Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19768 del 08/01/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 19768 Anno 2014
Presidente: FOTI GIACOMO
Relatore: MASSAFRA UMBERTO

Data Udienza: 08/01/2014

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
CARVELLI MARIO N. IL 12/01/1965
avverso la sentenza n. 2622/2012 CORTE APPELLO di MILANO, del
27/11/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. UMBERTO
MASSAFRA;

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Osserva
Ricorre per cassazione il difensore di fiducia di kvelli Mario avverso la sentenza
emessa in data 27.11.2012 dalla Corte di Appello di Milano che in parziale riforma
di quella del Tribunale di Milano del 9.3.2012, rideterminava la pena inflitta al
medesimo per il reato di cui all’art. 116 commi 1 e 13 C.d.S., (guida senza patente
con recidiva) in mesi sei di arresto ed C 6.000,00 di ammenda.
Deduce la violazione di legge ed il vizio motivazionale in ordine alla penale
responsabilità fondata sulle dichiarazioni auto indizianti rese dall’imputato

dubbia valenza probatoria degli atti acquisiti e la violazione di legge in ordine
all’eccessività della pena irrogata e all’omessa concessione delle circostanze
attenuanti generiche.
Il ricorso è inammissibile essendo i motivi addotti manifestamente infondati ed
aspecifici.
Corretta e congrua è la motivazione svolta dal Giudice a quo in ordine a tutti i
punti denunziati: in particolare, quanto alle dichiarazioni autoindizianti, è stato
opportunamente evidenziato come la penale responsabilità sia emersa
precipuamente dal p.v. di constatazione e da quanto percepito personalmente dal
teste operante Maglione.
Sicchè deve anche ritenersi la sostanziale aspecificità delle censure mosse che
hanno riproposto in questa sede pedissequamente le medesime doglianze
rappresentate dinanzi alla Corte territoriale e da quel giudice disattese con
motivazione ampia e congrua, immune da vizi ed assolutamente plausibile.
Ed è stato affermato che “è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su
motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal
giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di
specificità del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità,
come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni
argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento

nell’immediatezza; la violazione di legge ed il vizio motivazionale in relazione alla

dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice
censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591
comma 1 lett. c), all’inammissibilità” (Cass. pen. Sez. IV, 29.3.2000, n. 5191 Rv.
216473 e successive conformi, quale: Sez. II, 15.5.2008 n. 19951, Rv. 240109).
Peraltro, in tema di valutazione dei vari elementi per la concessione delle
attenuanti generiche, ovvero in ordine al giudizio di comparazione e per quanto
riguarda la dosimetria della pena ed i limiti del sindacato di legittimità su detti
punti, la giurisprudenza di questa Corte non solo ammette la c.d. motivazione
implicita (Cass. pen. Sez. VI 22.9.2003 n. 36382 n. 227142) o con formule
sintetiche (tipo “si ritiene congrua” v. Cass. pen. Sez. VI 4.8.1998 n. 9120 rv.
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211583), ma afferma anche che le statuizioni relative al giudizio di comparazione
tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui
all’art. 133 c.p., sono censurabili in cassazione solo quando siano frutto di mero
arbitrio o ragionamento illogico (Cass. pen. Sez. III 16.6. 2004 n. 26908 rv.
229298); e certamente, nel caso di specie, non può sostenersi che la
quantificazione della pena o il diniego delle attenuanti generiche siano frutto di
arbitrio attesa la congrua motivazione addotta dal Giudice a quo sul punto.
Peraltro, in tema di determinazione della misura della pena, il giudice del merito,

criteri indicati nell’art. 133 cod. pen., assolve adeguatamente all’obbligo della
motivazione: tale valutazione, infatti, rientra nella sua discrezionalità e non
postula un’analitica esposizione dei criteri adottati per addivenirvi in concreto (da
ultimo, Cass. pen. Sez. II, del 19.3.2008 n. 12749 Rv. 239754).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616
c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della
somma, che si ritiene equo liquidare in € 1.000,00, in favore della cassa delle
ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della
causa di inammissibilità.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, addì 8.1.2014

con la enunciazione, anche sintetica, dell’eseguita valutazione di uno (o più) dei

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