore afferma, in sintesi, che la decisione emessa in sede di rinvio è stata
depositata oltre il termine indicato in dispositivo, con necessaria notifica dell’avviso di
deposito ai sensi dell’art. 548 cod.proc.pen. . Nessun avviso di deposito della sentenza
sarebbe stato mai ricevuto dall’avvocato istante, ma direttamente l’avviso per l’odierna
udienza, notificato in data 8 marzo 2018.

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pare ignorare il dato, riproponendo la tesi di una dissipazione correlata all’impiego di

Ciò posto il difensore rappresenta di non aver potuto impugnare la decisione con suo
proprio ricorso e chiede dichiararsi la nullità dell’avviso di fissazione dell’odierna udienza
con trasmissione degli atti alla Corte di Appello di Milano per l’esecuzione
dell’adempimento omesso.

1. Preliminarmente va affermato che l’istanza proposta dal difensore avv. Dinoia è
infondata.
In sede di discussione orale, limitata alla

verifica dei contenuti della domanda di

‘annullamento dell’avviso di fissazione’, detto difensore ha, in subordine, chiesto la
restituzione nel termine per proporre autonomo ricorso.
1.1 Si tratteranno, pertanto, entrambi i profili, nel modo che segue.
In fatto,

la prospettazione relativa all’omessa notifica dell’avviso di deposito della

sentenza è fondata, posto che per errore l’avviso – di certo necessario in virtù del
ritardato deposito dei motivi – ha visto come destinatario diverso legale.
Tuttavia, a parere del Collegio, le conseguenze non sono quelle ipotizzate dall’istante.
in primo luogo è da ritenersi pacifico che la mancata notifica al codifensore dell’avviso di
deposito della sentenza ex art. 548 cod.proc.pen. ha l’ unico effetto di determinare la
‘mancata decorrenza’ per tale soggetto della autonoma facoltà di impugnazione (in tal
senso Sez. I n. 51447 del 9.10.2013 rv 257485; Sez. III n. 38193 del 27.4.2017, rv
270952 ). L’avviso di deposito non è infatti elemento strutturale dell’atto-sentenza e la
sua assenza non può produrre effetti invalidanti, posto che la funzione dell’avviso è
esclusivamente quella di dare certezza sul

dies a quo dell’esercizio della facoltà di

impugnazione.
Nè tampoco può dirsi nullo l’avviso per l’odierna udienza, che la cancelleria di questa

CONSIDERATO IN DIRITTO

Corte ha doverosamente operato al fine di realizzare il contraddittorio in modo pieno.
Esdusa ogni ipotesi di nullità, il tema aggiuntivo introdotto dall’istante è quello della
restituzione nel termine al fine di proporre autonomi motivi di ricorso.
1.2 Tuttavia anche sotto tale profilo la domanda è infondata.
Ciò perchè l’avviso di fissazione dell’udienza presso questa Corte di Cassazione ha
determinato, sin dal momento della sua

ricezione (in data 8 marzo 2018) la

consapevolezza, ove mai fosse in altro modo mancata, dell’avvenuto deposito dei motivi
della decisione emessa in sede di giudizio di rinvio.

8

At

Dunque da tale data il difensore avv. Dinoia era in piena conoscenza dell’avvenuto
deposito, il che porta a ritenere iniziata la decorrenza del

dies a quo per proporre

impugnazione, data la piena equipollenza tra atto mancato e atto ricevuto.
Il termine è inutilmente decorso, posto che in tutti i casi di ritardato deposito (sia esso
dipeso da superamento del termine legale o da superamento del maggior termine
indicato in dispositivo nel limite massimo di giorni novanta) il termine per proporre
impugnazione è pari a giorni trenta dalla notizia del deposito (in tal senso Sezioni Unite
n. 5878 del 1997, ric. Bianco). Non vi è, peraltro, ragione alcuna dì applicabilità della

caso impeditivo di forza maggiore, quanto coltivata una prospettiva in diritto reputata
erronea (quella della nullità dell’avviso di fissazione dell’odierna udienza).

2. Il ricorso proposto dal difensore avv. Perroni è fondato, in relazione alle doglianze
esposte al secondo, terzo e sesto motivo di ricorso.
2.1 D caso oggetto di trattazione rappresenta, invero, un visibile esempio di non
aderenza dei contenuti -e degli stessi presupposti metodologici- della decisione emessa in
sede di rinvio rispetto a quanto affermato nella sentenza rescindente, emessa da questa
Corte di Cassazione, in un contesto procedimentale che risulta vieppiù problematico in
virtù della tecnica di formulazione dei capi di imputazione elevati nei confronti di Livolsi
Ubaldo e del parziale giudicato a lui favorevole.
Va premesso che le disposizioni processuali che tendono a determinare e regolamentare
il complesso equilibrio di poteri tra questa Corte, il giudice del rinvio e le stesse parti
processuali sono in primis contenute nel corpo dell’art. 627 (ai commi 2 e 3), ma non in
modo esclusivo, posto che rilevano, quantomeno, i contenuti del comma 2 dell’art. 628 e
del comma 1 dell’art.624 cod.proc.pen. .
In effetti, mentre il vincolo «pieno» posto dalla decisione rescindents e teso ad escludere
l’autonomia del giudice del rinvio/ è soltanto quello relativo alla «questione di diritto»
decisa dalla Corte di Cassazione (art. 627 co.3) ciò non toglie che in una corretta
impostazione dela sequenza processuale debba darsi rilievo alla «logica interna» espressa
nella decisione rescindente anche lì dove l’annullamento risulti collegato a vizi
argomentativi (vizi di tipo logico, che assumono rilievo in sede di legittimità sempre in
quanto collegati a ricadute in diritto sul percorso argomentativo realizzato nella decisione
impugnata).
Vi è pertanto, pacificamente, il divieto – in sede di rinvio – di sostanziale riproduzione del
percorso argomentativo già censurato in sede di legittimità (tra le molte, v. Sez. V n.
42814 del 19.6.2014, rv 261760), così come sussiste l’obbligo di affrontare in via
prioritaria il tema posto dalla decisione di annullamento.

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previsione di legge di cui all’art. 175 cod.proc.pen. non essendo stato prospettato un

In tale direzione, secondo Sez. VI n. 18634 del 18.11.2014, rv 263951, il giudice del
rinvio non può abbandonare il thema decidendum segnato dai motivi di ricorso che hanno
determinato l’annullamento, e definire il giudizio attraverso l’introduzione di nuovi punti,
ma deve in primo luogo eliminare il vizio rilevato dalla Corte di cassazione, e solo
successivamente, muovendo da tale presupposto, può affrontare ulteriori questioni in
fatto o in diritto (ove necessario) poiché, per effetto del «collegamento sequenziale» tra
pronuncia rescindente e fase rescissoria, non deve venir meno la continuità di oggetto del
giudizio.

specifiche doglianze ma disatteso in altre, è del tutto evidente (senza necessità di
scomodare, lì dove il capo sia unico, la nozione di giudicato parziale di cui all’art. 624 )
che su taluni punti del percorso argomentativo si determina una preclusione alla
rivalutazione (nei caso in esame ciò riguarda alcuni rilevanti profili in fatto ed il giudizio di
validità probatoria dell’utilizzo come fonte di prova a carico del dichiarante Facchini, ad
esempio) in virtù del generale limite alla riproposizione di questioni già decise, limite cui
si ispira la disposizione dell’art. 628 co.2 cod.proc.pen. (divieto di ricorso avverso la
decisione rescissoría su punti già decisi dalla Corte di Cassazione). Si tratta, ovviamente,
di un limite connaturale al sistema processuale, tale da spiegare effetto non soltanto nei
confronti delle parti ma dello stesso giudice del rinvio.
2.2 Tanto premesso, osserva il Collegio che la impostazione della sentenza rescindente,
sul tema controverso, prende le mosse dai contenuti della decisione di primo grado, più
volte evocata nel percorso argomentativo espresso dalla V Sezione di questa Corte.
In tale prima statuizione si era, in sostanza, affermato che la condotta contestata al
Livoisi al capo B integrava – in fatto – la fattispecie di concorso in indebita restituzione di
conferimento (pacificamente parziale), reato societario di cui all’art.2626 cod.civ., in virtù
del fatto che parte della somma versata dalla società LAFICO in sede di sottoscrizione
dell’aumento di capitale (qui i 13,9 milioni di euro) era stata dopo pochi giorni restituita
allo stesso socio sottoscrittore (non rilevano le finalità di tale restituzione, posto che lo
stesso capo di imputazione precisa che la somma di denaro era destinata a LAFICO e non
ad altro soggetto giuridico). Si tratta di condotta che, per come descritta nella
imputazione e per come ricostruita nel giudizio di primo grado non può che ricadere
nell’ambito applicativo di tale previsione di legge, richiamata al comma 2 n.1 dell’art. 223
legge fati. quale ipotesi di bancarotta impropria, a condizione che tale condotta si ponga
in relazione causale con il dissesto della società. Il Tribunale di primo grado ricostruisce il
fatto in tali termini ma, al contempo, come si è detto, afferma – qui in diritto – che ciò
non esdude il possibile inquadramento «concorrente» della medesima condotta nella
generale ipotesi di bancarotta fraudolenta per dissipazione (che è quella contestata al
capo B), atteso che l’operazione in questione avrebbe carattere plurioffensivo, in virtù del

10

Inoltre, lì dove un ricorso venga accolto (come nel caso in esame) in riferimento a

fatto che la società OLCESE (in ciò evocando, in verità, una porzione della imputazione
riferibile al capo C, posto che solo in quel caso viene realizzato un acquisto diretto di
azioni da parte della FIN.PART., per 10 milioni di euro) navigava in pessime acque e
l’intera operazione con i libici avrebbe portato ad un aumento di capitale ‘effettivo’ di soli
6 milioni di euro a fronte dei ‘formali’ trenta versati da LAFICO.
Ora, è del tutto evidente che la logica dell’annullamento con rinvio, rapportata – come è
d’obbligo fare – al contenuto del motivo accolto è rappresentata dalla constatazione
(sempre nella decisione rescindente) una duplice ‘debolezza logico-giuridica’ di simile

che il destinatario dei 13,9 milioni di euro era la società LAFICO (tanto che si ribadisce la
aderenza, da parte di questa Corte, allo schema logico del 2626 cod.civ.) e non la società
OLCESE e ciò rendeva illogica l’argomentazione per cui la concorrente ‘dissipazione’
poteva fondarsi sulle cattive condizioni di OLCESE; il secondo in diritto, relativo al modo
di atteggiarsi tra le due fattispecie (che il Tribunale, richiamato dalla prima decisione di
secondo grado, ritiene coesistenti, pur se solo la bancarotta fraudolenta è contestata) del
principio di specialità, posto che se l’indebita restituzione di conferimenti dovesse
ritenersi una sottospecie della più generale dissipazione, correlata alla particolare qualità
soggettiva del destinatario della elargizione (il socio) è evidente che l’operare dell’art. 15
cod.pen. renderebbe applicabile la sola ipotesi speciale (art. 223 co.2 n.1 legge fati.) con
la conseguenza, peraltro, di un aggravio probatorio per la pubblica accusa, rappresentato
dalla necessaria dimostrazione tra l’indebita restituzione di conferimento ed il dissesto
della società.
2.3 Che tale sia la corretta lettura dei contenuti della decisione rescindente, che muove
dalla ‘presa d’atto’ dell’avvenuta ricostruzione della condotta di cui al capo B in termini
corrispondenti alla fattispecie di cui all’art. 2626 cod.civ. è dimostrato proprio dal rilievo
attribuito in tale sentenza al quesito sul principio di specialità, che la V Sezione non ha
ritenuto di risolvere autonomamente / proprio in ragione della ricorrenza di un dubbio ‘a
monte’ sulla possibilità di ravvisare, nel caso concreto una ‘dissipazione’ (posto che la
destinataria del bonifico di 13,9 milioni di euro era, pacificamente, la società LAFICO e
non la società OLCESE).
Del resto, in altri arresti della medesima Sezione V si è chiaramente affermato che i reati
di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale (artt. 216 e 223, comma primo,
L.F.) e quello di bancarotta impropria di cui alle art. 223 comma secondo, n. 2, L.F. hanno
ambiti diversi: il primo postula il compimento di atti di distrazione o dissipazione di beni
societari ovvero di occultamento, distruzione o tenuta di libri e scritture contabili in modo
da non consentire la ricostruzione delle vicende societarie, atti tali da creare pericolo per
le ragioni creditorie, a prescindere dalla circostanza che abbiano prodotto il fallimento,
essendo sufficiente che questo sia effettivamente intervenuto; il secondo concerne,

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assunto, sotto due profili : il primo in fatto, perchè dal capo di imputazione sub B risulta

invece, condotte dolose che non costituiscono distrazione o dissipazione di attività – né si
risolvono in un pregiudizio per le verifiche concernenti il patrimonio sociale da operarsi
tramite le scritture contabili

ma che devono porsi in nesso eziologico con il fallimento.

Ne consegue che, in relazione ai suddetti reati, mentre è da escludere il concorso formale
è, invece, possibile il concorso materiale qualora, oltre ad azioni ricom prese nello
specifico schema della bancarotta ex art. 216 L.F., si siano verificati differenti ed
autonomi comportamenti dolosi i quali – concretandosi in abuso o infedeltà nell’esercizio
della carica ricoperta o in un atto intrinsecamente pericoloso per l’andamento economico

dep.2017, rv 269019).
Ora, la richiesta di rivalutazione tramite annullamento della decisione di secondo grado,
espressa nella decisione rescindente, è pertanto da ritenersi ricollegabile da un lato alla
presa d’atto (da parte della V Sezione di questa Corte) di una opzione – espressa dagli
stessi giudici di merito – verso la ricostruzione dell’episodio storico in termini di
«restituzione di conferimento», dall’altro dall’accoglimento delle doglianze difensive circa
il fatto che una simile condotta possa – al tempo stesso – rappresentare una ipotesi di
dissipazione penalmente rilevante ai sensi dell’art.216 I.fall., sia in fatto che in diritto.
Pur non espressa in modo dialetticamente ampio, la ragione dell’annulamento è
chiaramente ricostruibile in chiave di tutela di taluni principi generali, rappresentati : a)
dalla necessaria aderenza della qualificazione giuridica alla contestazione in fatto; b) dalla
vigenza del principio di specialità di cui all’art. 15 cod.pen.; c) dalla necessità, in ipotesi
di prevalenza della qualificazione ex art. 223 co.2 n.1 legge fall., di dimostrazione del
nesso causale, come la norma incriminatrice richiede.
3. Alla luce di tale premessa,

risulta fondata la doglianza difensiva relativa alla

sostanziale «deviazione» dei contenuti della decisione rescissoria rispetto all’assetto
argomentativo contenuto nella sentenza rescindente ed ai punti oggetto del rinvio.
La Corte di Appello si diffonde in una ricostruzione fattuale riproduttiva – in larga misura degli argomenti della decisione di primo grado, in realtà non necessaria in virtù del
rigetto dei motivi di ricorso che avevano ad oggetto i profili ricostruttivi del fatto.

finanziario della società – siano stati causa del fallimento (Sez. V n. 533 del 14.10.2016,

Quanto alla qualificazione della condotta di cui al capo B sì discosta dai contenuti della
decisione di primo grado affermando che non può trattarsi di indebita restituzione di
conferimento in virtù del fatto che la ‘retrocessione economica’ , pur avvenuta dopo la
sottoscrizione dell’aumento di capitale da parte di LAFICO, era stata pre-concordata tra le
parti.
Tale argomento è manifestamente incongruo, posto che non rileva – al fine di integrare la
fattispecie di indebita restituzione – se l’accordo sottostante sia avvenuto prima o dopo il
conferimento, essendo esclusivamente necessario che il conferimento sia materialmente
avvenuto ed indebitamente restituito, in tutto o in parte (e tale aspetto è stato
Litt.
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puntualmente argomentato nella decisione di primo grado, sicchè il giudice del rinvio
valorizza un elemento del tutto ininfluente nella struttura della fattispecie).
Si tratta, dunque, di un argomento che non appare idoneo ad evitare il confronto con i
contenuti della decisione rescindente, rimasti del tutto inevasi sotto il profilo delle
potenziali ricadute del principio di specialità e sotto il profilo delle esigenze dimostrative una volta esclusa la ricorrenza della dissipazione e ravvisata l’indebita restituzione – del
nesso causale con il dissesto.
Nè i riferimenti alle cattive condizioni finanziarie della società OLCESE (già presenti nella

posto dalla decisione rescindente, per due ragioni essenziali, evidenziate nel ricorso. La
prima è che l’unica rimessa finanziaria diretta tra FIN.PART. e OLCESE è quella di cui al
capo C (acquisto di azioni per dieci milioni di euro), condotta per cui il Livolsi è stato
assolto con decisione irrevocabile.
La seconda è che la residua condotta di cui al capo B, oggetto di giudizio, riguarda una
rimessa finanziaria da FIN.PART. a LAFICO, sia secondo la contestazione che in virtù dei
contenuti istruttori più volte rievocati. Dunque la valutazione del giudice del rinvio si
alimenta da una impropria commistione tra le due – distinte – operazioni finanziarie,
finendo con il travisare i chiari contenuti fattuali di cui al capo B e valorizzando, al fondo,
il probabile motivo della restituzione dei capitali (LAFICO, per quanto risulta dai contenuti
istruttori, voleva in realtà realizzare una maggior presenza di FIN.PART. in OLCESE
attraverso un fittizio piano industriale di rilancio della seconda), aspetto che tuttavia non
può sovrapporsi ai contenuti storici della operazione, consistente in una chiara
retrocessione a LAFICO di parte delle risorse impiegate per la sottoscrizione dell’aumento
di capitale.
Dunque nessuna delle ragioni esposte nel provvedimento impugnato consentiva di evitare
la risposta ai quesiti derivanti dalla prima pronunzia di annullamento, rimasti inevasi in
modo del tutto ingiustificato.
Ne deriva l’annullamento della decisione impugnata, con rinvio per nuovo giudizio ad
altra Sezione della Corte di Appello di Milano.
4. Restano assorbiti i motivi primo, quarto, quinto e decimo mentre il settimo, ottavo e
nono motivo sono da ritenersi inammissibili perchè proposti in violazione dei contenuti
dell’art. 628 co.2 cod.proc.pen. trattandosi di aspetti già trattati nella decisione
rescindente.

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decisione annullata dalla V Sezione di questa Corte) appaiono utili a risolvere il tema

P.Q.M.

Rigetta l’istanza di nullità dell’avviso di fissazione dell’odierna udienza ed annulla la
sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Appello
di Milano.

Così deciso il 19 aprile 2018

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