Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19753 del 22/01/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 19753 Anno 2015
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) BONFIGLIO CARMELO, N. IL 25.7.1958,
2) CATALANO VINCENZO, N. IL 29.8.1963,
3) DI FINI ANDREA, N. IL 10.9.1986,
4) PATTI MARIO FERDINANDO, N. IL 15.8.1967,
5) SAMPERI GIUSEPPE, N. IL 27.10.1973,
6) SARDO FRANCESCO, N. IL 29.11.1976,
avverso la sentenza n. 3531/2012 pronunciata dalla Corte di Appello di Catania
il 21/3/2013;
udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Salvatore Dovere;
udite le conclusioni del P.G. Dott. C. Destro, che ha chiesto la declaratoria di
inammissibilità dei ricorsi;
uditi i difensori, avv.ti Salvatore Cannata e Dario Polizza Favaloro, per Di Fini
Andrea e Patti Mario Ferdinando; avv. Salvatore La Rosa, per Catalano Vincenzo;
avv. Dario Polizza Favaloro, in sostituzione dell’avv. Maria Lucia D’Anna per
Bonfiglio Carmelo, nonché, in sostituzione dell’avv. Giuseppe Marletta, per
Samperi Giuseppe, i quali hanno chiesto l’accoglimento dei rispettivi ricorsi;

Data Udienza: 22/01/2015

RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Catania ha
parzialmente riformato la pronuncia di condanna emessa nei confronti di
Bonfiglio Carmelo, Catalano Vincenzo, Di Fini Andrea, Di Sarno Eduardo, Ferlito
Lorenzo, Patti Mario Ferdinando, Ragusa Giovanni, Samperi Giuseppe e Sardo
Francesco dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Catania il
4.4.2011.

di due nuclei associativi organizzati per l’attività di trasporto e di spaccio di
sostanze stupefacenti.
Secondo la prospettazione accusatoria il primo (capo A) coinvolgeva il
Bonfiglio, in qualità di promotore, e vedeva partecipi Bonfiglio Orazio, Catania
Francesco, Di Mauro Orazio e Sessa Giovanni (imputati in separato giudizio).
Esso sarebbe stato attivo nel territorio di Catania nell’arco di tempo tra il
novembre 2005 ed il gennaio 2006 ed era finalizzato ai traffico di cocaina.
La seconda organizzazione (descritta al capo E della rubrica) era costituitg)
da Catalano Vincenzo, Di Fini Andrea, Di Sarno Eduardo, Ferlito Lorenzo, Patti
Mario Ferdinando, Ragusa Giovanni e Samperi Giuseppe, nonché da altri soggetti
separatamente giudicati. Tale associazione sarebbe stata attiva nei traffici di
cocaina a partire da data antecedente e prossima al 13.1.2006,m data
dell’arresto in flagranza di reato del Ferlito e del Catalano.
Il Sardo, invece, veniva tratto a giudizio per rispondere di rapina.
Il giudice di primo grado assolveva il Bonfiglio dal reato sub A), mentre lo
giudicava colpevole di concorso nella commissione di una pluralità di reati-fine di
cui all’art. 73 T.U. Stup., perpetrati nel medesimo arco temporale e ambito
territoriale (capo A-bis). La Corte di Appello ha confermato tale giudizio, solo
operando una riduzione della pena inflitta dal Giudice dell’udienza preliminare.
In primo grado la prospettazione accusatoria espressa nel capo E) trovava
conferma nella pronuncia del giudice, salvo che per il Samperi ed il Di Sarno, i
quali venivano mandati assolti per il reato associativo ma non per i reati fine
(capo E-bis).
La Corte di Appello, per contro, ha assolto anche il Ferlito ed il Catalano dal
reato associativo, per non aver commesso il fatto.
In particolare la Corte distrettuale ha ritenuto che non sussistessero
elementi sufficienti a ritenere che il Catalano fosse partecipe dell’associazione
facente capo al Patti, per l’assenza di conoscenze in ordine a quanto accaduto
prima del 13.1.2006 e per l’assenza di riscontri in ordine alla prosecuzione di

2. I giudizi di merito hanno avuto ad oggetto l’esistenza e le attività illecite

significativi rapporti con il menzionato gruppo. Ha invece confermato la
condanna pèr il capo E-bis).
Ha quindi ritenuto – la Corte di Appello – che il Patti avesse dato vita, con il
Ragusa ed il Di Fini (nonché con il Coco, tuttavia mandato assolto dalla Corte di
Appello di Catania all’esito di separato giudizio), assumendo in esso un ruolo
dirigente, ad un sodalizio finalizzato allo smercio al dettaglio di cocaina, attivo in
Catania dal gennaio al marzo 2006. In tale gruppo criminale il Di Fini aveva
spiegato un’attività non occasionale di collaborazione all’esecuzione dei traffici

Il Patti ed il Di Fini, per quel che qui rileva, sono stati condannati anche per
essere concorsi nella commissione dei reati-fine (capo E-bis).
Quanto al Samperi, questi in primo grado era stato ritenuto responsabile dei
reati sub D-bis (anch’esso relativo ad illeciti ex art. 73 T.U. Stup.) ed E-bis. La
Corte di Appello ha ritenuto che lo stupefacente sequestrato il 13.1.2006 al
Ferlito ed al Catalano avesse proprio nel Samperi il destinatario e che questi
fosse stato partecipe delle attività illecite facenti capo Giordano Rosario, Strano
Giuseppe, Zappalà Pietro e Zamnnataro Agatino (capo D-bis); ed ha quindi
confermato integralmente il giudizio di responsabilità, solo correngendo un
ravvisato errore di computo della pena.
Sulla scorta delle descritte valutazioni, e di altre che qui non occorre
rammentare, la Corte di Appello ha rideterminato le pene fissate dal primo
giudice anche per il Patti, il Catalano e per il Samperi, confermando nel resto la
sentenza di primo grado.
Infine, la Corte territoriale ha confermato la condanna pronunciata nei
confronti del Sardo per il concorso nella rapina di 36.000 euro commessa in
danno del Comune di Catania.

3.1. Avverso la menzionata sentenza propone ricorso per cassazione
Bonfiglio Carmelo con atto sottoscritto dal difensore avv. Maria Lucia D’Anna.
Con il primo motivo di ricorso, deduce violazione di legge in ordine alla
affermata infondatezza dell’eccezione di inammissibilità dell’impugnazione
proposta dal P.G. L’esponente rammenta che ai sensi dell’art. 582 cod. proc.
pen. l’impugnazione deve essere depositata nella cancelleria del giudice che ha
emesso il provvedimento impugnato, nella specie il Giudice dell’udienza
preliminare presso il Tribunale di Catania e ne deduce che il P.G. avrebbedovuto
depositare la propria impugnazione presso la cancelleria della Corte di Appello e
non, come accaduto, presso la propria segreteria.

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illeciti.

3.2. Con un secondo motivo si lamenta vizio motivazionale perché dal corpo
del provvedimento emergerebbe che la Corte di Appello non ha dato risposta a
specifiche doglianze difensive.
3.3. Con il terzo motivo si censura la ritenuta sussistenza dell’aggravante di
cui all’art. 80, co. 1 lett. b) T.U. Stup., in relazione all’art. 112 n. 2 cod. pen.
indicando quale vizio della sentenza una omessa motivazione.
3.4. Un quarto motivo denuncia il travisamento dei fatti e l’apparenza della
motivazione. Si assume che il Bonfiglio aveva posto in essere solo il tentativo di

quanto di diverso si trae dalle conversazioni captate frutto di mera vanteria;
tanto emergerebbe da una lettura complessiva e globale delle conversazioni
captate.
Il travisamento dei fatti sarebbe emergente laddove la Corte di Appello non
ha ben interpretato il fatto che il 13 dicembre il Bonfiglio avrebbe acquistato un
chilo di cocaina ed il 15 non sarebbe stato in grado di soddisfare un potenziale
cliente. La diversa interpretazione non sarebbe assistita da reale motivazione.
Inoltre il collaboratore di giustizia Palermo, indicato dai giudici di merito
come fonte di elementi a carico del Bonfiglio, avrebbe dato indicazioni generiche
non valevoli come riscontro.
3.5. Con il quinto motivo si denuncia motivazione apparente in merito alla
mancata concessione delle attenuanti generiche e alla esclusione della recidiva.

4.1. Anche il Catalano propone ricorso per cassazione, a mezzo del difensore
avv. Salvatore La Rosa.
Con un primo motivo lamenta vizio motivazionale per aver la Corte di
Appello ritenuto la responsabilità del prevenuto per i fatti contestatigli al capo Ebis, che vengono indicati come commessi dal 13 gennaio al marzo 2006,
nonostante il Catalano sia stato detenuto a partire dal 13 gennaio 2006 e,
peraltro, sulla scorta di conversazioni tenute il 13 ed il 26 febbraio nonché il 1 ed
il 6 marzo 2006 dal coimputato Patti, inidonee a fare dedurre l’esistenza di fatti
specifici a carico del Catalano.
4.2. Con un secondo motivo lamenta vizio motivazionale per aver la Corte di
Appello contraddittoriamente escluso la recidiva e negato le attenuanti
generiche, peraltro già concesse dal Giudice dell’udienza preliminare con la
sentenza del 24.10.2006 della quale quella qui impugnata rappresenta mera
estensione, stante l’avvenuto riconoscimento della continuazione tra i reati
rispettivamente giudicati.

v
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entrare nell’attività di commercio illecito di sostanza stupefacente, essendo

5.1. Di Fini Andrea propone ricorso per cassazione e con un primo motivo
deduce violazione di legge e vizio motivazionale in relazione alla qualificazione
giuridica dei fatti contestati al capo E). Evidenzia che, secondo la pronuncia,
egli risulterebbe aver partecipato al sodalizio criminoso per un periodo di soli
quindici giorni; rileva che dagli atti non emerge alcuna associazione, ancorché
rudimentale, mancando i presupposti minimi di esistenza previsti dalla legge;
ritiene che al più sia ravvisabile un concorso di persone nel reato; sostiene che
sono proprio le intercettazioni a smentire l’assunto dei giudici e che per la prova

organizzativa nonché l’eventuale contributo stabile e significativo apportato dal
Di Fini alla vita di quella, in uno stretto lasso temporale come quello di quindici
giorni; conclude che la motivazione é manifestamente illogica e contraddittoria,
tenendo presente quanto dalla Corte territoriale asserito per la posizione degli
imputati Ferlito, Catalano e Di Sarno.
5.2. Con un secondo motivo lamenta analoghi vizi in ordine al trattamento
sanzionatorio, che censura come determinato in violazione dell’art. 27 Cost.
perché sproporzionato e non sorretto da adeguata motivazione.
5.3. Con un terzo motivo lamenta vizio motivazionale per non esser stata
data replica alle doglianze rappresentate in entrambi i gradi di giudizio, finendo
la Corte di Appello per ribadire quanto asserito dal primo giudice, senza palesare
il proprio iter logico.

6.1. Con atto sottoscritto dal difensore avv. Salvatore Cannata, il Patti
propone ricorso per cassazione lamentando violazione di legge e vizio
motivazionale in relazione all’affermazione di responsabilità per il delitto di cui
all’art. 74 T.U. Stup. Ad avviso dell’esponente, diversamente da quanto asserito
dalla Corte distrettuale, nelle comunicazioni intercettate non emergono i tre
elementi necessari alla sussistenza dell’associazione criminale, ovvero la
costituzione e la creazione di una struttura permanente, la coscienza e la volontà
di far parte dell’associazione e l’utilizzo costante di mezzi messi a disposizione
dall’organizzazione. Il Patti risulta essere uno spacciatore al dettaglio che tratta
con chi di volta in volta gli fornisce la droga, rimanendo estraneo ai canali di
approvvigionamento; attività condotta in concorso con il Ragusa. I riferimenti
fatti dal Patti all’organizzazione dell’attività, ai possibili guadagni e ai rischi
concernevano possibilità futura, erano espressi in termini ipotetici e sovente
erano frutti di vanteria, essendo il Patti soggetto megalomane, anche per l’uso di
cocaina. Sicchè ad essi non può darsi rilevanza, diversamente da quanto
affermato dalla Corte di Appello.

dell’associazione deve essere dimostrata l’esistenza del vincolo o della struttura

Quanto ai collegamenti con il Di Fini, che con il Ragusa sarebbe stato parte
dell’associazione coinvolgente anche il Patti, l’esponente rileva che si tratta di
figura del tutto estranea alle attività di spaccio e che le conversazioni ed i
contatti con lo stesso risultano giustificati dal rapporto di parentela che corre tra
i due, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte territoriale, che ha peraltro
omesso di considerare i rilievi ora riproposti, che si erano segnalati con l’atto di
appello.
6.2. Con un secondo motivo l’esponente deduce analoghi vizi in relazione

Patti; affermazione della quale non sarebbe dato cogliere il presupposto percorso
logico, sicchè risulterebbe apodittica. Le conversazioni documenterebbero una
posizione paritaria tra i tre partecipi, come del resto logicamente implicato dai
rapporti di parentela correnti con il Di Fini. Anche siffatti rilievi non sono stati
esaminati dalla Corte di Appello.
6.3. Con un terzo motivo si lamenta ancora violazione di legge e vizio
motivazionale in relazione alla mancata affermazione della ricorrenza dell’ipotesi
di cui all’art. 74, co. 6 T.U. Stup., nonostante essa fosse stata richiesta con
l’appello.
6.4. Con un quarto motivo si denuncia vizio motivazionale in relazione al
diniego delle attenuanti generiche e di una pena corrispondente al minimo
edittale. La Corte di Appello non avrebbe esplicato le ragioni del proprio giudizio
e quindi non avrebbe tenuto conto del comportamento processuale dell’imputato
e della sua incensuratezza.
6.5. Con memoria depositata il 19.12.2014 intitolata ‘Memoria difensiva’ e
‘Istanza di modifica della custodia cautelare’ ed altresì con distinte ‘Note
difensive d’udienza’, di identico tenore, l’esponente comunica che i coimputati
del Patti giudicati con rito ordinario sono stati assolti dal reato associativo e
conclude insistendo per l’accoglimento del ricorso.

7.1. Con atto sottoscritto dall’avv. Giuseppe Marletta, Samperi Giuseppe
propone ricorso per cassazione avverso la descritta sentenza di secondo grado
deducendo violazione di legge e vizio motivazionale per esserne stata affermata
la responsabilità sulla base della ‘mera interpretazione soggettiva delle
intercettazioni telefoniche’, il cui contenuto non dimostrerebbe univocamente la
colpevolezza del Samperi per il reato sub E-bis). Rammenta l’esponente che,
preceduti da una telefonata, il Samperi ed il Ferlito si incontrarono in Piazza Eroi
di Ungheria, a Catania, ove i due scambiarono poche battute; dopo dieci minuti
circa il Ferlito venne arrestato unitamente al Catalano. Non si comprende, quindi,
sulla base di quali elementi la Corte di Appello abbia ritenuto che la droga

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all’affermazione della sussistenza del ruolo di organizzatore e di promotore del

rinvenuta al Ferlito e al Catalano fosse destinata al Samperi, essendo peraltro
più logico, in tale ordine di idee, che la droga fosse stata consegnata a
quest’ultimo in occasione dell’incontro nella menzionata piazza. Né sono
ravvisabili elementi di riscontro alla tesi accusatoria nell’intercettazione tra
presenti che coinvolse i fratelli Ferlito, perché per l’esponente l’interpretazione
della conversazione non conduce ai risultati tratti dalla Corte di Appello.
7.2. Anche con riferimento alla motivazione concernente l’affermazione di
responsabilità per il reato sub D-bis, l’esponente rileva che dalle intercettazioni

Samperi, alla cui identificazione come colloquiante, peraltro, si é pervenuti
unicamente sulla base del riconoscimento della voce operato dagli inquirenti.
Aggiunge che in quelle conversazioni non si fa riferimento esplicito – diretto o
indiretto – a sostanze stupefacenti e che affermare – come fa la Corte territoriale
– che i conversanti abbiano fatto ricorso ad un codice convenzionale risulta una
forzatura, mancando gli elementi che caratterizzano quest’ultimo (uso di un
identico riferimento per indicare l’oggetto illecito, ripetersi di termine chiave,
inverosimiglianza del discorso complessivo se non considerato il significato
nascosto).
7.3. A mezzo del difensore, avv. Luigi Francesco Cuscunà, con separato atto
di ricorso recante un unico motivo, il Samperi lamenta ancora l’eccessività della
pena, tenuto conto che l’affermazione di responsabilità attiene a due soli episodi
di spaccio, nei quali il ricorrente ha reso un contributo non determinante. Il
giudice avrebbe dovuto partire dal minimo edittale e contenere l’aumento per la
continuazione.

8.

Con unico motivo Sardo Francesco lamenta vizio motivazionale in

relazione al trattamento sanzionatorio, per aver la Corte di Appello sostenuto che
la confessione resa dall’imputato non fosse rappresentativa di effettiva
resipiscenza invece di apprezzare positivamente il comportamento processuale
dell’imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
9. BONFIGLIO CARMELO
9.1. Il primo motivo di ricorso é manifestamente infondato. Come già
rammentato dall’esponente medesimo, ai sensi dell’art. 582 cod. proc. pen.
l’impugnazione deve essere depositata nella cancelleria del giudice che ha
emesso il provvedimento impugnato, nella specie il Giudice dell’udienza
preliminare presso il Tribunale di Catania. Risulta quindi erronea l’affermazione
del ricorrente per la quale l’impugnazione del P.G. doveva essere depositata
presso la cancelleria della Corte di Appello.

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richiamate al riguardo non si trae certezza della partecipazione ad esse del

Ma quel che davvero rileva é che la Corte di Appello ha preso in esame
l’eccezione difensiva rigettandola, avendo rinvenuto copia dell’impugnazione del
P.G. sulla qu’ale era apposto il timbro dell’ufficio del giudice che aveva emesso la
sentenza, ovvero il Giudice dell’udienza preliminare. Con tale puntualizzazione il
ricorso neppure si confronta.
9.2. Il secondo motivo é per contro aspecifico. Si lamenta che la Corte di
Appello abbia omesso di prendere in considerazione e di rendere esplicita con
idonea motivazione la valutazione delle puntuali doglianze difensive. Tuttavia,

dei principi in tema di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, in nessun
passo si indica quali siano tali doglianze, né in che misura esse risultassero
decisive; o in che modo l’ampia trattazione della posizione del Bonfiglio fatta
dalla Corte distrettuale non dia vita ad una motivazione che risponda anche alle
asserite specifiche doglianze.
La necessità della specificità del motivo di ricorso sorge dalla espressa
previsione dell’art. 581, co. 1 lett. c) cod. proc. pen., a mente del quale
l’impugnazione deve enunciare, tra gli altri, “i motivi, con l’indicazione specifica
delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta”.
L’art. 591, co. 1, lett. c) cod. proc. pen., commina la sanzione
dell’inammissibilità dell’impugnazione quando venga violato, tra gli altri, il
disposto dell’art. 581 cod. proc. pen.
D’altro canto, la giurisprudenza di legittimità statuisce che é congrua la
motivazione della sentenza di appello ove il giudice abbia confutato gli argomenti
che costituiscono l’ossatura dello schema difensivo dell’imputato, non essendo
necessario fornire risposta ‘una per una’ a tutte le deduzioni difensive della parte
ed essendo .ammissibile richiamare alcuni passaggi dell’iter argomentativo della
decisione di primo grado, in guisa da rendere evidente che tali motivazioni
corrispondano anche alla propria soluzione alle questioni prospettate dalla parte
(in tal senso, Sez. 6, n. 1307 del 26/09/2002 – dep. 14/01/2003, Delvai S, Rv.
223061).
Pertanto, il difetto di motivazione, quale causa di nullità della sentenza, non
può essere ravvisato sulla base di una critica frammentaria dei singoli punti di
essa, costituendo la pronuncia un tutto coerente ed organico, per cui, ai fini del
controllo critico sulla sussistenza di una valida motivazione, ogni punto di essa
va posto in relazione agli altri, potendo la ragione di una determinata statuizione
anche risultare da altri punti della sentenza ai quali sia stato fatto richiamo, sia
pure implicito (Sez. 4, n. 4491 del 17/10/2012 – dep. 29/01/2013, Pg in proc.
Spezzacaten’a e altri, Rv. 255096). Risulta evidente, quindi, che il motivo che

nonostante il motivo venga articolato per tre pagine attraverso una trattazione

lamenti l’omessa motivazione deve offrire indicazioni puntuali che permettano di
svolgere il sindacato di legittimità secondo le direttrici appena rammentate.
9.3. Il terzo motivo é manifestamente infondato. La Corte di Appello ha
fatto riferimento ad un ben nutrito quadro circostanziale, indicando con
puntualità le conversazioni telefoniche dalle quali emergeva che l’imputato si
avvaleva della collaborazione di una pluralità di soggetti, ai quali impartiva
specifiche direttive in ordine alla qualità della sostanza stupefacente da porre in
vendita, al relativo prezzo da praticare agli acquirenti, alle modalità di

(cfr. pg . 14 e 15). Il fatto che tali attività siano state svolte anche – ma non solo
– nei confronti del figlio, nulla toglie alla fondatezza della valutazione operata
dalla Corte distrettuale, dal momento che é evidente che la posizione di dirigenza
può ben trovare anche nel rapporto parentale la propria fonte, essendo rilevante,
ai fini del maggior rimprovero penale, unicamente la posizione di primazia
assunta all’interno del sodalizio, la quale – diversamente da quanto assunto
dall’esponente – non richiede in nessun caso una condizione di assoggettamento,
diverso essendo il rapporto di direzione da quello di asservimento. Peraltro, sono
le diverse aggravanti di cui all’art. 112, nn. 3 e 4 cod. pen. a richiedere che “il
maggiorenne determini o tolleri un’influenza nella formazione della volontà del
minore tale da ingenerare suggestione, esaltazione o passionalità emotiva, di
intensità tale da superare la semplice volontà di partecipare al fatto tipico (Sez.
6, n. 7568 del 30/01/1990 – dep. 30/05/1990, Petrucci, Rv. 184472).
9.4. Il quarto motivo é parimenti aspecifico.
Ciò in quanto esso ripropone l’assunto della vanteria del Bonfiglio senza
tener conto della replica che alla medesima affermazione ha espresso la Corte di
Appello, la quale ha ritenuto che il rilievo imperniato sul richiamo delle sole due
telefonate del 13 e del 15 dicembre tradisse un esame parziale della pluralità di
elementi accusatori acquisiti: le dichiarazioni del Palermo che indicavano il
Bonfiglio quale soggetto da tempo inserito nel settore del commercio di droga,
operante nel gruppo di Di Mauro Riccardo Romano del clan Pillera, riscontrate da
numerose conversazioni captate; la concretezza del programma di spaccio
emergente dalle conversazioni (si cita quella del 17.12.2005, quella del 18
dicembre 2005, quelle tra il 18 ed il 21 dicembre, anche nei passaggi essenziali),
evidenziando come peraltro la contraddizione tra i contenuti delle telefonate del
13 e del 15 ‘dicembre fosse solo apparente perché dalla prima non emerge che il
Bonfiglio avesse la disponibilità di un chilo di cocaina, sicchè non vi é alcuna
discrasia con la successiva manifestazione di impossibilità di eseguire una
fornitura ad un potenziale cliente.

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confezionamento e di taglio, e svolgeva un controllo diretto dell’attività criminosa

Aspecifico é poi il rilievo che investe le dichiarazioni del Palermo, non
essendo data alcuna indicazione dei contenuti asseritamente generici di quelle.
9.5. Anche il quinto motivo é aspecifico in quanto si limita all’enunciazione
della tipologia del vizio, omettendo di esplicare perché fosse apparente la
motivazione resa dalla Corte di Appello, che ha negato le attenuanti generiche in
quanto non sufficiente allo scopo lo stato di tossicodipendenza, che non aveva
precluso la commissione dei delitti, e non risultando elementi che potessero
giustificare la concessione della attenuante; ed ha altresì affermato la recidiva in

Bonfiglio altre condanne per fatti gravi entro cinque anni, con manifestazione di
particolare intensità del dolo e della indisponibilità all’emenda.

10. CATALANO VINCENZO
10.1. In ordine al primo motivo va rilevato che, diversamente da quanto
sostenuto dall’esponente, la contestazione non indica l’arco temporale dal 13
gennaio al marzo 2006 come tempo di consumazione dei reati bensì come
collocazione cronologica delle conversazioni — tra terze persone – dalle quali si
trae la prova che il Catalano aveva commesso una pluralità di reati in epoca
anteriore e prossima al 13.1.2006, data nella quale venne arrestato con il Ferlito
perché trovato in possesso di 3,770 kg. di cocaina, parte della quale da cedersi
al Samperi. Pertanto, che il Catalano si trovasse detenuto dopo il 13 gennaio é
circostanza •irrilevante. In effetti, la Corte di Appello ha tratto da alcune
conversazioni del Patti con soggetti diversi dal Catalano motivo per affermare
che l’odierno prevenuto aveva svolto più volte il ruolo di trasportatore della
droga, sfruttando la propria appartenenza all’Arma dei Carabinieri per eludere i
controlli di polizia; conversazioni che vengono riportate nei passaggi essenziali.
Orbene, l’interpretazione del linguaggio e del contenuto delle conversazioni
costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, che
si sottrae al sindacato di legittimità se motivata in conformità ai criteri della
logica e delle massime di esperienza (Sez. 6, n. 11794 del 11/02/2013 – dep.
12/03/2013, Melfi, Rv. 254439). Nel caso che occupa, in specie nella
conversazione del 13.2.1006, progr. 43, il Patti si riferiva al Catalano asserendo
che questi “se la caricava nella macchina … e arrivava a Catania …”. Va quindi
escluso che ‘la valutazione della Corte distrettuale sia in contrasto con le regole
della logica e con le massime di esperienza evocabili nella fattispecie.
10.2. Il secondo motivo é infondato. Non vi é alcuna contraddittorietà tra la
esclusione della recidiva (per la scarsa rilevanza dei precedenti penali) e la
negazione delle attenuanti generiche (per la particolare gravità dei fatti, anche
perché commessi strumentalizzando la qualifica di carabiniere), atteso che esse

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forza dell’avvenuta consumazione delle attività delittuose dopo aver riportato il

riposano su presupposti differenti. L’esistenza di precedenti penali specifici può
rilevare ai fini del diniego della concessione delle circostanze attenuanti
generiche e dei benefici di legge anche quando il giudice, sulla base di una
valutazione complessiva del fatto oggetto del giudizio e della personalità
dell’imputato, esclude che la reiterazione delle condotte denoti la presenza di
uno spessore criminologico tale da giustificare l’applicazione della recidiva (Sez.
6, n. 38780 ,del 17/06/2014 – dep. 23/09/2014, Morabito, Rv. 260460).
Quanto al secondo aspetto evidenziato con il ricorso, l’accertamento del

è intervenuta condanna con sentenza irrevocabile richiede al giudice la sola
applicazione dell’aumento dovuto per la continuazione, mentre non possono
essere applicate le circostanze attenuanti, il cui riconoscimento richiede l’esame
dell’intera condotta antigiuridica del reo, ivi inclusa quella già considerata dal
precedente giudicato, ostandovi la “res iudicata” (Sez. 5, n. 2907 del
23/10/2013 – dep. 22/01/2014, Camnnarota e altri, Rv. 258462). Pertanto, al di
là della motivazione resa sul punto dalla Corte di Appello, risulta corretta la
mancata concessione delle attenuanti generiche, a nulla rilevando che esse siano
state o meno concesse in relazione al reato più grave giudicato con pronuncia del
24.10.2006; emessa in diverso procedimento.

11. DI FINI ANDREA E PATTI MARIO FERDINANDO
11.1. I ricorsi proposti nell’interessiLdei menzionati prevenuti possono essere
trattati unitariamente, ancorché non possano mancare notazioni caratteristiche
delle diverse posizioni.
Quanto al Patti, il ricorso é infondato.
Il Patti é stato giudicato e condannato per aver fatto parte con ruolo di
preminenza di un’associazione qualificata costituita da tutti gli odierni ricorrenti
ed altresì da Litteri Rosario, Coco Carmelo, Mineo Luigi, Ferlito Antonio e Ferlito
Giuseppe, per i quali si é proceduto separatamente. Come índicato
dall’esponente, nei confronti del Litteri e del Coco, che erano stati indicati, il
primo come. stabile fornitore, il secondo come avente compiti di curare il
confezionamento della sostanza, si é affermato che essi non hanno commesso il
fatto; il che lascia impregiudicata la questione della sussistenza dell’associazione,
sia pure non contemplante i predetti (e nemmeno i Ferlito, anch’essi mandati
assolti).
In effetti, la sentenza impugnata identifica un nucleo costituito dal Patti, dal
Ragusa e dal Di Fini, che ha dato vita ad un sodalizio finalizzato alla esecuzione
di un numero indeterminato di acquisti e di cessioni di sostanza stupefacente
(l’associazione contestata al capo E).

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vincolo della continuazione tra il reato giudicato ed altro precedente per il quale

Le censure difensive quindi non colgono il segno quando rappresentano un
effetto riflesso della pronuncia di assoluzione dei coimputati, giudicati
congiuntamente o separatamente, poiché si tratta di posizioni estranee al nucleo
associativo costituito dal Patti, dal Ragusa e dal Di Fini.
In ordine all’esistenza di tale sodalizio le affermazioni operate dalla Corte di
Appello appaiono del tutto corrette sul piano giuridico e prive di vizi logici sul
piano motivazionale.
L’esistenza del sodalizio é stata tratta dallo stabile rapporto — specificamente

di una serie indeterminata di illeciti in materia di stupefacenti. Il contenuto delle
conversazioni intercettate dagli inquirenti, che la Corte di Appello riporta nei
passaggi maggiormente rilevanti, risulta valutato senza alcuna manifesta
illogicità, sicthè non può che confermarsi l’esito di quella valutazione.
La stessa difesa non contesta la relazione illecita tra il Patti ed il Ragusa,
asserendo tuttavia che essa rimanda alla figura del concorso di persone nel
reato; ma che essa fosse occasionale o funzionale all’esecuzione di un medesimo
disegno criminoso é stato motivatamente escluso dalla Corte distrettuale
laddove ha posto in rilievo gli elementi che dimostrano l’esistenza del sodalizio,
perché denunciano il concordato programma criminoso: si tratta della fissazione
dell’obiettivo di vendere duecento grammi di stupefacente a settimana ed
eventualmente anche di più ove richiesto dal mercato. Il giudizio della Corte di
Appello é in linea con l’insegnamento di questa Corte secondo il quale l’elemento
distintivo tra il delitto di associazione per delinquere e il concorso di persone nel
reato continuato, è individuabile nel carattere dell’accordo criminoso, che nel
concorso si . concretizza in via meramente occasionale ed accidentale, essendo
diretto alla commissione di uno o più reati – anche nell’ambito di un medesimo
disegno criminoso – con la realizzazione dei quali si esaurisce l’accordo e cessa
ogni motivo di allarme sociale, mentre nel reato associativo risulta diretto
all’attuazione di un più vasto programma criminoso, per la commissione di una
serie indeterminata di delitti, con la permanenza di un vincolo associativo tra i
partecipanti, anche indipendentemente e al di fuori dell’effettiva commissione dei
singoli reati programmati (Sez. 5, n. 42635 del 04/10/2004 – dep. 03/11/2004,
Collodo ed altri, Rv. 229906). Non risultando manifestamente illogico o in
contrasto con le risultanze processuali il giudizio di merito espresso dalla Corte
territoriale in ordine alla valenza della programmazione di una indistinta serie di
reati in forma comunitaria, la motivazione sul punto é immune da censure
formulabili in sede di legittimità.
Quanto alla scissione tra quanto emergente dalle conversazioni e la realtà
dei fatti, per una asserita megalomania del Patti, la valutazione operata dalla

12

avente ad oggetto i traffici illeciti — costituito tra i tre menzionati per l’esecuzione

Corte di Appello non appare censurabile in questa sede, nella quale la tesi
difensiva é stata riproposta senza alcuna fondazione in materiali di prova
acquisiti e non esaminati o malamente interpretati dalla Corte distrettuale.
11.2. Anche il ruolo preminente del Patti é stato doviziosamente dimostrato
dalla Corte di Appello, che ha riportato le conversazioni nelle quali il Ragusa ed il
Di Fini riconoscono tale ruolo e lo connettono a specifiche circostanze fattuali.
11.3. In merito alla mancata qualificazione dei fatti alla stregua della
previsione di cui all’art. 74, co. 6 T.U. Stup. la Corte di Appello ha escluso che si

per ragioni non tutte fondate. Infatti, evocare la forma organizzata e l’abitualità
della condotta illecita in chiave ostativa contraddice la stessa previsione di legge,
che ammette la coesistenza di struttura organizzata e minima offensività dei
reati-scopo. Ma il giudizio conclusivo é comunque non censurabile in questa sede
poiché il Collegio territoriale ha anche richiamato la circostanza dell’aver ad
oggetto – il traffico illecito – quantitativi non ingenti ma comunque non esigui di
sostanza stupefacente. Si tratta di corretta applicazione del dato normativo,
posto chel dato ponderale può assumere rilievo prevalente, ai fini del giudizio
sulla sussistenza della circostanza attenuante del fatto di lieve entità, rispetto
agli altri elementi indicati dall’art. 73, comma quinto, d.P.R. n. 309 del 1990
(Sez. 4, n. 39273 del 25/09/2008 – dep. 20/10/2008, Lo Presti, Rv. 241987).
11.4. Aspecifico é poi il motivo elevato in relazione al diniego delle
attenuanti generiche; motivo che lamenta la mancata considerazione del
comportamento processuale dell’imputato e la sua incensuratezza. Giova
rammentare che nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti
generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli
elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è
sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque
rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 6,
n. 34364 del 16/06/2010 – dep. 23/09/2010, Giovane e altri, Rv. 248244). Nella
specie la Corte di Appello ha indicato la particolare gravità delle condotte, con
l’esplicitazione degli elementi che vanno a costituirla, e l’assenza di elementi in
grado di compensare e sovvertire l’incidenza della gravità dei fatti sulla entità
della pena.
11.5. In relazione al Di Fini, la Corte di Appello ha sorretto il proprio
convincimento con ampia analisi dei materiali probatori disponibili, mettendo in
evidenza come anche il Di Fini fosse stato partecipe a quella conversazione (la n.
249 dell’8.3.2006) nella quale i tre resero esplicito il futuro programma
criminoso da realizzare. La circostanza della brevità dell’arco temporale entro il
quale il Di Fini compare sulla scena non é di per sé incompatibile con la

13

trattasse di sodalizio costituito per la commissione di illeciti di scarsa offensività

commissione del reato in parola, il quale si perfeziona con la costituzione di una
sia pur minima struttura organizzativa (in tal senso la più recente e maggioritaria
giurisprudenza di legittimità: per tutte, Sez. 2, n. 20451 del 03/04/2013 – dep.
13/05/2013, Ciarannitaro e altri, Rv. 256054, ad avviso della quale ai fini della
configurabilità del delitto di associazione per delinquere, è necessaria la
predisposizione di un’organizzazione strutturale, sia pure minima, di uomini e
mezzi, funzionale alla realizzazione di una serie indeterminata di delitti, nella
consapevolezza, da parte di singoli associati, dì far parte di un sodalizio durevole

criminoso comune). Orbene, la sentenza impugnata perviene ad accertare i ruoli
rispettivamente assunti dal Patti, dal Ragusa e dal Di Fini, l’esistenza di una
interna gerarchia, la fissazione di obiettivi di vendita, la disponibilità di droga.
Quanto alle statuizioni che hanno riguardato le posizioni del Ferlìto, del
Catalano e del Sardo, quanto ritenuto a loro riguardo dalla Corte di Appello non
assume alcun valore per il Di Fini, al quale é stato attribuito di aver preso parte
ad un sodalizio costituito con il Patti ed il Ragusa.
11.6. Il secondo ed il terzo motivo sono inammissibili.
Il motivo di impugnazione limitato alla doglianza che la pena inflitta risulta
eccessiva e sproporzionata non può considerarsi specifico ai sensi dell’art. 581
cod. proc. pen. in quanto non precisa le ragioni per le quali si ritiene che la
decisione dei giudici di appello in tale punto sia in contrasto con norme di legge,
nonostante la sanzione finale sia stata determinata a partire da una pena base
fissata nel minimo edittale e siano state concesse le attenuanti generiche, non
applicate nella massima estensione per ragioni puntualmente esplicitate dalla
Corte di Appello.
Parimenti aspecifico é il terzo motivo, che non indica quali rilievi avanzati
con l’appello non siano stati analizzati dalla Corte distrettuale e neppure ne
dimostra la decisività ai fini del giudizio.

SAMPERI GIUSEPPE
12.1. Il primo motivo é inammissibile perché aspecifico. In tema di ricorso
per cassazione, infatti, í motivi devono ritenersi generici non solo quando
risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della
necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento
impugnato (ex multis, Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013 – dep. 26/06/2013,
Sannmarco, Rv. 255568).
Ebbene, i rilievi mossi con il ricorso sono già stati prospettati alla Corte di
Appello, che li ha disattesi con motivazione analitica e compiuta, nella quale,

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e di essere disponibili ad operare nel tempo per l’attuazione del programma

peraltro, si rilevava la frammentarietà della lettura degli atti operata dalla difesa
e la omessa considerazione di elementi pure di sicura rilevanza.
A fronte di ciò il ricorso mantiene inalterata la struttura dell’atto di appello,
omettendo di prendere in esame e di discutere criticamente le argomentazioni
che la Corte di Appello ha esposto in replica al gravame. In estrema sintesi, la
valutazione degli elementi di prova operata dalla Corte di Appello in relazione al
reato sub E-bis pone in evidenza non solo l’esistenza di una telefonata tra il
Samperi ed il Ferlito anteriore all’incontro in Piazza Eroi di Ungheria ma

sicura fissazione di un successivo appuntamento tra i due in Piazza Pio X, come
dimostrato dal fatto che il Ferlito ivi giunto scese dal proprio veicolo recando in
mano lo stupefacente e dalle successive telefonate del Samperi, che fanno
emergere la diretta riferibilità al medesimo della mancata consegna. Inoltre, la
Corte di Appello ha evidenziato anche il convergente significato delle
conversazioni oggetto di captazione all’interno del carcere ove il Ferlito era
detenuto; significato al quale il ricorrente ha semplicemente opposto una propria
e divergente interpretazione.
Va quindi rammentato che in materia di intercettazioni telefoniche,
costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di
merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui
apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti
della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono
recepite (Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013 – dep. 21/08/2013, Vecchio e altri,
Rv. 257784). Fuori da tale ipotesi, solo ove ricorra un travisamento della prova,
ovvero quando il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo
difforme da quello reale, è possibile prospettare una diversa interpretazione del
significato dì una intercettazione, e sempre che la difformità risulti decisiva ed
incontestabile (Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013 – dep. 17/02/2014, Napoleoni e
altri, Rv. 259516).
Né l’una né l’altra ipotesi ricorre nel caso di specie.
12.2. Quanto al motivo che investe l’affermazione di responsabilità per il
capo D-bis, esso é infondato. E’ ben possibile che l’identificazione del
conversante avvenga sulla base del riconoscimento della voce fatto dagli
ascoltatori; né il ricorrente indica per quale motivo nel caso di specie tale
riconoscimento non sia attendibile. Valga rammentare che ai fini
dell’identificazione degli interlocutori coinvolti in conversazioni intercettate, il
giudice ben può utilizzare le dichiarazioni degli ufficiali e agenti di polizia
giudiziaria che abbiano asserito di aver riconosciuto le voci di taluni imputati,
così come qualsiasi altra circostanza o elemento che suffraghi detto

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l’esistenza di una pluralità di contatti telefonici precedenti a tale incontro e la

riconoscimento, incombendo sulla parte che lo contesti l’onere di allegare
oggettivi elementi sintomatici di segno contrario (Sez. 6, n. 13085 del
03/10/2013 – dep. 20/03/2014, Amato e altri, Rv. 259478).
Per le censure che attengono all’interpretazione delle conversazioni deve
essere richiamato quanto appena espresso al punto 12.1.; deve aggiungersi che
la Corte di Appello ha esplicitato le ragioni per le quali ha ritenuto che il
linguaggio utilizzato dai parlanti nascondesse un significato diverso da quello che
voleva essere reso palese, evidenziando con puntualità i singoli passaggi delle

complessivo del discorso (cfr., pg. 52 e s.). Rilievi che l’esponente non ha preso
in alcuna considerazione nel formulare le proprie doglianze.
12.3. Infine inammissibile é anche il motivo concernente il trattamento
sanzionatorio. In linea generale va rilevato come la Corte di Appello abbia
ampiamente e correttamente motivato in ordine al diniego delle attenuanti
generiche e alla mancata qualificazione dei fatti alla stregua della previsione di
cui all’art. 73, co. 5 T.U. Stup. (giudizi sui quali non vi é censura). Quanto alla
determinazione della misura della pena base la Corte distrettuale ha rimarcato
come il primo giudice avesse già inflitto una pena di poco superiore al minimo
edittale (anni sette di reclusione ed euro 30.000,00 di multa), giudicando congrui
la medesima e gli ulteriori aumenti (ex art. 73, co. 6 T.U. Stup. e ex art. 81 cod.
pen.), pervenendo comunque a rettificare il computo fatto in primo grado,
avendo ravvisato in esso un errore quanto all’ordine di applicazione degli
aumenti. .
Il motivo proposto, quindi, non é consentito. Ed infatti, la graduazione della
pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le
circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di
merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi
enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen. E’ quindi inammissibile la censura che,
nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della
pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento
illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013
– dep. 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142).

13. SARDO FRANCESCO
Il ricorso proposto nell’interesse del Sardo é inammissibile siccome
aspecifico. Invero, a fronte della motivazione resa dalla Corte di Appello in
merito all’incidenza sulla pena del comportamento processuale dell’imputato
(confessione dei fatti), l’esponente asserisce apoditticamente che quel
comportamento avrebbe dovuto essere apprezzato positivamente, senza

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conversazioni nei quali si manifestava la incoerenza tra termini usati e senso

neppure indicare le ragioni per le quali il giudizio del Collegio territoriale, per il
quale la confessione resa non é significativa di una resipiscenza, non
corrisponderebbe alla realtà dei fatti o sia in contrasto con norme di legge. Giova
rammentare, al proposito, che per la giurisprudenza di questa Corte è legittimo il
diniego delle attenuanti generiche motivato con la esplicita valorizzazione
negativa dell’ammissione di colpevolezza laddove quest’ultima sia stata dettata
non da effettiva resipiscenza ma da intento utilitaristico (Sez. 6, n. 11732 del
27/01/2012,- dep. 28/03/2012, Di Lauro e altri, Rv. 252229); altrettanto deve

14. In conclusione, vanno dichiarati inammissibili i ricorsi di Bonfiglio
Carmelo e di Sardo Francesco, che vanno condannati al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1000,00 ciascuno a favore della cassa delle
ammende. Vanno invece rigettati i ricorsi di Patti Mario Ferdinando, Di Fini
Andrea, Catalano Vincenzo e Samperi Giuseppe, che vanno condannati al
pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta i ricorsi di Patti Mario Ferdinando, Di Fini Andrea, Catalano Vincenzo e
Sannperi Giuseppe.
Dichiara inammissibili i ricorsi di Sardo Francesco e Bonfiglio Carmelo.
Condanna tutti i predetti ricorrenti al pagamento delle spese processuali e
condanna inoltre il Sardo ed il Bonfiglio a versare alla cassa delle ammende la
somma di euro 1000,00 ciascuno.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 22/1/2015.

ritenersi con riguardo alla misura della pena.

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