Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19776 del 31/01/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 19776 Anno 2018
Presidente: DI TOMASSI MARIASTEFANIA
Relatore: MAGI RAFFAELLO

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:
ROBUSTI GIOVANNI nato il 27/12/1951 a PIADENA
BEDINO ANTONINO nato il 09/03/1966 a FOSSANO
MAERO DENIS nato il 30/10/1972 a SAVIGLIANO
ROBASTO FRANCESCO nato il 15/12/1946 a MORETTA
MAESTRI CRISTINA nato il 14/06/1962 a VIADANA
GILETTA CELESTINO nato il 14/04/1951 a RUFFIA
TARICCO GIANFRANCO nato il 22/08/1956 a FOSSANO

avverso la sentenza del 30/09/2016 della CORTE APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere RAFFAELLO MAGI
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LUCA TAMPIERI
che ha concluso per
Il P.G. conclude chiedendo il rigetto del ricorso.
Udito il difensore
L’avvocato SALVALAGGIO si riporta ai motivi del ricorso.
L’avvocato CAPRIOLI si riporta ai motivi del ricorso.
L’avvocato BENELLI si riporta ai motivi del ricorso.

Data Udienza: 31/01/2018

L’avvocato BOTASSO si riporta ai motivi del ricorso.

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RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 13 marzo 2014 la V Sezione di questa Corte di
Cassazione, decidendo sui ricorsi allora proposti avverso la decisione emessa in secondo
grado nei confronti di Robusti Giovanni ed altri, in sintesi, riteneva :
– infondata la doglianza relativa alla ammissibilità delle intervenute costituzioni di parte
civile ;
– infondate le questioni in tema di competenza territoriale dei giudici del merito (in

– infondate le doglianze relative alla metodologìa ricostruttiva adoperata dal giudice di
secondo grado (precisando che il ribaltamento della prima assoluzione sul capo di
associazione non è dipeso da un diverso apprezzamento della prova dichiarativa) .
Inoltre :

nell’esaminare il tema della configurabilità del delitto di truffa, questa Corte

sottolineava che il sistema realizzato, attraverso le copperative prima e la società
finanziaria poi, consentiva – per come ricostruito in sede di merito – di evitare il
versamento della penalità e di ottenere da parte dei produttori il pagamento dell’intero
prezzo del prodotto, anche relativo alla quota eccedente, con sottrazione dei prevelievo
obbligatorio realizzata con modalità artificiose e ingannevoli (viene esaminata anche la
decisione parzialmente difforme emessa da C.App. Trieste) . La truffa è ritenuta
configurabile anche con condotta omissiva, lì dove l’induzione in errore determini la
mancata attivazione della vittima verso il comportamento da cui sarebbe derivata
l’utilità;

ribadiva che non si vede in ipotesi di specialità tra la previsione incriminatrice e le

previsioni di settore che avevano introdotto, circa l’omesso versamento del cd.
superprelievo, delle sanzioni amministrative;
– nell’esaminare il capo della associazione per delinquere comune, riteneva corrette in
diritto le valutazione espresse dalla Corte di Appello ed inclusa nel sodalizio in modo non
irragionevole l’imputata Maestri.
Quanto al tema della estinzione dei reati per intervenuta prescrizione, fermo restando
che una serie di contestazioni minori risultano estinte, si affermava che tale effetto
estintivo è solo in parte maturato in riferimento ai reati di associazione per delinquere e
truffa aggravata.
In particolare, si individuava il periodo non coperto dalla causa estintiva in quello
intercorso tra il 24 agosto del 2006 al 31 marzo del 2007. Per tale intervallo temporale
l’affermazione di penale responsabilità è da ritenersi definitiva in riferimento ai soggetti
coinvolti – oltre al reato associativo – nella cooperativa Savoia 5 e nella società FGR . Si
affermava, sul tema, che non vi è sovrapposizione rispetto ai fatti giudicati dalla Corte di
Appello di Trieste, posto che la contestazione di tale procedimento parte dal 1 aprile del
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particolare quella relativa alla competenza del Tribunale di Saluzzo) ;

2007. I soggetti coinvolti in tale frazione temporale – quanto alla Savoia cinque vengono indicati in Robusti , Robasto, Giletta e Taricco (vedi pag. 53 della sentenza
citata).
Veniva pertanto disposto il rinvio

per la sola determinazione del trattamento

sanzionatorio alla Corte di Appello di Torino nei confronti degli imputati Robusti, Maero,
Robasto, Bedino, Maestri, Giletta e Taricco.
2. La decisione emessa in sede di rinvio dalla Corte di Appello di Torino in data 30

2 (truffa aggravata) nel modo che segue :
1) Robusti Giovanni (art. 416 cod.pen. – prom.) – anni tre e mesi due di reclusione;
2) Maero Denis (art. 416 cod.pen. – prom.)- anni due mesi uno di reclusione;
3) Robasto Francesco (art. 416 cod.pen. – prom.) – anni due mesi uno di reclusione;
4) Bedino Antonino (art. 416 cod.pen. – prom.) – anni due mesi uno di reclusione;
5) Maestri Cristina (art. 416 cod.pen. – prom.) – mesi nove di reclusione;
6) Giletta Celestino (art.416 cod. pen. – part.)- mesi otto giorni venti di reclusione;
7) Taricco Gianfranco (art. 416 cod.pen. – part.) – mesi otto giorni venti di reclusione.
Va ricordato che sul capo di associazione per delinquere gli imputati erano stati assolti in
primo grado e condannati in secondo grado.
Va altresì premesso che nella decisione della Corte di Appello del 30 giugno 2011 erano
state concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti al Robusti; prevalenti a
Maero, Robasto, Bedino, Maestri, Gìletta e Taricco. Al solo Robusti era rimasta
confermata la qualifica di promotore.
Va anche premesso che gli omessi versamenti del maxiprelievo sono da ritenersi
consumati, secondo quanto sostenuto nella decisione, mese per mese in riferimento alla
disciplina legislativa regolatrice vigente al momento dell’illecito.
Conviene pertanto realizzare un confronto tra la misura della pena determinata nella
sentenza impugnata e quella determinata nella decisione del 2011, nel modo che segue:
Nella decisione pre- annullamento solo per
capi 1 e 2
1) Robusti Giovanni – anni quattro di
reclusione
2) Maero Denis – anni due mesi nove di
reclusione
3) Robasto Francesco – anni due mesi nove
di reclusione
4) Bedino Antonino – anni due mesi nove
di reclusione
5) Maestri Cristina – anni uno mesi sei di
reclusione
6) Giletta Celestino – anni uno di reclusione
7) Taricco Gianfranco – anni uno di
reclusione

Nella decisione di rinvio
1) Robusti Giovanni – anni tre e mesi due
di reclusione
2) Maero Denis – anni due mesi uno di
reclusione
3) Robasto Francesco – anni due mesi uno
di reclusione
4) Bedino Antonino – anni due mesi uno di
reclusione
– mesi nove di
5) Maestri Cristina
reclusione
6) Giletta Celestino – mesi otto giorni venti
di reclusione
7) Taricco Gianfranco – mesi otto giorni
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settembre 2016, qui impugnata, ridetermina le pene sui capi 1 (associazione semplice) e

venti di reclusione

La Corte di Appello, in motivazione, rievoca i termini essenziali dei precedenti giudizi e si
occupa, prima dell’esecuzione del compito demandato, di trattare alcune questioni poste
dalle difese.
In particolare, va evidenziato che :

parziale sulla responsabilità, disattendendo la tesi difensiva, tesa a solleciare declaratoria
di estinzione per intervenuta prescrizione (sia per quanto concerne l’ipotesi di
prescrizione sopravvenuta che l’ipotesi di maturazione antecedente non dichiarata) in
virtù del contenuto della decisione rescindente;
b) viene respinta ulteriore questione relativa alla violazione del principio del ne bis in
idem proposta nell’interesse di Robusti Giovanni (sentenza di condanna per truffa della
C.App. Trieste del 25.2.2015) , trattandosi di aspetto esaminato nella decisione
rescindente.
Si passa alla quantificazione della pena, con gli esiti prima evidenziati. Quanto ai criteri di
metodo, la Corte di rinvio si attesta sempre sui minimi edittali del reato più grave tra
quelli contestati, lasciando fermo il giudizio di comparazione, lì dove operato con
prevalenza, procedendo alla quantificazione della incidenza per il reato satellite nei modi
descritti a pag. 46 della sentenza impugnata.

3. Avverso detta sentenza sono stati proposti i seguenti ricorsi, qui sintetizzati ai sensi
del contenuto dell’art. 173 co.1 dísp.att. c.p.p..
a) per Robasto Francesco, Bedino Antonio, Maero Denis, Giletta Celestino, Taricco
Gianfranco si deduce erronea applicazione degli artt. 624 e 129 cod.proc.pen. .
Viene riproposta nell’atto di ricorso la tesi della rilevabilità della prescrizione in sede di
giudizio di rinvio per la sola rideterminazione della pena. Con ampia premessa teorica, si
sostiene che lì dove l’art. 624 utiizza il termine ‘parti’ della sentenza (idonee a passare in
giudicato immediatamente) debba leggersi ‘capi’, sicchè sino al momento della
definizione di qualunque punto relativo al ‘capo non definito’ sarebbe possibile la
maturazione della causa estintiva della prescrizione. Non potrebbe esservi giudicato
parziale in presenza di una statuizione non eseguibile, non essendo intervenuta la
determinazione della pena.
In secondo luogo si afferma che proprio la frazione temporale individuata dalla decisione
rescindente sarebbe stata posta in essere – per stessa precisazione della cassazione – in
luogo diverso (a Pordenone, dato il trasferimento di sede dell’unica cooperativa rimasta
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a) viene respinta questione sollevata in tema di avvenuta formazione del giudicato

attiva). Sul punto non vi sarebbe questione alcuna in tema di competenza territoriale,
ma andava preso atto del fatto che le condotte ‘friulane’ erano in realtà fuori
contestazione – solo formalmente estesa al marzo 2007 lì dove già dall’agosto 2006
l’unica cooperativa era quella friulana – e tale compito poteva essere svolto dal giudice
del rinvio, non essendo precluso dai contenuti della decisione rescindente.
b) per Cristina Maestri al primo motivo si ripropone il tema della prescrizione rilevabile
anche in sede di giudizio di rinvio. Gli argomenti sono analoghi a quelli contenuti nel

estinzione pteesistente non dichiarata da questa Corte di Cassazione.
Al secondo motivo si deduce erronea applicazione di legge in punto di determinazione
della pena. Si contesta l’entità dell’incremento per continuazione, pari ad un mese di
reclusione, in relazione al fatto che il ruolo dell’imputata fu esclusvamente limitato alla
tenuta della contabilità. Si rappresenta inoltre che in dispositivo non vi è replica dei doppi
benefici già concessi.

c) per Robusti Giovanni, si ripropongono, in sostanza, i temi posti innanzi al giudice del
rinvio con deduzione di erronea applicazione dell’art. 649 cod.proc.pen. . Si ritiene che la
condanna, per la sola truffa, emessa dalla Corte di Appello di Trieste in data 25 febbraio
2015, irrevocabile, abbia ad oggetto il medesimo fatto. Il trasferimento della coop Savoia
5 aveva determinato la attribuzione di competenza in Pordenone e il giudizio lì celebrato
in quella sede ha di fatto preso in esame anche la condotta antecedente al 1 aprile 2007.
Dunque l’esame della decisione emessa in tale giudizio doveva portare al riconoscimento
della duplicazione di ‘fatti’ giudicati, al di là della segmentazione temporale delle
contestazioni formali e tale dato poteva essere apprezzato in sede di rinvio. Il successivo
motivo ripropone i temi della rilevabilità in sede di giudizio di rinvio della causa estintiva
della prescrizione, con argomenti analoghi a quelli già illustrati (prescrizione
successivamente maturata e antecedente alla decisione rescindente ma non dichiarata).

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili perchè proposti per motivi non consentiti o, comunque,
manifestamente infondati.
1.2 La trattazione può essere unitaria in virtù della comunanza dei punti e delle
argomentazioni, salve le precisazioni che si diranno.
Va in premessa ricordato che il sistema processuale prevede, quanto alla riproposizione
di questioni già decise nella decisione rescindente il generale limite di cui all’art. 628 co.2

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primo ricorso, sia in tema di estinzione sopravvenuta che in tema di rilevabilità di una

cod.proc.pen. (divieto di ricorso avverso la decisione rescissoria su punti già decisi dalla
Corte di Cassazione).
Ma, per il vero, nel caso in esame viene in rilievo la nozione di «giudicato parziale» di cui
all’art. 624 co.1 cod.proc.pen., posto che la sentenza emessa dalla V Sezione di questa
Corte in data 13 marzo 2014 è sentenza di annullamento senza rinvio di parte delle
statuizioni di condanna (per intervenuta prescrizione) con contestuale rigetto della parte
residua dei motivi di ricorso e ‘trasmissione degli atti’ alla Corte di Appello ai soli fini di
rideterminazione del trattamento sanzionatorio.

espressione contenuta nella previsione di legge per cui la sentenza oggetto di
annullamento parziale ha autorità di cosa giudicata nelle parti che non hanno
connessione essenziale con la parte annullata.
I ricorrenti, con più argomentazioni, sostengono che in caso di annullamento parziale il
‘tempo’ della trattazione in sede di rinvio andrebbe computato a fini di prescrizione, non
potendo dirsi formato un giudicato in senso pieno per l’assenza di una pena eseguibile.
Tale prospettazione è manifestamente infondata, in quanto contrasta con l’orientamento
interpretativo da tempo maturato nella presente sede di legittimità, che si passa ad
esporre.
Interpretazione consolidata è, in particolare, quella per cui lì dove in sede di legittimità
sia stato disposto l’annullamento della decisione impugnata esclusivamente in riferimento
al tema della determinazione della pena (come nel caso in esame), il

giudicato

progressivo formatosi sull’accertamento del reato e sulla responsabilità dell’imputato con la definitività della decisione su tali punti – preclude l’applicazione di cause estintive

sopravvenute all’annullamento parziale (Sez. U. n.4904 del 26.3.1997, rv 207640; Sez. U
n. 16208 del 27.3.2014, rv 258654). In rapporto, di contro, alle cause estintive
‘preesistenti’ ma non rilevate in sede rescindente, lì dove tale omessa valutazione sia
chiaramente evincibile dal contenuto della decisione di annullamento con rinvio, si ritiene
esperibile il ricorso straordinario ai sensi dell’art. 625 bis cod.proc.pen. (Sez. U n. 28717
del 21.6.2012, rv 252935). La ratio di tale consolidato orientamento (specie in rapporto
alle cause sopravvenute) sta nella considerazione di ‘autonomia’ tra la parte della
sentenza con cui viene affermata la responsabilità dell’imputato e quella relativa alla
determinazione della pena, sicchè lì dove la decisione rescindente abbia determinato una
conferma delle statuizioni in punto di responsabilità, ciò determina la formazione del
giudicato ‘progressivo’ ai sensi dell’art. 624 co.1 cod.proc.pen., data l’assenza di
«connessione essenziale» di detta statuizione con la parte della decisione annullata.
Come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella decisione n. 16208 del 2014
[..] è noto, infatti, come la giurisprudenza delle Sezioni Unite, sin da epoca ormai
risalente, abbia avuto modo di porre in luce la circostanza che la formazione del giudicato

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Vanno pertanto ribadite talune linee interpretative che riguardano il significato della

- specie per ciò che attiene ai riflessi che ne possono scaturire sul versante delle cause
estintive del reato, quale, in particolare, la prescrizione – ben possa assumere, proprio
nelle ipotesi di annullamento parziale pronunciato in sede di legittimità, i connotati tipici
di una fattispecie a formazione progressiva. Si è premesso, al riguardo, che il
riconoscimento della autorità di cosa giudicata, enunciato, in tema di annullamento
parziale, dall’art. 624 c.p.p., con riferimento alle parti della sentenza che non hanno
connessione essenziale con la parte annullata, non si riferisce ne’ al giudicato cosiddetto
sostanziale, ne’ alla intrinseca idoneità della decisione ad essere posta in esecuzione, ma

dunque, nell’ambito di uno specifico iter che conduce alla definizione del giudizio su di
uno specifico oggetto, nel quadro di un fenomeno preclusivo che mira ad impedire che su
di uno stesso tema possa intervenire una serie indeterminata di pronunce, così da
assegnare i connotati della intangibilità a quella porzione di risultato raggiunta “nel”
processo e “dal” processo. Il giudicato, dunque, può avere una formazione non
simultanea ma progressiva e

ciò può accadere sia nelle ipotesi di procedimento

cumulativo, allorché nel processo confluiscano una pluralità di domande di giudizio che
comportino una pluralità di regiudicande, sia quando il procedimento riguardi un solo
reato attribuito ad un solo soggetto, perché anche in quest’ultimo caso la sentenza
definitiva può essere la risultante di più decisioni, intervenute attraverso lo sviluppo
progressivo del mezzi di impugnazione. D’altra parte, è diretta conseguenza proprio
della definitività della decisione della Corte di cassazione, sia pure limitata nel suo
contenuto all’oggetto dell’annullamento, la circostanza che l’art. 628 c.p.p.,
espressamente consenta la impugnabilità della sentenza del giudice di rinvio soltanto in
relazione ai “punti” non decisi in sede di giudizio rescindente, proprio perché il perimetro
cognitivo del giudice del rinvio è tracciato dai limiti del devoluto, senza che possano
venire nuovamente in discorso le “parti” della sentenza annullata che hanno ormai
assunto i connotati di intangibilità propri della cosa giudicata. La sentenza della Corte di
cassazione, dunque, ove di annullamento parziale, delimita l’oggetto del giudizio di rinvio,
riducendo corrispondentemente l’oggetto del processo, senza che peraltro possa cogliersi
un nesso di corrispondenza biunivoca tra la eseguibilità della sentenza penale di
condanna e l’autorità di cosa giudicata attribuibile ad una o più statuizioni in essa
contenute, giacché la possibilità di dare attuazione alle decisioni definitive di una
sentenza, non va confusa con la irrevocabilità della pronuncia stessa in relazione all’iter
processuale. Nel primo caso, infatti, la definitività del provvedimento, in tutte le sue
componenti, va raccordata alla formazione di un vero e proprio titolo esecutivo; nel
secondo caso, invece, la definitività della pronuncia consegue all’esaurimento del giudizio
e prescinde dalla concreta realizzabilità della pretesa punitiva dello Stato. D’altra parte,
l’auctoritas di res iudicata che l’art. 624 c.p.p., comma 1, conferisce alla parte

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soltanto «all’esaurimento del potere decisorio del giudice della cognizione». Ci si muove,

”autonoma” della sentenza non annullata, è rimarcata dalla esigenza di pronta
riconoscibilità esterna del formarsi del giudicato parziale, giacché il richiamato art. 624
c.p.p., comma 2, demanda al medesimo giudice del rescindente il compito di dichiarare
nello stesso dispositivo – con pronuncia di tipo essenzialmente ricognitivo – quali parti
della sentenza del giudice a quo diventano «irrevocabili» [.. ].
2.

Non vi è, pertanto, alcuna questione ammissibile sul tema (ricorsi proposti

nell’interesse di Robasto, Bedino, Maero, Giletta, Taricco, nochè Maestri e Robusti) dati i
chiari contenuti della decisione emessa dalla V Sezione di questa Corte in data 13 marzo

punto della prescrizione e delimitando temporalmente la affermazione di penale
responsabilità degli imputati, sicchè in sede di ‘rinvio’ non poteva decorrere alcuna
prescrizione, per il semplice ma assorbente motivo dell’avvenuta formazione del giudicato
sulla responsabilità.
3. Le ulteriori doglianze relative alla assenza di contestazione per il periodo 1§ulano’
(ricorsi Robasto, Bedino, Maero, Giletta, Taricco) così come quella proposta dal Robusti e
relativa al divieto di doppio giudizio per il medesimo fatto (in rapporto alla condanna
emessa dalla Corte di Appello di Trieste) sono parimenti inammissibili perchè proposte
avverso la parte di decisione irrevocabile, trattandosi di punti oggetto di esplicita
trattazione nella decisione emessa dalla V Sezione di questa Corte, numero 44369/2014.
La decisione, nelle parti che si riportano di seguito : a) ritiene radicata la competenza per
il reato associativo in Saluzzo; b) ritiene coperto dalla contestazione anche il periodo
successivo all’avvenuto trasferimento della cooperativa Savoia 5 in Friuli ; c) ritiene
assente la sovrapposizione temporale tra le due contestazioni nei diversi procedimenti,
con assenza di profili di applicabilità dell’art.649 cod.proc.pen. .
3.1 Quanto alla competenza territoriale sul reato associativo, nella decisione emessa
dalla Sezione V si è affermato che assume rilevanza il luogo di prima manifestazione
concreta della progettualità criminosa individuato in Saluzzo: [..] In tal modo, non può
che giungersi alla condusione che la condotta contestata, per come descritta in rubrica,
abbia avuto attuazione nel saluzzese, prima e indipendentemente dalla costituzione delle
cooperative. Ma allo stesso risultato si perviene anche tenendo conto dell’ulteriore
sviluppo delle argomentazioni esposte dalla Corte territoriale, secondo

cui (data la

genericità e l’incertezza degli elementi acquisiti sulla collocazione, almeno nel tempo,
delle prime attività di propaganda) dovrebbe assumere rilievo non già il luogo di formale
nascita della prima cooperativa, bensì quello di concreta manifestazione, attraverso la
struttura di quella società e di quelle costituite in seguito, dell’operatività del sodalizio. A
tale riguardo, non può ritenersi dirimente soffermarsi – come pure la sentenza impugnata
sembra fare in più occasioni – sul problema se le cooperative Savoia, ivi compresa la
prima costituita in Fossano, nascessero come soggetti demandati a compiere (anche)

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2014, che realizza le condizioni del giudicato progressivo trattando in modo esplicito il

fisiologiche attività economiche, poi deviando da quelle finalità od almeno perseguendone
al contempo di illecite, oppure se la ragione stessa della costituzione delle medesime
fosse coessenziale agli scopi dell’associazione ipotizzata, ed in ciò si esaurisse: la Corte di
appello sembra optare per la prima ricostruzione, ma in altri passi della pronuncia offre
spunti di contrario tenore. A pag. 54, ad esempio, si legge che “la costituzione delle
cooperative Savoia è avvenuta al preciso scopo di eludere la normativa comunitaria e
nazionale in allora vigente in materia di quote latte e di prelievo supplementare”, mentre
a pag. 71 si ricorda che quello “dell’effettiva riscossione del prelievo supplementare

acquirente, come tale previsto da sempre dalla normativa comunitaria e nazionale, che in
precedenza era svolto dai caseifici acquirenti e che le cooperative Savoia (con la
partecipazione della FGR s.p.a. dopo l’entrata in vigore della nuova normativa nazionale)
non hanno mai inteso esercitare, sono nate proprio per non esercitarlo e per impedire
che altri continuassero ad esercitarlo”. In vero, valutare se la Savoia Uno o le successive
fossero state concepite ab initio soltanto come strumenti per la realizzazione degli scopi
illeciti perseguiti dal sodalizio attiene alla ricostruzione del momento di creazione del
vincolo associativo, non a quello di ricerca della dimensione spazio-temporale in cui
l’associazione sia divenuta operativa, e di tale operatività abbia dato manifestazione
esterna: come più volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, infatti, “in tema
di reati associativi, la competenza per territorio si determina in relazione al luogo in cui
ha sede la base ove si svolgono programmazione, ideazione e direzione delle attività
criminose facenti capo al sodalizio; in particolare, considerato che l’associazione è una
realtà criminosa destinata a svolgere una concreta attività, assume rilievo non tanto il
luogo in cui si è radicato il pactum sceleris, quanto quello in cui si è effettivamente
manifestata e realizzata l’operatività della struttura”… A questo punto, come
correttamente evidenziato nella decisione oggetto di ricorso nel fare proprie le
osservazioni delle difese delle parti civili, “la redazione del rogito notarile di costituzione
delle prime cooperative … in realtà si presenta come elemento del tutto neutro, di per sè
considerato”, giacché “non è solo e tanto la costituzione delle società cooperative (di per
sè perfettamente legittima) che rileva sotto il profilo penale, bensì la strumentalizzazione
delle stesse a fini criminali, l’asservimento delle medesime alla realizzazione del
programma criminoso perseguito dagli ideatori ed organizzatori”. Nè, in tal modo, si
perviene all’equivoco di far coincidere il luogo in cui si intenda venuto in essere il
sodalizio criminoso con quello di eventuale consumazione dei presunti reati-fine: la
manifestazione dell’operatività dell’associazione qui contestata non si ha con la
commissione delle truffe, ma si realizza (v. la sentenza impugnata, a pag. 33) nel
“momento in cui l’assetto cooperativo tra produttori, perfettamente lecito, viene utilizzato
e strumentalizzato per dar vita ad un’organizzazione preordinata ad eludere

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dovuto sul latte eccedente la QIR è obbligo fondamentale ed imprescindibile del primo

artificiosamente il pagamento del superprelievo”. Condotte, queste, pacificamente non da
collocare in quel di Fossano, ma – ancora una volta – in territorio di Saluzzo, là dove i
produttori di latte si erano in tal modo organizzati.
E, come già accennato in precedenza circa la necessità di tornare comunque, anche
volendo aderire alle tesi difensive, al locus commissi delicti inizialmente individuato, la
Corte di appello avverte che “se la semplice formalizzazione della nascita delle
cooperative attraverso il rogito notarile fosse già manifestazione del programma
criminoso dell’associazione, meritevole di repressione penale, ciò significherebbe che il
indeterminata già

preesistevano rispetto a quel momento, perché non si può certo sostenere che si siano
costituiti all’atto della redazione del rogito, quindi si tornerebbe ad identificare il
momento di consumazione del reato associativo in un tempo anteriore, nel tempo delle
riunioni preparatorie, secondo la tesi propugnata dal P.g., cioè nel territorio del saluzzese
…, dove le società hanno iniziato a funzionare e di conseguenza il sodalizio criminoso ad
operare. Il che non vuoi dire necessariamente commettere truffe, vuoi dire più
semplicemente “funzionare”. Tale argomentazione logica, prospettata ancora dalla difesa
delle parti civili, viene ragionevolmente ritenuta dalla Corte torinese “non infondata in
fatto e neppure in diritto” [..] .
3.2 Quanto al tema della prescrizione e della estensione temporale della contestazione,
sempre in detta decisione si è affermato che : [ ..] Debbono infine affrontarsi le
questioni relative alla maturata (in parte) prescrizione anche degli addebiti sub 1) e 2),
non incidenti sulle statuizioni civili della sentenza impugnata di cui si impone la conferma.
Come evidenziato in sede di motivi aggiunti di ricorso, la tesi delle difese è che il capo
d’imputazione concernente il reato associativo si riferirebbe come ultima scansione
temporale alla campagna lattiera 2005/2006, coprendo dunque il periodo fino a non oltre
il 31/03/2006; nel contempo, quanto alle presunte truffe, la campagna lattiera dell’anno
successivo riguarderebbe soltanto la cooperativa Savoia Cinque, con riguardo a fatti da
intendersi già giudicati dalla Corte di appello di Trieste con la pronuncia più volte
ricordata. Innanzi tutto, deve prendersi atto che nel corso del giudizio di primo grado
risulta essersi verificata una causa di sospensione dei termini di prescrizione per 21
giorni, conseguente ad un rinvio dell’udienza (dal 28 gennaio al 18 febbraio 2009) per
l’adesione dei difensori ad un’astensione di categoria: ne deriva che, muovendo dalla
data odierna a ritroso per 7 anni, 6 mesi e 21 giorni, debbono considerarsi prescritti tutti
i reati in ipotesi commessi fino al 23 agosto 2006. Ciò posto, il capo d’imputazione sub
1) colloca l’associazione per delinquere fino al 31 marzo 2007, ed analogamente è a dirsi
per le presunte truffe, come indicato al capo successivo. Peraltro, stando alla sentenza
impugnata i fatti ancora di possibile rilievo sarebbero da riferire – oltre alla FGR s.p.a. alla sola cooperativa Savoia Cinque, impegnata nelle campagne lattiere 2005/2006 e

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vincolo stabile, la struttura organizzativa, il programma di durata

2006/2007: vero è che della prima delle due campagne ora segnalate si occupò anche la
Savoia Sei, ma è da ritenere pacifico che le relative attività si conclusero in data
anteriore al 23 agosto 2006.

Diversamente da quanto sostenuto dalle difese, non vi è

invece sovrapposizione rispetto ai fatti giudicati dalla Corte di appello di Trieste, perché in
quella sede il capo d’imputazione collocava esattamente gli episodi addebitati “dal
01/04/2007 (epoca successiva ai fatti oggetto del procedimento penale della Procura di
Saluzzo) sino alla data di esecuzione del sequestro preventivo, 28/03/2008”;
va considerato peraltro che il trasferimento di sede di Savoia Cinque in provincia di

curata dal consulente tecnico del P.M.), ma non risultano comunque sollevate rituali

questioni di competenza territoriale in tal senso . Residua pertanto un periodo non
coperto dalla causa estintiva, dal 24 agosto 2006 al 31 marzo 2007, in ordine al quale
l’affermazione di penale responsabilità – da riferire ai soggetti appresso indicati – deve
intendersi assumere carattere di definitività. [..].
3.3 Come è evidente dai contenuti sin qui riportati, le questioni riproposte nei ricorsi sono
precluse dalla formazione del giudicato parziale.
4.

I residui motivi di ricorso, proposti dalla sola imputata Maestri Cristina sono

manifestamente infondati.
Non vi è dubbio alcuno circa la «immanenza» dei doppi benefici, già concessi alla Maestri
con la decisione del 2011, atteso che l’unico compito affidato alla Corte di Appello era
quello della rideterminazione in melius (dovuta al parziale annullamento senza rinvio)
della entità della pena. Non vi era, pertanto, alcuna necessità di ribadire, nella decisione
oggi impugnata, punti già decisi e non travolti dalla pronunzia di annullamento senza
rinvio.
Inoltre, la minima entità di aumento per continuazione rende manifestamente infondare
le doglianze sulla entità della pena, essendo stata ampiamente valutata in sede di merito
la limitata entità dell’apporto.
5.

Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue ai sensi dell’art. 616

cod.proc.pen. la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e , in
mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità, la condanna al versamento di una somma di denaro in favore della cassa
delle ammende che stimasi equo determinare in euro 2.000,00 per ciascuno.

12

Pordenone si perfezionò già il 29/03/2006 (come si legge nella relazione a suo tempo

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e ciascuno al versamento della somma di euro duemila in favore della cassa

Così deciso il 31 gennaio 2018

delle ammende.

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