Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19766 del 22/01/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 19766 Anno 2015
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: GRASSO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LUCENTE MARIA LUISA N. IL 15/12/1958
avverso l’ordinanza n. 13/2012 CORTE APPELLO di POTENZA, del
26/03/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE G
lette/s”-re conclusioni del PG Dott. AgjjAA A4A
LiQP2-13

Udit i dife’ orvv.;

Data Udienza: 22/01/2015

FATTO E DIRITTO

1. Lucente Maria Luisa, a mezzo del proprio difensore, propone ricorso per
cassazione avverso l’ordinanza della Corte di Appello di Potenza, depositata il
26/3/2014, con la quale venne rigettata la sua istanza di riparazione per
l’ingiusta detenzione subita, in regime di custodia cautelare e di arresti
domiciliari, dal 21/6/1994 al 9/10/1995, con l’addebito di aver violato la

2. La Corte territoriale ravvisò la circostanza escludente del diritto alla
riparazione di cui all’art. 314, 1° comma, cod. proc. pen., e cioè di avere
concorso a dare causa all’emissione del provvedimento restrittivo della libertà
personale per colpa grave.

3.

La Lucente, con le due esposte censure chiede l’annullamento

dell’ordinanza impugnata criticando il ragionamento della Corte territoriale,
anche sotto il profilo della violazione di legge.
Il Giudice dell’ingiusta detenzione, errando, aveva investito la ricorrente con un
giudizio di responsabilità, invece smentito dal Giudice del merito, sulla base della
univoca svolta istruttoria. Inoltre, le dichiarazioni del collaboratore di giustizia
Martino Massimo Antonio non avrebbero potuto essere utilizzate in quanto
espunte dal fascicolo dibattimentale. Infine, il provvedimento si colorava di
contraddittorietà per il fatto che nei confronti di altri indagati sottoposti
ingiustamente a misura cautelare nell’àmbito della stessa indagine l’indennizzo
era stato riconosciuto.

3.2. L’Avvocatura Generale dello Stato si costituiva con atto del 5/1/2015
nell’interesse del Ministero dell’Economia e delle Finanze, chiedendo il rigetto del
ricorso.

4. Il ricorso è fondato per quanto appresso.

5.1. La giurisprudenza di legittimità è costantemente orientata nel senso
tracciato dalle Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 34559 del
15.10.2002, secondo la quale in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il
giudice di merito, per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o concorso a darvi
causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo,
tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza
di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o

disciplina sugli stupefacenti, dal quale, poi, era stata assolta.

violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito
motivazione, che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità.
E’ quindi determinante stabilire se la Corte di merito abbia motivato in modo
non contradditorio e logico in ordine alla idoneità della condotta posta in essere
dallo istante ad ingenerare nel giudice che emise il provvedimento restrittivo
della libertà personale il convincimento di un probabile concorso nell’illecito
contestato.
Ovviamente deve trattarsi di condotte la cui fonte non trovi smentita nella

discussione.

5.2. Come a suo tempo chiarito, non potendo l’Ordinamento, nel momento
in cui fa applicazione della regola solidaristica, alla base del diritto al
risarcimento in esame, obliterare il principio di autoresponsabilità che incombe
su tutti i consociati, allorquando interagiscono nella società (trattasi, in fondo,
della regola che trova esplicitazione negli artt. 1227 e 2056, cod. civ.), deve
intendersi idonea ad escludere la sussistenza del diritto all’indennizzo, ai sensi
dell’art. 314 comma 1 c.p.p., non solo la condotta volta alla realizzazione di un
evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali, sia esso confliggente o
meno con una prescrizione di legge, ma anche la condotta consapevole e
volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del procedimento per la riparazione con
il parametro dell’id quod plerumque accidit secondo le regole di esperienza
comunemente accettate, siano tali da creare una situazione di allarme sociale e
di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità,
ragionevolmente ritenuta in pericolo. Poiché inoltre, anche ai fini che qui
interessano, la nozione di colpa è data dall’art. 43 c.p., deve ritenersi ostativa al
riconoscimento del diritto alla riparazione, ai sensi del predetto comma 1 dell’art.
314 c.p.p., quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per
evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di
leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non
voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si
sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o
nella mancata revoca di uno già emesso (in puntuali termini, S.U., 13/12/1995,
n. 43).
A tal riguardo, la colpa grave può concretarsi in comportamenti sia processuali
sia di tipo extraprocessuale, come la grave leggerezza o la rilevante
trascuratezza, tenuti sia anteriormente che successivamente al momento
restrittivo della libertà personale; onde l’applicazione della suddetta disciplina
normativa non può non imporre l’analisi dei comportamenti tenuti

sentenza assolutoria, la quale non può, in alcun modo, essere rimessa in

dall’interessato, anche prima dell’inizio dell’attività investigativa e della relativa
conoscenza, indipendentemente dalla circostanza che tali comportamenti non
integrino reato (anzi, questo è il presupposto, scontato, dell’intervento del
giudice della riparazione) (in puntuali termini, Sez. IV, 16/10/2007, n. 42729).

5.3. La Corte territoriale, nel caso di specie, da quel che si trae dalla
motivazione, piuttosto assiomatica e sommaria, alla ricorrente, qualificata
coniuge e complice di Monti Agostino, contesta condotte, che parrebbero

Trattasi, all’evidenza di argomenti contraddittori ed incongrui, a tratti aventi la
sola mera apparenza del ragionamento giudiziale, che adducono una erronea
interpretazione dell’art. 314, cod. proc. pen.
Peraltro, proprio perché si deve trattare di un fatto esterno alla sfera volitiva del
richiedente l’indennizzo, non può a lui addebitarsi il quadro indiziario in generale,
né, tantonneno, l’attendibilità delle dichiarazioni accusatorie di terzi;
dichiarazioni, queste, che ben possono avere giustificato l’emissione della misura
cautelare e che, tuttavia, non hanno retto al vaglio di merito.
In definitiva, la Corte potentina confonde i piani della decisione che è chiamata a
rendere, che, esclusa ogni rivisitazione del giudizio assolutorio, deve negare
accesso all’indennizzo ove consti che la richiedente abbia, per grave imprudenza,
sciatteria, negligenza o violazione di norme, o, addirittura, per dolo, contribuito
ad ingenerare negli inquirenti il sospetto di colpevolezza (solo a titolo d’esempio,
basti pensare a condotte esibite per mera millanteria; conversazioni, che per il
linguaggio utilizzato corroborino la specifica accusa; omessa collaborazione al
ripristino della verità, ove il soggetto sia portatore di un sapere specifico e
liberatorio; comportamenti di sintomatico evitamento, quali fughe e distruzione
di oggetti che al momento appaiano di rilievo indiziarlo univoco; frequentazioni
immediatamente ricollegabili al fatto di reato addebitato, sulla base di
circostanze puntuali ecc.). La prova di dette condotte, infine, non deve trovare
smentita nella sentenza assolutoria.

5.4. Non ha, invece, fondamento il secondo motivo. Anche a voler
prendere per utilizzabile in questa sede l’affermazione della ricorrente, secondo
la quale in favore di altri indagati sarebbe stato riconosciuto l’indennizzo,
l’evenienza non può avere ripercussioni sulla posizione dalla Lucente per ragioni
più che ovvie, trattandosi di altre vicende soggettive i cui contorni sono del tutto
ignoti.

smentite dalla sentenza assolutoria e delle quali non è dato conoscere aliunde.

5.5. Nel giudizio di rinvio, conseguente all’annullamento dell’ordinanza
impugnata, la Corte territoriale dovrà verificare, sulla base dei principi sopra
enunciati, riscontrati dagli atti processuali, se e quali condotte della ricorrente,
non escluse dalla sentenza assolutoria, abbiano avuto efficacia causale
nell’emissione del provvedimento restrittivo. Condotte, ovviamente, implicanti
violazione di quelle minime regole di cautela il cui rispetto è da attendersi da
tutti i consociati, in base al principio di autoresponsabilità. Ciò significa che in
sede di rinvio dovrà farsi luogo all’approfondita individuazione dei comportamenti

e rimasti non giudizialmente smentiti; infine, alla verifica dell’effetto causale
degli stessi comportamenti sull’irrogazione della misura.

P.Q.M.

Annulla la ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte d’Appello di
Potenza cui demanda il regolamento delle spese tra le parti anche per il presente
giudizio.

Così deciso nel a camera di consiglio del 22/1/2015.

specifici di sospetto messi in atto dalla ricorrente, pur se estranei al fatto di reato

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