Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19772 del 07/11/2017


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 19772 Anno 2018
Presidente: DI TOMASSI MARIASTEFANIA
Relatore: SIANI VINCENZO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI ANCONA
nel procedimento a carico di:
CHEN YANLUAN nato il 27/01/1983
nel procedimento a carico di quest’ultimo

avverso la sentenza del 25/07/2016 del TRIBUNALE di FERMO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO SIANI
Udito il Pubblico Ministero, in personadel Sostituto Procuratore LUCA TAMPIERI
che ha concluso

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4o,

Il P.G. conclude per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per
intervenuta prescrizione.

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Data Udienza: 07/11/2017

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con sentenza resa il 25 luglio 2016 il Tribunale di Fermo, giudicando, fra
gli altri, Yanluan Chen – imputato del reato di cui all’art. 22, comma 12, d.lgs. n.
286 del 1998, perché in qualità di legale rappresentante del Tomaificio Chen, vi
impiegava Gao Jianqing e Zhang Dongzhu, clandestini in Italia, accertato in
Fermo, il 16 marzo 2010 – ha dichiarato non doversi procedere nei suoi confronti
per essersi il reato estinto per intervenuta prescrizione.

contestato a diverso imputato) come contravvenzione e, preso atto che la sua
consumazione doveva ritenersi contestata con riferimento a tempo limite
coincidente con la data dell’accertamento, ossia al 16 marzo 2010, ha ritenuto
che, essendo trascorso da quel momento un lasso superiore a cinque anni, si
fosse verificata la consumazione del termine massimo di prescrizione del reato,
ai sensi degli artt. 157 e ss. cod. pen.
1.2. Avverso questa sentenza ha proposto ricorso il Procuratore generale
presso la Corte di appello di Ancona chiedendone l’annullamento ed articolando
un solo motivo con cui lamenta violazione di legge, in riferimento agli artt. 157,
160 e 161 cod. pen. ed all’art. 22 d.lgs. n. 286 del 1998: il Tribunale, ritenuto il
reato di occupazione di lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno di
natura contravvenzionale, ne aveva dichiarato la prescrizione avendo constatato
la maturazione di un tempo superiore a cinque anni dalla sua consumazione;
però, questo reato, dopo la modificazione della norma apportata dall’art. 5 d.l.
23 maggio 2008, conv. dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, era punito con la
reclusione da sei mesi e tre anni e con la multa di euro 5.000,00 per ogni
lavoratore indebitamente impiegato, sicché si trattava di delitto.
Di conseguenza il tempo necessario a prescrivere era di anni sei di
reclusione, quanto al termine ordinario, mentre il termine massimo andava
incrementato ad anni sette e mesi sei, così da fissare nella data del 16 settembre
2017 quella in cui sarebbe maturata la prescrizione.
1.3. Il Procuratore generale in sede ha concluso per l’annullamento senza
rinvio della sentenza impugnata, non essendosi all’epoca prescritto il reato, ma
essendo successivamente sopravvenuta la prescrizione.

2. L’impugnazione, nei limiti della questione devoluta, pur fondata su un
rilievo esatto, ha contemplato, a cagione del tempo ulteriormente decorso, il
sopravvenuto venir meno dell’interesse che aveva correttamente mosso la parte
pubblica alla proposizione del mezzo.
2.1. E’ vero, infatti, che il reato oggetto di processo, previsto e sanzionato

2

1.1. Il Tribunale ha qualificato il reato sopra indicato (al pari di altro

all’art. 22, comma 12, d.lgs. n. 286 del 1998, dopo la modificazione della norma
apportata dall’art. 5 d.l. 23 maggio 2008, conv. dalla legge 24 luglio 2008, n.
125, va qualificato come delitto, dal momento che, a seguito della succitata
modificazione, il datore di lavoro che occupa alle proprie dipendenze lavoratori
stranieri privi del permesso di soggiorno previsto dal presente articolo, ovvero il
cui permesso sia scaduto e del quale non sia stato chiesto, nei termini di legge, il
rinnovo, revocato o annullato, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e
con la multa di 5000,00 euro (e non più con l’arresto da tre mesi ad un anno e

Pertanto, trattandosi di delitto, ai sensi dell’art. 157 cod. pen., il tempo
necessario a prescrivere contempla il termine ordinario di anni sei ed, ai sensi
dell’art. 161, cod. pen., il termine massimo di prescrizione risulta pari ad anni
sette e mesi sei.
2.2. Quest’ultimo termine, venendo a scadere (come ha correttamente
rilevato il Procuratore territoriale ricorrente) il 16 settembre 2017, alla data della
pronuncia della sentenza impugnata (25 luglio 2016) non si era affatto consunto,
in tal senso essendo motivato il rilievo proposto con l’impugnazione.
Tuttavia, nelle more dell’udienza in sede di legittimità, fissata all’esito della
ricezione degli atti, avvenuta nel maggio 2017, il termine stesso è ormai elasso,
non risultando sospensioni dello stesso.
2.3. Pertanto, la parte pubblica ricorrente, avendo dedotto esclusivamente la
mancata consunzione del termine di prescrizione, non risulta avere alcun attuale
e concreto interesse alla decisione di merito in quanto il suddetto termine è
comunque maturato nelle more della definizione del processo (Sez. 6, n. 18105
del 13/04/2010, Curcio, Rv. 246920, ha precisato che l’impugnazione in caso
similare si connota per la carenza dell’interesse). Deve, in tal senso, farsi
applicazione del principio secondo cui l’interesse richiesto dall’art. 568, comma
quarto, cod. proc. pen. come condizione di ammissibilità di qualsiasi
impugnazione deve essere concreto, ossia deve mirare a rimuovere l’effettivo
pregiudizio che la parte asserisce di aver subito con il provvedimento impugnato,
e, pertanto, deve persistere sino al momento della decisione (in via generale
Sez. U, n. 7 del 25/06/1997, Chiappetta, Rv. 208165).
Nel caso di specie, la mancata deduzione da parte del ricorrente di ragioni
diverse dall’insussistenza del decorso del termine prescrizione fa sì che – una
volta effettivamente sopravvenuta la corrispondente causa estintiva – non siano
residuate nel devolutum ragioni che abilitino il giudice a ritenere persistente
l’interesse della parte che ha impugnato, allo stesso modo in cui diviene carente
di interesse l’impugnazione con la quale il P.m. deduca profili di carenza
nell’accertamento dei fatti in ordine a pronuncia assolutoria, quando nelle more

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con l’ammenda di 5.000,00 euro) per ogni lavoratore impiegato.

sia intervenuta la causa estintiva della prescrizione del reato, atteso che il mezzo
di impugnazione deve perseguire un risultato, non solo teoricamente corretto,
ma anche praticamente favorevole, dovendo tendere alla tutela di un interesse
concreto, sebbene rispondente ad una ragione esterna al processo, purché
obiettivamente riconoscibile (Sez. 6, n. 16147 del 2/4/2014, Re Mario, Rv.
260121).
2.4. Il ricorso deve essere dichiarato, pertanto, inammissibile per la rilevata
sopravvenienza della carenza di interesse in capo al Procuratore territoriale,

considerazione della natura della parte ricorrente.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse.
Così deciso il 7 novembre 2017
1

senza conseguenze in ordine alle spese, ex art. 616 cod. proc. pen., anzitutto in

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