Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19737 del 21/03/2018


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 19737 Anno 2018
Presidente: DAVIGO PIERCAMILLO
Relatore: DE SANTIS ANNA MARIA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da
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8)

PADOVANO ANGELO n. a Gallipoli il 25/8/1989
PARLANGELI ROBERTO n. a Copertino il 15/2/1977
CARDELLINI GABRIELE n. a Gallipoli il 20/7/1984
FORTUNATO ALESSIO n. a S. Pietro Vernotico il 19/9/1983
PALAZZO SERGIO n. a Lecce 22/1/1980
OLTREMARINI ROSARIO n. a Gallipoli 1’11/4/1968
NATALI CARMELO n. a Gallipoli il 15/7/1974
PELLE’ GABRIELE n. a Lecce il 28/2/1977

avverso la sentenza resa dalla Corte d’Appello di Lecce il 21/4/2017
– visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi;
– Udita nell’udienza pubblica del 21/3/2018 la relazione fatta dal Consigliere Anna Maria De
Santis;
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, dott., che ha concluso per il rigetto dei
ricorsi proposti da Padovano, Parlangeli e Natali; per l’inammissibilità del ricorso del
Fortunato; per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata per la posizione di
Oltremarini Rosario con riferimento all’aggravante di cui all’art. 7 D.L. 152/91 e per la
posizione di Pellè Gabriele quanto al calcolo della pena; per l’annullamento senza rinvio con
riguardo alla posizione del Palazzo con rideterminazione della pena in anni tre di reclusione ed
euro 12mila di multa; per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata in relazione
alla posizione del Cardellini con riguardo alla condanna alle spese e per l’ inammissibilità nel
resto.
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Data Udienza: 21/03/2018

Uditi i difensori, Avv. Gabriele Valentini per Pellè Gabriele,Avv. Enrico Grosso per Cardellini
Gabriele, Avv. Ladislao Massari per Padovano, Parlangeli, Cardellini nonché quale sostituto
processuale dell’Avv. Rocco Luigi Corvaglia per Cardellini e Oltremarini, dell’Avv. Stefano
Prontera per Fortunato Alessio, i quali hanno illustrato i motivi, chiedendone l’accoglimento
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza resa in data 11/12/2015 in esito a giudizio abbreviato il Gup del Tribunale di

a) Padovano Angelo in ordine ai delitti ascrittigli ai capi A),B),C),E),F) ed R) della rubrica e,
ritenuta la continuazione ed applicata la diminuente per il rito, lo condannava alla pena di anni
dieci e mesi sei di reclusione;
b) Parlangeli Roberto in relazione ai reati ascrittigli ai capi A),B),C),D)F),0) ed R) e, ritenuta la
continuazione, esclusa la recidiva ed applicata la diminuente per la scelta del rito, lo
condannava alla pena di anni undici di reclusione;
c)Cardellini Gabriele in ordine ai reati ascrittigli ai capi M) e G) ( esclusi i fatti di cui ai punti
3,13 e 14) e, ritenuta la continuazione, esclusa la recidiva, con la diminuente per il rito , lo
condannava alla pena di anni otto di reclusione ed euro 60mila di multa;
d) Natali Carmelo in relazione al reato ascrittogli sub F), esclusa l’aggravante di cui all’art. 628
comma 3 n. 3 cod.pen. e la contestata recidiva, applicata la diminuente per il rito, lo
condannava alla pena di anni sei di reclusione ed euro 5.000,00 di multa;
e) Oltremarini Rosario in relazione al reato ascrittogli al capo P), limitatamente all’episodio del
2/7/2014, ed esclusa l’aggravante ex art. 628 comma 3 n. 3 cod.pen., applicata la diminuente
per il rito , lo condannava alla pena di anni cinque, mesi quattro di reclusione ed euro 5.000,00
di multa;
f) Fortunato Alessio in relazione al delitto ascrittogli al capo N) e con la contestata recidiva,
applicata la diminuente per il rito, lo condannava alla pena di anni tre di reclusione ed euro
10mila di multa;
g) Palazzo Sergio del reato ascritto al capo N) e con la contestata recidiva, operata la
riduzione per il rito, lo condannava ad anni tre, mesi sei di reclusione ed euro 12mila di multa;
h) Pellè Gabriele in relazione ai reati di cui ai capi O) e P) ( con esclusione dell’episodio del
2/7/2014) e, esclusa l’aggravante ex art. 628 comma 3 n. 3 cod.pen., ritenuta la continuazione
ed applicata la diminuente per la scelta del rito, lo condannava alla pena di anni sei di
reclusione ed euro 800,00 di multa.
La Corte d’Appello di Lecce confermava integralmente le statuizioni di primo grado con riguardo
alle posizioni di Padovano, Parlangeli, Cardellini, Fortunato, Palazzo e Natali;riqualificava
l’ipotesi estorsiva ascritta al capo P) come tentata e riduceva conseguentemente la pena inflitta
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Lecce dichiarava la penale responsabilità di

a Oltremarini Rosario ad anni tre, mesi sei, gg venti di reclusione ed euro 3.200,00 di multa, a
Pelle Gabriele ad anni cinque, mesi otto di reclusione ed euro 7.200,00 di multa.
2. Hanno proposto ricorso per Cassazione gli imputati a mezzo dei rispettivi difensori,
deducendo :
Padovano Angelo e Parlangeli Roberto con l’Avv. Ladislao Massari
2.1 la violazione dell’art. 146 bis disp.att. cod.proc.pen. e la motivazione illogica in punto di
gravi ragioni di sicurezza o di ordine pubblico. La difesa del ricorrente lamenta che la Corte

disposto la partecipazione a distanza alle udienze degli imputati Padovano e Parlangeli,
detenuti in istituti situati fuori dal circondario, ritenendo la ricorrenza di gravi ragioni di
sicurezza- si è limitata apoditticamente a confermare la sussistenza dei presupposti per
l’attivazione dell’istituto sia per il pericolo di fuga dei prevenuti che per i problemi di sicurezza
derivanti dalla contestuale presenza in aula degli imputati e delle p.o. quali De Giorgi Gianluca,
nonostante quest’ultimo avesse dimostrato il proprio disinteresse a partecipare al processo
omettendo di costituirsi parte civile. Rileva, inoltre, il ricorrente che, quantunque la CEDU e la
Corte costituzionale abbiano riconosciuto che il mezzo della videoconferenza è idoneo a
garantire la personale e consapevole partecipazione dell’imputato al dibattimento, nondimeno
si tratta di una partecipazione mediata e parziale, essendo precluso all’imputato di osservare
direttamente il giudice, le parti i difensori, che comporta una diminuzione del livello di difesa
materiale in considerazione dell’impossibilità di diretta percezione dell’esame degli accusatori e
di un’immediata interazione anche per il tramite dei difensori;
2.2 la violazione dell’art. 351, comma 1 bis, in relazione agli artt. 63 e 64 cod.proc.pen.
nonché la motivazione illogica e contraddittoria circa la ritenuta utilizzabilità delle dichiarazioni
rese da De Giorgi Gianluca in fase di indagine. La difesa reitera l’eccezione già sollevata in
primo grado e devoluta in appello che vuole l’inutilizzabilità delle dichiarazioni del De Giorgi
alla P.g. in quanto all’epoca dell’assunzione il denunziante si trovava nelle condizioni
sostanziali di chi avrebbe dovuto essere ascoltato in qualità di indagato in procedimento
connesso , non avendo rilievo la circostanza addotta dal primo giudice circa il deposito presso
gli uffici della Procura solo in data 17/5/2013, ovvero successivamente alle audizioni,
dell’informativa che ipotizzava l’inserimento del De Giorgi nell’organigramma del clan
Padovano, trattandosi di un dato meramente formale che in ragione della subordinazione
funzionale della P.g. al magistrato inquirente rende credibile la tesi della conoscenza da parte
del P.M. dell’acquisizione di indizi a carico del dichiarante. A tanto consegue la violazione
dell’art. 191 cod.proc.pen., avendo il Gup utilizzato le dichiarazioni del De Giorgi in violazione
delle norme che ne imponevano la valutazione congiunta con altre emergenze processuali.
La Corte d’Appello ha disatteso il gravame sul punto limitandosi ad opporre una panoramica
completa degli atti d’indagine che di fatto fortifica le obiezioni difensive, richiamando i trascorsi
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territoriale, a fronte dell’articolata censura mossa al provvedimento del Gup -che aveva

giudiziari del denunziante. Inoltre, secondo la difesa le sentenze di merito hanno omesso
un’analisi attenta ed accurata della credibilità soggettiva del De Giorgi: infatti, quantunque
risulti archiviata l’indagine per fatti connessi o collegati, all’epoca dell’assunzione delle
informazioni testimoniali lo stesso era sostanzialmente indagato sicchè le sue propalazioni
imponevano un vaglio penetrante in considerazione del fatto che l’affidabilità della sua
ricostruzione è intaccata dall’esigenza di allontanare da sé i sospetti di essersi originariamente
imposto in maniera quasi monopolistica sul mercato dei servizi di sicurezza, sfruttando il

2.3 la violazione dell’art. 416 bis cod.pen. e il vizio della motivazione anche con riguardo alla
riqualificazione del reato in quello di cui all’art. 416 cod.pen., aggravato dall’art. 7 d.l. 152/91.
Le sentenze di merito hanno ritenuto i ricorrenti partecipi con ruolo direttivo dell’associazione
di stampo mafioso Sacra Corona Unita, in particolare del clan Padovano in tesi diretta
derivazione dell’associazione operante nel territorio di Gallipoli negli anni ’80, guidata da
Salvatore Padovano, padre di Angelo, e dopo l’arresto del medesimo dal fratello Pompeo
Rosario. Nonostante l’irreversibile rottura degli equilibri associativi conseguita all’omicidio nel
settembre 2008 del Padovano Salvatore, per il quale hanno riportato condanna il fratello
Padovano Pompeo Rosario e altri appartenenti alla fazione a lui riferibile,la Corte d’appello ,
richiamando sul punto la motivazione di primo grado, ha ritenuto di ravvisare un collegamento
tra i gruppi Padovano-Tornese e l’associazione contestata al capo A), evidenziando che il
controllo su alcune attività economiche e le attività estorsive ai danni del De Giorgi e del
Calcagnile fossero dimostrative dell’esistenza ed operatività della societas sceleris. La difesa
censura che il percorso evolutivo dell’associazione, seppur basato sul notorio giudiziario, non è
supportato dall’acquisizione delle sentenze irrevocabili, pure richiamate dalla decisione di primo
grado. In particolare, nonostante il Gup abbia tratto valutazioni dalla sentenza della Corte
d’Assise di Lecce del 18/7/2013 relativa all’omicidio di Padovano Salvatore, il documento non
risulta materialmente acquisito agli atti e la conoscenza dei contenuti del provvedimento è
frutto del patrimonio cognitivo del giudice che si era già occupato della misura di prevenzione
patrimoniale nei confronti degli eredi del Padovano. Analogamente è accaduto con riguardo alle
dichiarazioni della madre del Padovano Angelo, Reali Anna, richiamate a pag 37 della sentenza
Gup senza si sia provveduto alla loro materiale acquisizione.
Inoltre, la ricostituzione del sodalizio mafioso, seppur con una composizione e con obiettivi
operativi più limitati, è secondo la difesa contraddetta dalle emergenze processuali, avuto
riguardo alla composizione personale del presunto nuovo clan che non è sovrapponibile al
precedente, tenuto conto che l’unico anello di congiunzione, ovvero l’imputato Cardellini
Gabriele, è stato assolto dall’addebito associativo mentre lo stesso capo d’imputazione sembra
fondare l’ipotesi associativa sulla commistione di più frange locali della sacra corona salentina e
le pronunzie assolutorie intervenute in relazione alla partecipazione di alcuni presunti adepti
riduce l’asse portante del processo al binomio Padovano-Parlangeli, soggetti legati tra loro da
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gsu-A

proprio passato mafioso;

vincoli di parentela. Difetta, dunque, nella specie la prova di un organismo strutturato, con
un’articolazione gerarchica e una ripartizione dei ruoli che dia conto della stabilità del vincolo
associativo e di una finalizzazione delinquenziale capace di generare una sistematica
intimidazione. La sentenza ha opposto alle obiezioni difensive sul punto il richiamo
all’operatività del gruppo,attestato dalla commissione dei singoli reati fine, siccome
dimostrativi di una sorta di controllo delle attività economiche, sintomatico della natura
mafiosa della compagine, senza tener conto che in sede di gravame la difesa aveva evidenziato
la necessità di valutare in concreto l’esistenza di un apparato strumentale associativo e la

fattispecie ex art. 416 bis cod.pen. un reato di danno e non di mero pericolo.
Secondo la difesa , dunque, i singoli episodi estorsivi contestati non sarebbero espressione del
metus volto all’assoggettamento degli innprenditori,i1 compendio delle azioni illecite
risulterebbe connotato da atipicità, in quanto volto esclusivamente all’accaparramento dei
servizi di sicurezza, e la carica minacciosa sarebbe stata sporadica e ricollegabile unicamente
alla spavalderia del giovane Padovano, sicchè i giudicanti si sarebbero lasciati condizionare
dalla passata presenza sul territorio di un’associazione mafiosa, privilegiando intuizioni
personali e perdendo di vista la reale entità della formazione di cui al presente processo,
valorizzando la genealogia del Padovano, nonostante la scarsa considerazione di cui godeva,
denotata dal tenore sarcastico delle intercettazioni del De Giorgi e dall’episodio delle percosse
subite di cui ha riferito Giuseppe Barba.
La Corte territoriale non ha, inoltre, fornito risposta ai rilievi difensivi che evidenziavano dati in
contrasto con l’ipotesi accusatoria anche con riguardo alla posizione del Parlangeli, la cui
vicinanza con il clan Tornese non è sufficientemente documentata in atti, e la cui veste mafiosa
è contraddetta dalla decisione di intraprendere un ricorso amministrativo a tutela della propria
attività d’impresa ovvero di denunziare il sindaco e la giunta di Gallipoli per abusi nel rilascio
delle autorizzazioni amministrative per l’esercizio dei parcheggi presso locali pubblici nell’estate
del 2013, circostanze che evidenziano il desiderio dell’imputato di avviare un’attività
imprenditoriale con modalità lecite e nel rispetto delle procedure amministrative. Pertanto
secondo la difesa risulta plausibile ritenere che l’associazione contestata, priva dei requisiti
ontologici dell’art. 416 bis cod.pen., trovandosi ad operare in un contesto territoriale che è
stato oggetto di condizionamento di pregresse associazioni mafiose,possa averne sfruttato
l’avviamento, pur senza porsi in continuità con le stesse;
2.4 la violazione dell’art. 416 bis, commi 2 e 4, cod.pen. La difesa contesta il ruolo di vertice
riconosciuto ai ricorrenti, rilevando come la spinta a delinquere debba essere ravvisata in
progetti di personale ed autonomo guadagno, non risultando appagante la giustificazione che
riconnette il ruolo direttivo alla rifondazione del clan. Inoltre, deve essere esclusa l’aggravante
speciale dell’associazione armata riconosciuta sull’assunto- mai formalizzato nel presente
procedimento- che gli attentati al De Giorgi siano ascrivibili agli odierni ricorrenti , in assenza
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ravvisabilità del metodo intimidatorio in via autonoma rispetto ai reati fine, dovendo ritenersi la

di dati di conforto;
2.5 la violazione dell’art. 192 cod.proc.pen. e il vizio della motivazione con riguardo
all’estensione della responsabilità dei ricorrenti per gli episodi estorsivi e di intestazione fittizia.
Con riguardo al delitto di estorsione ascritta in concorso ai prevenuti al capo B della rubrica la
difesa deduce la ipervalutazione delle dichiarazioni della p.o. De Giorgi poste a fondamento
del giudizio di penale responsabilità e ritenute riscontrate dalle conversazioni telefoniche del
medesimo dichiarante, nonostante le confidenze fatte telefonicamente ad un amico in ordine

linguaggio del De Giorgi che era ben consapevole dell’elevata probabilità di essere intercettato.
Peraltro, il tenore evasivo della conversazione con riguardo alla natura delle minacce subite
induce a ritenere la vicenda inquadrabile nell’ordinaria dinamica della concorrenza
imprenditoriale nel settore della sicurezza. Allo stesso modo con riguardo all’estorsione ascritta
al capo C) la difesa rileva come la dazione della somma di duemila euro da parte del De Giorgi
per poter operare nel Comune di Gallipoli nella stagione 2012 si sia verificata a distanza di
mesi dall’attuazione del fatto costrittivo. Il ritardo nella denunzia della p.o. offre spunti di
riflessione giacchè si pone in stridente contrasto con lo stato di vessazione tipico della vittima
di estorsione il fatto che il De Giorgi, piuttosto che cogliere l’occasione di fornire agli inquirenti
la prova diretta del reato in suo danno, avvisava il Padovano della presenza delle Forze
dell’Ordine e del sistema di videosorveglianza posto all’interno del bar in cui avveniva la
consegna del danaro. Contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d’Appello, la condotta della
p.o. risulta del tutto illogica ed espressiva di contiguità e connivenza con ambienti
delinquenziali cittadini né è stato valutato in termini critici il tentativo del De Giorgi di tenere
lontano da accuse di complicità con i Padovano il cugino Carmelo Natali, noto pregiudicato della
zona. Quanto al capo D) la denunzia del De Giorgi risponde alla necessità di scongiurare
coinvolgimenti nel taglieggiamento

ai danni della Discoteca Praya in conseguenza

della

maggiorazione degli importi richiesti per l’effettuazione del servizio di sicurezza presso
l’esercizio mentre con riguardo all’estorsione in danno di De Lorenzis Salvatore ascritta al capo
E) al solo Padovano la veste di latore della richiesta del De Giorgi per conto di Angelo
Padovano è smentita dal titolare del Samsara Beach e solo apparentemente riscontrata dalla
intercettazione telefonica del 29/9/2013. In relazione al capo F), la difesa assume che la
ricostruzione dei testi Paradiso e Marrella evidenzia la riferibilità al solo Padovano del
programma di accaparramento dei servizi di sicurezza,privando di validità la tesi
dell’operatività di un sodalizio criminoso di stampo mafioso mentre la Corte con riguardo
soprattutto alla posizione del Parlangeli confonde la prova del concorso nell’estorsione patita
dal Paradiso con quella dell’inserimento dell’imputato in seno al clan Padovano, ricavando
sillogisticamente la partecipazione al fatto estorsivo dal giudizio di colpevolezza per il delitto
associativo. Per il capo O) la difesa richiama i limiti d’attendibilità della p.o. Calcagnile
Vincenzo e, alla luce della produzione documentale della difesa Pellè, la violazione dell’art. 210
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ai fatti estorsivi si collochino a distanza di un anno dal loro accadimento e induca in sospetto il

cod.proc.pen.;
2.6 la violazione dell’art. 597, comma 3, cod.proc.pen. Secondo la difesa dei ricorrenti la
sentenza impugnata ha confermato il trattamento sanzionatorio ritenendo congrui gli aumenti
a titolo di continuazione, trattandosi di reati aggravati ex art. 7 L. 203/91 sebbene il primo
giudice avesse ritenuto assorbita la predetta circostanza in quella prevista dall’art. 628 comma
3 cod.pen. ;
2.7 la violazione degli artt. 62 bis, 81 e 133 cod.pen. La difesa lamenta che i giudici d’appello

alla proporzionalità e alla finalità rieducativa della pena, negando valore alla giovane età e alla
sostanziale incensuratezza dei prevenuti e pretermettendo gli elementi connessi alla
decorrenza del tempo e all’oggettiva tenuità della condotta.
Cardellini Gabriele con l’Avv. Ladislao Massari
3. la violazione dell’art. 592 cod.proc.pen. in quanto la Corte territoriale condannava il
Cardellini al pagamento delle spese processuali nonostante l’intervenuta revoca della confisca
per equivalente disposta in primo grado che impone di escludere la soccombenza;
3.1 la violazione dell’art. 73 dpr 309/90 e dell’art. 192 cod.proc.pen. nonché l’illogicità e
contraddittorietà della motivazione in ordine alla responsabilità dell’imputato per i singoli
episodi di spaccio e con riguardo alla mancata qualificazione giuridica dei fatti ai sensi dell’art.
73, comma 5, Dpr 309/90. Osserva la difesa che, contrariamente all’assunto della Corte
Territoriale che ha ritenuto solo generica la contestazione dei singoli episodi di spaccio
addebitati al prevenuto, nel gravame si era rappresentata la natura meramente indiziaria delle
emergenze acquisite in sede di intercettazioni telefoniche, prive di elementi di riscontro. Nella
specie, appare difettosa la valutazione della prova indiziaria sotto il profilo della congruità e
logicità. In, particolare con riguardo al capo M) – che concerne l’acquisito di una partita di
hashish nel febbraio 2014- la Corte non ha dato risposta alla doglianza difensiva che confutava
l’interpretazione della tel. del 30/1/2014.
Quanto alla richiesta riqualificazione delle condotte ai sensi dell’art. 73, comma V, dpr 309/90
la Corte l’ha disattesa rimarcando la diversa tipologia di sostanze cedute, la continuità e le
modalità dello spaccio, la collaborazione di più soggetti e il controllo e protezione del clan
Padovano, pur in assenza di riscontri in ordine a detto ultimo assunto, attesa la mancata
contestazione dell’aggravante di cui all’art. 7 L. 203/91 e nonostante l’ininfluenza delle
circostanze richiamate ai fini della configurabilità dell’ipotesi attenuata;
3.2 la violazione degli artt. 62 bis, 81 e 133 cod.pen. nonché l’illogicità della motivazione in
ordine al trattamento sanzionatorio. La Corte territoriale ha confermato la pena irrogata in
primo grado ritenendone la congruità sia con riguardo al trattamento base che agli aumenti a
titolo di continuazione, nonostante il sensibile discostamento dai minimi della pena base e
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d)3-5LA

abbiano negato le attenuanti generiche con motivazione vaga ed elusiva degli aspetti legati

l’entità degli aumenti ex art. 81 che per il capo M) ammonta ad anni due mesi sei di reclusione.
Inoltre, la sentenza impugnata ha confermato il diniego delle circostanze attenuanti generiche
con una motivazione sbrigativa che elude i profili connessi alla proporzionalità e alla finalità
rieducativa della pena.
In data 1 Marzo 2018 nell’interesse del Cardellini sono stati presentati motivi nuovi a firma
dell’Avv. Enrico Grosso, il quale ha dedotto:
3.3 l’erronea applicazione della legge penale con riferimento alla sussistenza dell’elemento

motivazione in relazione all’art. 192, comma 2, cod.proc.pen. con riferimento alla valutazione
della prova logica emergente dalle intercettazioni ambientali. La difesa osserva che il Cardellini,
contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, non ha confessato i reati contestatigli
ma ha soltanto ammesso di aver esercitato attività di spaccio per far fronte ai suoi bisogni di
tossicodipendente, ovvero condotte riconducibili alla fattispecie lieve di cui al comma V dell’art.
73. Pertanto, la Corte territoriale ha confermato il giudizio di penale responsabilità del
ricorrente sull’esclusiva base delle intercettazioni ambientali, i cui esiti hanno natura indiziaria,
e in assenza di elementi di riscontro. In particolare, la sentenza impugnata ha eluso i rilievi
circa le modalità di interpretazione delle conversazioni, richiamandone il contenuto e ritenendo
superflua l’esistenza di dati di conforto con pedissequo rinvio alla decisione di primo grado;
3.4 l’erronea applicazione della legge penale e la manifesta illogicità della motivazione con
riferimento all’applicazione dell’art. 73, comma 1, anzichè comma V Dpr 309/90. Secondo la
difesa la Corte territoriale è incorsa in errore di diritto e in manifesta illogicità della motivazione
laddove ha ritenuto che avesse rilievo ai fini dell’integrazione della fattispecie di lieve entità la
detenzione a fini di spaccio di stupefacenti di diversa tipologia in contrasto con l’interpretazione
normativa operata dalla giurisprudenza di legittimità e analogamente distonica rispetto al dato
normativo s’appalesa la valorizzazione della reieterazione degli episodi e il carattere
asseritamente abituale dello spaccio.
Fortunato Alessio con l’Avv. Stefano Prontera
4. l’inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 187,192 cod.proc.pen. e 73 Dpr 309/90
nonché l’illogicità e contraddittorietà della motivazione con specifico riguardo al contenuto del
servizio di osservazione della P.g. operante. La Corte territoriale ha confermato il giudizio di
penale responsabilità dell’imputato per il delitto ascritto al capo N) della rubrica ribadendo il
ruolo del Fortunato di asserito fornitore dello stupefacente sequestrato ad Oltremarini
Alessandro in data 3/2/2014 sebbene la difesa avesse rilevato l’impossibilità di ascrivere la
condotta al prevenuto in considerazione della genericità degli elementi di prova acquisiti, privi
di individualizzazione oggettiva della condotta, stante il deficit probatorio in ordine ad un
presunto accordo intercorso tra il Fortunato, il Palazzo e l’Oltremarini e l’assenza di certezza
circa la traditio dello stupefacente da parte del Fortunato all’Oltremarini. A fronte delle
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oggettivo del delitto di cui all’art. 73, comma 1, Dpr 309/90 e comunque la mancanza di

doglianze difensive la sentenza impugnata ha richiamato in maniera asettica la sentenza di
primo grado, incorrendo in violazione di legge per l’inosservanza delle regole che presidiano la
valutazione probatoria sia con riguardo agli esiti delle intercettazioni che all’apprezzamento
della prova indiziaria, omettendo, altresì, la motivazione in ordine a specifiche censure e
palesando illogicità e contraddittorietà in relazione al servizio di osservazione dei CC. Infatti, il
giudizio di responsabilità poggia su captazioni telefoniche e di sms che non vedono interessato
né chiamato in causa l’imputato mentre con riguardo all’episodio del 3/2/2014 non vi è alcuna
certezza del coinvolgimento del ricorrente. La sentenza impugnata ha ritenuto che il Fortunato

argomentando per esclusione, ovvero ritenendo in ragione della brevità del contatto tra il
Palazzo e l’Oltremarini che in quel frangente sia stata impossibile la consegna della merce e
collocandola all’atto dell’avvicinamento del medesimo Oltremarini al lato passeggero dell’Alfa
147 mentre il Palazzo si collocava dinanzi al veicolo, ostacolando la visuale agli operanti. La
Corte ha fatto malgoverno delle risultanze indiziarie acquisite anche con riguardo
all’identificazione del ricorrente quale conducente dell’autovettura sulla base della mera
osservazione della P.g. e del confronto con il cartellino segnaletico del prevenuto in assenza di
riscontri individualizzanti e senza dare conto della reiezione delle doglianze difensive sul
punto;
4.1 la violazione di legge e il vizio della motivazione con riguardo alla mancata esclusione della
recidiva contestata. Secondo la difesa la Corte territoriale si sarebbe limitata al mero riscontro
formale dei precedenti penali a carico dell’imputato, omettendo la corretta e legale verifica
della sussistenza dell’aggravante alla luce dei criteri enucleati dalla giurisprudenza di legittimità
e senza tener conto della distanza temporale dei precedenti e delle altre circostanze indicative
dell’occasionalità della ricaduta.

Oltremarini Rosario con l’Avv. Luigi Corvaglia
5. la violazione di legge e il vizio della motivazione con riguardo all’art. 192 cod.proc.pen.
Secondo la difesa la Corte ha ritenuto la penale responsabilità del ricorrente per il delitto sub
P) , qualificato come tentata estorsione in danno di Calcagnile Vincenzo, senza adeguatamente
valutare che risultano documentalmente provati i rapporti commerciali intercorrenti tra la p.o.
e Pellegrino Fabio e certa l’esistenza di un credito del medesimo nei confronti del primo sicchè
la vicenda a giudizio esula dalla fattispecie incriminatrice ritenuta, dovendo al più essere
ricondotta al delitto di tentata ragion fattasi di cui all’art. 393 cod.pen.
5.1 la violazione di legge e il vizio di motivazione con riguardo all’aggravante di cui all’art. 7 .
203/91. Secondo la difesa nella specie non ricorrono le condizioni per ritenere integrata
l’aggravante del metodo mafioso alla luce delle modalità della condotta

Palazzo Sergio con l’Avv. Pantaleo Cannoletta
6. La contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riguardo alla determinazione
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abbia proceduto alla materiale cessione dello stupefacente sequestrato all’Oltremarini,

della pena. Segnala la difesa che il Gip è incorso in errore nel calcolo della pena, avendo
indicato in maniera non chiara la pena base per il delitto sub N) (” anni quattro mesi due sei”),
operando l’aumento per la recidiva fino ad anni quattro mesi sei di reclusione ed euro 18mila di
multa e comminando in esito alla riduzione per il rito la pena di anni tre e mesi sei di
reclusione ed euro 12nnila di multa. Dal computo risulta con evidenza l’errore nell’abbattimento
della pena per la diminuente ex art. 442 cod.proc.pen. che avrebbe dovuto portare alla
quantificazione finale della pena detentiva in anni tre di reclusione. La tesi dell’errore è
confortata anche dal rilievo che il coimputato Fortunato Alessio che risponde del medesimo

analogamente determinati, ha correttamente riportato condanna alla pena detentiva di anni tre
di reclusione. La Corte ha disatteso la doglianza difensiva ritenendo erroneamente di dover
dare prevalenza al dispositivo rispetto alla motivazione della sentenza .
Natali Carmelo con l’Avv. Biagio Palamà
7 . la violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 7 L.
203/1991 e correlata mancanza e manifesta illogicità della nnotivazione.La difesa del ricorrente
lamenta che l’aggravante di cui all’art. 7 non è mai stata ascritta al ricorrente ma
specificamente solo agli imputati Parlangeli e Padovano, come emerge dalla lettura del capo F),
e se ne è erroneamente ritenuta l’estensibilità al Natali pur in difetto della dovuta
contestazione mentre la Corte territoriale, a fronte di precisa doglianza al riguardo, ha omesso
la motivazione, ritenendo apoditticamente che l’aggravante sia stata contestata a tutti i
concorrenti e non ha tenuto conto del tenore delle dichiarazioni del De Giorgi circa l’estraneità
del prevenuto ai fatti. Inoltre, la motivazione dell’impugnata sentenza risulterebbe
contraddittoria nel ritenere sussistente l’agevolazione mafiosa in difetto di prova circa la
consapevolezza dell’imputato di favorire l’intero sodalizio e ha incongruamente ritenuto
l’attendibilità delle dichiarazioni del teste Marrella, svalutando il narrato della p.o. Paradiso,
nonostante il primo risulti già stimato inaffidabile in relazione a pregresse vicende giudiziarie
che hanno visto coinvolto il Natali.
Pelle Gabriele con l’Avv. Gabriele Valentini
8. La violazione di legge in relazione agli artt. 63 e 210 cod.proc.pen. con riguardo ai capi P ed
O della rubrica. Secondo la difesa del ricorrente le dichiarazioni rese in fase di indagini dalla
p.o. Vincenzo Calcagnile sarebbero affette da inutilizzabilità patologica giacchè al momento in
cui rese le originarie denunzie e al momento della deposizione testimoniale dinanzi al Gup
egli rivestiva la qualifica di parte offesa nel proc. 13819/14 rgnr pendente presso la Procura di
Lecce in relazione a un’estorsione posta in essere con la stessa condotta in contestazione nel
presente giudizio al capo O, ovvero mediante il recapito di lettera minatoria redatta dal
collaboratore Greco Gioele con la richiesta di pagamento di euro 50mila e ribadita dal
Parlangeli Gianni e dal Pelle al fine di indurre il Calcagnile a saldare i debiti contratti per
10

capo d’imputazione con la stessa aggravante, con una pena base e l’aumento ex art. 99

l’acquisto di una tabaccheria da tale Corallo Vito Francesco. Per altro verso è documentalnnente
provato che il Calcagnile al momento in cui denunziava i fatti estorsivi in suo danno era già
imputato per truffa in danno di Corallo Vito Francesco per fatti connessi alla vendita della
medesima tabaccheria, proc. definito in primo grado con sentenza di condanna del Calcagnile
pronunziata il 16/7/2015 ( proc. 8920/12 rgnr). Entrambi i procedimenti sono non solo
probatoriamente connessi ma anche collegati ai sensi dell’art. 371 lett. b) cod.proc.pen.
Pertanto, la Corte d’Appello avrebbe errato nel ritenere ravvisabile un’ipotesi di collegamento
esclusivamente per i reati commessi in danno reciproco tra il Calcagnile e il Corallo,

conseguenza che la mancata adozione dello statuto dichiarativo di cui agli artt. 63, comma 2, e
210 cod.proc.pen. rende inutilizzabili le dichiarazioni stesse, che comunque soggiacciono alla
necessità di riscontri ex art. 192 cod.proc.pen.;
8.1 la violazione di legge e il vizio della motivazione con riguardo al giudizio di responsabilità
per il capo O della rubrica . La difesa segnala che alcuna delle condotte estorsive contestate al
capo O in danno del Calcagnile risulta posta in essere nel settembre 2011, risultando dalla
denunzia della p.o. che la consegna della lettera contenente la richiesta di pagamento di euro
50mila avvenne alla fine di luglio 2011 e a distanza di pochi giorni l’intervento del Parlangeli e
la dazione della somma di euro 500,00 da parte del denunziante. Sul punto, devoluto in sede
di gravame, la corte territoriale ha omesso la motivazione. Inoltre, secondo la difesa alcuna
delle condotte contestate al Pelle si presta ad integrare il concorso nel delitto ex art. 629
cod.pen., ascrivendosi al ricorrente di aver accompagnato Parlangeli Roberto- senza
interloquire- in occasione dell’offerta al Calcagnile della propria mediazione e il Parlangeli
Gianni in occasione della restituzione dell’importo di euro 500,00 alla p.o., rimanendo
all’esterno dell’esercizio commerciale, e alcun riscontro alla prospettazione d’accusa può trarsi
delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Gioele Greco in considerazione della scarsa
credibilità intrinseca e dell’assenza di riscontri esterni. In relazione ad entrambi i profili la Corte
ha mancato di motivare.
Secondo la difesa del ricorrente, inoltre, la ricostruzione della vicenda attesta, in ogni caso, la
condotta alla soglia del tentativo. Con riguardo al secondo episodio ascritto al capo O e
commesso nel giugno 2014 in danno sempre del Calcagnile la sentenza impugnata non ha
valutato le doglianze difensive e dato conto delle ragioni della loro reiezione;
8.2 la violazione degli artt. 522 cod.proc.pen. e dell’art. 7 L. 203/91. Nel quantificare la pena
irrogata al Pellè a seguito della derubricazione dell’estorsione sub P) a tentativo la Corte
territoriale ha individuato quale reato di maggiore gravità quello contestato al capo O) ed ha
irrogato per tale titolo la pena di anni sei di reclusione ed euro 7.500,00 di multa, aumentata
di anni due ex art. 7, sennonché per il delitto di cui al capo O) l’aggravante del metodo mafioso
non è stata contestata, neanche in fatto;

11

escludendolo tra detti fatti e quelli contestati ai capi O e P del presente procedimento con la

8.3 II vizio della motivazione in relazione all’addebito di cui al capo P) della rubrica in quanto la
sentenza impugnata ha omesso di motivare in ordine alle condotte materiali ascritte oggetto di
censura nei motivi d’appello, nonostante la difesa avesse segnalato che in occasione del primo
accesso della p.o. presso la Stazione Cc di Gallipoli in relazione alla minaccia subita presso la
Stazione di Servizio Esso il Calcagnile aveva indicato quale suo interlocutore un soggetto
diverso, tale Ubaldo Leo che accompagnava il Parlangeli, e la circostanza risulta
nell’annotazione di Pg acquisita agli atti, dalla quale emergono anche gli stretti rapporti
personali che la p.o. intratteneva con elementi di spicco della criminalità organizzata salentina.

tabaccheria, sebbene incidano sulla credibilità del dichiarante , sono state ignorate dalla Corte
d’appello;
8.4 la violazione di legge e il vizio della motivazione in relazione all’aggravante ex art. 7 L.
203/91 contestata al capo P), non avendo la sentenza impugnata precisato quale sia la
condotta specificamente evocativa della intimidazione discendente dal vincolo associativo in
relazione alla specifica posizione del prevenuto.

CONSIDERATO IN DIRITTO
9. Il primo motivo proposto nell’interesse dei ricorrenti Padovano e Parlangeli

che censura

la disposta partecipazione a distanza degli imputati al giudizio di primo grado è
manifestamente infondato oltre che parzialmente generico. La Corte territoriale ha confermato
con congrua motivazione la ricorrenza dei presupposti normativi per la partecipazione a
distanza dei prevenuti alla trattazione del processo a loro carico, celebrato nelle forme del
giudizio abbreviato, evidenziando la ricorrenza di gravi ragioni di sicurezza e di ordine pubblico
conseguenti alla contestuale presenza in aula dei prevenuti e del denunziante De Giorgi.
Siffatta valutazione in quanto frutto di un apprezzamento di fatto correlato anche alle
condizioni ambientali è sottratto al sindacato di legittimità siccome adeguatamente giustificato.
Del tutto indeterminata è, peraltro, la denunzia circa la menomazione dei diritti difensivi degli
imputati che conseguirebbe alla cennata modalità di partecipazione. Questa Corte ha
sottolineato, infatti, che la disciplina della partecipazione all’udienza a distanza impone che
siano costantemente assicurate all’imputato la visione dell’aula e l’ascolto di quanto in questa
viene detto nonché la possibilità di intervenire quando esigenze processuali o di difesa lo
richiedono (Sez. 6, n. 24077 del 06/04/2016, Carava’ e altri, Rv. 267874) e l’imputato è
legittimato a dolersi delle modalità del collegamento audiovisivo che non garantisca la
contestuale, effettiva e reciproca visibilità delle persone presenti in aula e nei luoghi di custodia
quando la stessa abbia cagionato una concreta e specifica limitazione dei suoi diritti difensivi
(Sez. 1, n. 19511 del 15/01/2010, Basco e altri, Rv. 247196; n. 28548 del 10/04/2008,
Gagliardi e altri, Rv. 241195). Nella specie, la difesa lamenta non concrete ricadute negative
per effetto dell’improprio utilizzo della videoconferenza sibbene una genetica inadeguatezza
dello strumento, la cui idoneità a garantire la partecipazione dell’imputato al processo è,
12

Dette circostanze e l’omessa rappresentazione dei problemi finanziari con il venditore della

tuttavia, ampiamente riconosciuta non solo dall’ordinamento statale ma anche dagli strumenti
convenzionali.
9.1 Analogamente destituita di pregio è l’eccezione di inutilizzabilità delle dichiarazioni rese in
fase investigativa da De Giorgi Gianluca che, secondo la difesa, all’epoca in cui le rese era
sostanzialmente indagato per partecipazione allo stesso sodalizio criminoso ascritto al capo A),
quantunque la comunicazione di reato risulti pervenuta alla Procura della Repubblica solo il 17
maggio 2013 con conseguente iscrizione del De Giorgi nel registro degli indagati fino al

Questa Corte ha affermato il principio, che il Collegio condivide, secondo cui in tema di prova
dichiarativa, allorché venga in rilievo la veste che può assumere il dichiarante, spetta al giudice
il potere di verificare in termini sostanziali, e prescindendo da indici formali, come l’eventuale
già intervenuta iscrizione nominativa nel registro delle notizie di reato, l’attribuibilità allo stesso
della qualità di indagato nel momento in cui le dichiarazioni stesse vengano rese, e il relativo
accertamento si sottrae, se congruamente motivato, al sindacato di legittimità (Sez. U, n.
15208 del 25/02/2010, Mills, Rv. 246584; Sez. 2, n. 51840 del 16/10/2013, Caterino, Rv.
258069;Sez. 6, n. 20098 del 19/04/2016, Pg in proc. Scalisi ed altri, Rv. 267129). Infatti,
l’inutilizzabilità “erga omnes” delle dichiarazioni rese da chi doveva essere sentito sin dall’inizio
come indagato o imputato sussiste solo se, al momento delle dichiarazioni, il soggetto che le
ha rese non era estraneo alle ipotesi accusatorie allora delineate, in quanto la sanzione ex art.
63, comma secondo, cod. proc. pen., richiede che a carico di detto soggetto risulti l’originaria
esistenza di precisi, anche se non gravi, indizi di reità, condizione che non può farsi derivare
automaticamente dal solo fatto che il dichiarante possa essere stato in qualche modo coinvolto
in vicende potenzialmente suscettibili di dar luogo alla formazione di addebiti penali a suo
carico, occorrendo, invece, che tali vicende, per come percepite dall’autorità inquirente,
presentino connotazioni tali da non poter formare oggetto di ulteriori indagini se non
postulando necessariamente l’esistenza di responsabilità penali a suo carico (Sez. 4, n. 29918
del 17/06/2015, P.M. in proc. Affatato, Rv. 264476). Pertanto,in virtù del principio di
conservazione degli atti e della regola, ad esso connessa, del “tempus regit actunn”, sono
legittimamente utilizzabili le dichiarazioni del soggetto che, al momento della deposizione
rivestiva ancora e soltanto lo “status” di persona informata sui fatti, a nulla rilevando, in
contrario, la circostanza che abbia successivamente assunto la condizione di indagato o di
imputato (Sez. U, n. 33583 del 26/03/2015, Lo Presti e altri, Rv. 264482).
L’indagine sollecitata dalla difesa postula, dunque, accertamenti in fatto che esulano dal
perimetro del sindacato di legittimità e che nel caso scrutinato hanno condotto ad una
valutazione di piena utilizzabilità dei materiali dichiarativi, sorretta da ampia motivazione, priva
di criticità logiche. La sentenza di primo grado, che si salda a quella d’appello in ragione della
convergenza dei criteri valutativi e dei sovrapponibili esiti, alle pagg. 3 -8 ha evidenziato
come il De Giorgi assunse la veste di indagato ( tra l’altro sulla scorta della mera inclusione del
13

26/1/2015, data dell’intervenuta archiviazione.

nominativo tra i supposti partecipi dell’associazione nel frontespizio di un’informativa mentre
detta qualità veniva di fatto negata in favore di quella di vittima nel corpo dello stesso
documento) solo dopo il 17/5/2013, quindi in epoca posteriore all’assunzione di informazioni
avvenuta il 18, 22 e 29 marzo precedente. Successivamente il medesimo rendeva al Ros
spontanee dichiarazioni in relazione ai fatti ascritti al capo E) (estorsione in danno di De
Lorenzis). La Corte d’Appello, alle pagg. 20 e 21, ha ampiamente spiegato le ragioni della
reiezione dell’eccezione difensiva, evidenziando per ciascun atto riferibile alle dichiarazioni del
De Giorgi l’esatto inquadramento giuridico e dando giustificazione della ritenuta utilizzabilità

9.2 Con il terzo motivo la difesa ha dedotto l’insussistenza di elementi a sostegno della
partecipazione dei prevenuti ad un’associazione di stampo mafioso sotto il profilo della
violazione di legge e del vizio di motivazione mentre con il quarto motivo contesta il
riconosciuto ruolo apicale dei prevenuti e il carattere armato del sodalizio. L’ampia illustrazione
delle doglianze difensive, con diffusi richiami alle emergenze processuali scrutinate dai giudici
di merito, reitera obiezioni già sottoposte a vaglio ed elude il confronto con le ragioni poste a
fondamento del giudizio di sussistenza dell’addebito associativo, sollecitando una non
consentita rilettura del compendio probatorio a fronte di conformi e logicamente argomentati
apparati giustificativi.
In particolare, risulta infondato il rilievo circa l’indebito ricorso al notorio giudiziario, stante la
mancata acquisizione dei provvedimenti posti a fondamento della ricostruzione storicogiudiziaria delle vicende del clan Padovano. Alle pag. 13/14 della sentenza di primo grado
risulta che il Gup ha attinto dalla sintesi di cui all’informativa del Ros in data 23/3/2013 e
succ. e ha puntualmente indicato gli allegati di interesse, come nel caso della sentenza resa il
18/7/2013 dalla Corte d’Assise di Lecce, confermata in grado d’appello, relativa all’omicidio di
Padovano Salvatore ( allegato 78 all’informativa 7/4/2014, faldone 5 richiamato a pag. 14
sentenza Gup) e del decreto di convalida del sequestro d’urgenza relativo al procedimento di
prevenzione nei confronti di Padovano Pompeo Rosario, di Padovano Angelo e Padovano Paola
quale successori di Padovano Salvatore (all. 59, informativa Ros del 7/4/2014). Le dichiarazioni

sicchè le doglianze difensive sono prive di giuridico fondamento.

della Reali Anna, convivente del defunto Padovano Salvatore, sono tratte dalla sopra
richiamata sentenza della Corte d’Assise, come pure le intercettazioni inerenti le vicende
successive all’omicidio. Si tratta, dunque, di materiali acquisiti nella fase investigativa e
legittimamente valutati- tenuto conto della scelta del rito abbreviato a prova contratta- senza
che la difesa abbia avanzato riserve sulle circostanze di fatto che se ne sono tratte.
9.2.1 Le obiezioni difensive in ordine all’impossibilità di trarre dai materiali processuali la
prova dell’esistenza di un sodalizio criminoso di stampo mafioso sono state scrupolosamente
scrutinate e motivatamente disattese. Le censure qui reiterate assumono la lacunosità sia
della struttura soggettiva che oggettiva del sodalizio, negano la continuità con il clan Padovano,
denunziano l’assenza di stabilità e di articolazione operativa della compagine e reputano i
14
Pjj\

reati-fine inespressivi del metodo mafioso ma finalizzati a scopi personalistici. Inoltre,
risulterebbero incompatibili con la tesi accusatoria sia il circoscritto oggetto sociale che le
iniziative giudiziarie del Parlangeli a tutela dei propri interessi imprenditoriali.
Secondo le concordi sentenze di merito dopo l’omicidio di Padovano Salvatore e l’arresto del
fratello Padovano Pompeo Rosario, responsabile di aver ordito la soppressione del congiunto
per mantenere il controllo del clan, il figlio del primo, Angelo, ha ricostituito intorno a sè un più
circoscritto gruppo criminale, con l’appoggio degli alleati storici Tornese di Monteroni,

parcheggi presso gli stabilimenti balneari e le discoteche della zona di Gallipoli, volgendo in
senso imprenditoriale l’originario programma di taglieggiamento degli esercenti tali attività
economiche, come dimostrato dallo sviluppo cronologico degli episodi contestati in danno di
Marrella e De Giorgi.
La sentenza di primo grado ha ricostruito in dettaglio le vicende del clan Padovano sulla scorta
delle informative dei CC della Compagnia di Gallipoli e del Ros, individuando la trama di un
rinnovato progetto criminale, sorto dalla disgregazione dell’originario gruppo delinquenziale in
conseguenza del conflitto di potere insorto tra i germani Salvatore e Pompeo, evidenziandone
la progressiva specificazione degli obiettivi, attraverso il passaggio dalle tradizionali attività
estorsive in danno di attività economiche della zona all’imposizione di ditte vicine o diretta
espressione dell’associazione mediante atti intimidatori quali danneggiamenti e rapine, che,
seppur non oggetto di specifica contestazione, secondo il primo giudice ” appaiono senz’altro
identificabili come anticipazioni attuative del programma di estromissione del De Giorgi, non
essendo suscettibili di altra chiave di lettura” ( pag. 19).
L’associazione a giudizio si configura, dunque, come filiazione di quella storicamente
capeggiata da Salvatore Padovano e ne costituisce sviluppo, opera nello stesso territorio, si
caratterizza per un più contenuto numero di adepti e concentra il proprio interesse sul
controllo di determinate attività economiche, caratteri quest’ultimi che non contraddicono la
sostanziale continuità nel perseguire obiettivi illeciti mediante metodologia mafiosa. La
sentenza d’appello ha ricostruito a pag. 36 e segg. le tappe del processo di formazione e

indirizzando la propria attività al controllo e alla gestione dei servizi di sicurezza e dei

consolidamento dell’associazione, ad iniziare dal recupero del patrimonio di famiglia da parte
del Padovano Angelo, patrimonio di fatto gestito dallo zio Padovano Pompeo Rosario durante il
periodo di detenzione del padre, e il successivo reinvestimento in nuove attività economiche
con conseguente emersione di una nuova leadership, alternativa al Padovano Pompeo Rosario,
capace di coagulare consensi e di elaborare una rinnovata strategia criminale. In detto quadro
la sentenza impugnata ha evidenziato come l’assoluzione del Cardellini dall’addebito
associativo, dalla difesa intesa come un vulnus alla tesi della continuità del sodalizio, trovi
logica spiegazione innanzitutto nella compromissione del rapporto di fiducia conseguente alla
vicinanza dell’imputato al Pompeo Rosario, dall’altro, nella selezione di obiettivi operativi quali
il controllo delle attività economiche nel settore turistico estranei all’esperienza criminale del
15
0)1

Cardellini stesso.
Allo stesso modo la Corte territoriale, mutuando argomenti già ampiamente spesi dalla
decisione di prime cure, ha richiamato le fonti che attestano gli storici legami tra il gruppo e il
clan dei Tornese e la ” vicinanza” dei fratelli Parlangeli allo stesso, a conforto dell’assunto
investigativo di un organico sostegno fornito dall’alleato alla rifondazione del clan Padovano.
9.2.2 Quanto alla componente soggettiva non hanno fondamento i dubbi espressi dalla difesa
dei ricorrenti sulla consistenza dell’associazione, tenuto conto che nella prospettiva accusatoria

riconosciuta la funzione direttiva del sodalizio, si accompagnano, oltre a non individuati sodali,
quantomeno Parlangeli Giovanni e Tomasi Luca ( anch’essi provenienti da Monteroni ed
espressione del travaso di forze dallo storico alleato clan Tornese verso il clan Padovano a
sostegno della ricostituzione intrapresa dal giovane Angelo),Liaci Amerigo e Pellegrino Fabio, a
dimostrazione di un’adesione personale al programma delittuoso comunque sufficiente a
realizzare la fattispecie associativa.

Sotto il profilo strutturale va qui ribadito che legittimamente i giudici di merito hanno
valorizzato ai fini della prova circa l’esistenza del sodalizio contestato la commissione dei reati
fine rientranti nel programma delittuoso comune e le loro modalità esecutive, espressive della
peculiare e specializzante metodologia mafiosa, trattandosi di concrete manifestazioni
dell’operatività dell’associazione medesima (Sez. U, n. 10 del 28/03/2001,Cinalli e altri, Rv.
218376;Sez. 2, n. 19435 del 31/03/2016, Ficara, Rv. 266670; Sez. 1, n. 29959 del
05/06/2013, Amaradio e altri, Rv. 256200), dalle quali è consentito trarre, con rigorosa
inferenza, argomenti a sostegno della stabilità del vincolo associativo e dell’indeterminatezza
del programma criminoso nonché delle condotte partecipative dei soggetti stabilmente collegati
(Sez. 2, n. 53000 del 04/10/2016, Basso e altri, Rv. 268540). Deve, peraltro, negarsi rilevanza
ai fini dell’esclusione dell’illecito alla delimitazione degli obiettivi del sodalizio al controllo delle
attività economiche nella zona d’influenza, trattandosi, al contrario, di uno degli scopi
normativamente previsti, espressivo di una strategia criminale di infiltrazione del tessuto

convalidata dai giudici di merito, al Padovano Angelo e al Parlangeli Roberto, cui è stata

economico locale in massimo grado lesiva dei beni presidiati dalla norma. Pertanto, il
contenzioso amministrativo attivato dal Parlangeli nei confronti del Comune di Gallipoli, che la
difesa accredita come manifestazione di legalità nell’esercizio delle iniziative imprenditoriali,
lungi dallo smentire l’agire mafioso dell’imputato e dei sodali, ne attesta l’evoluzione in forme
di penetrazione dotate di apparenza legale e di elevata insidiosità, come ben emerge dalla
complessiva ricostruzione della vicenda relativa al controllo dei parcheggi pubblici nella zona
di Gallipoli perseguita dal gruppo e dalle intimidazioni subite dal Sindaco Francesco Errico
(pag. 157 e segg. sentenza primo grado).

9.2.3 Né è ragionevolmente revocabile in dubbio, alla stregua delle emergenze acquisite e
correttamente apprezzate dai giudici del merito, il concreto ricorso da parte della compagine
16

55\s’Y”

criminosa alla metodologia mafiosa ovvero l’avvalimento della forza di intimidazione propria del
vincolo associativo capace di determinare una condizione di assoggettamento e di omertà in
capo agli operatori economici dell’area d’influenza del sodalizio.

Contrariamente all’assunto difensivo che ipotizza il mero sfruttamento da parte della
compagine facente capo agli imputati dello stato di assoggettamento conseguente alle
intimidazioni e al controllo del territorio e delle attività economiche già conseguito dal clan
Padovano nei decenni precedenti, e che fonda la disattesa richiesta di derubricazione del delitto

particolare quella di primo grado che si segnala per l’esaustivo scrutinio dei materiali acquisiti,
hanno evidenziato come l’imposizione di ditte legate al sodalizio nella gestione della sicurezza
presso lidi e discoteche di Gallipoli sia avvenuta, dapprima, attraverso la violenta estromissione
del De Giorgi dal mercato mediante palesi intimidazioni volte non solo a piegare la
determinazione della vittima ma a mandare chiari segnali ai fruitori dei servizi dal medesimo
prestati, in seguito, anche mediante il diretto ricorso alla violenza nei confronti degli addetti
alla sicurezza rimasti fedeli al De Giorgi (a seguito del subentro di Tomasi Luca, diretta
espressione del gruppo criminale), e di imprenditori recalcitranti, come emerge dalla denunzia
sporta da Marrella Angelo in relazione alla vicenda dell’attività di sicurezza presso il Praja
ovvero dalle minacce ricevute da Fajulo Cesareo e Casciaro Emanuele in prossimità del
rinnovo del contratto di security per lo stabilimento Zen con De Giorgi Gianluca. Né difetta
nella specie la prova della chiara percezione da parte degli altri imprenditori che avevano
accettato di sostituire la società del Di Giorgi con il Pellegrino ( pur sprovvisto delle
autorizzazioni necessarie all’espletamento dell’attività) ovvero con il Tomasi nell’attività di
security della ” opportunità” di non protrarre la collaborazione con il primo , evidentemente
inviso al Padovano, al Parlangeli ed ai loro sodali, come reso evidente dalle ripetute condotte
minatorie poste in essere nei confronti dello stesso e dei familiari.
Pertanto, non può che convenirsi con le conclusioni dei giudici di merito circa il fatto che il
sodalizio criminoso a giudizio, pur giovandosi dell’onda lunga del prestigio criminale acquisito
sul territorio dal clan Padovano nell’arco di un ventennio, ne aveva raccolto l’eredità,
espungendo la frangia degli esponenti più compromessi con il Padovano Pompeo Rocco, e
perpetuato i metodi spiccatamente mafiosi, replicandoli in vista dell’attuazione di un proprio,
autonomo programma criminoso.
9.2.4 Deve, infine, negarsi pregio alle censure che concernono il ruolo direttivo ascritto agli
imputati nel sodalizio sub A) e il carattere armato dell’associazione. La Corte territoriale con
riguardo alla prima doglianza ha correttamente richiamato le evidenze che hanno
accompagnato la ricostituzione del gruppo criminale sotto la guida del Padovano, affiancatosubito dopo l’episodio dell’aggressione subita per ostacolarne l’ascesa- da Parlangeli Roberto
nonché le dichiarazioni del collaboratore Barba Giuseppe, attestanti l’emergente ruolo di
17

pA

in esame nella fattispecie semplice di cui all’art. 416 cod.pen., le sentenze di merito, ed in

primazia degli imputati in conseguenza dell’appoggio dei monteronesi di cui Parlangeli, cognato
del Padovano, era espressione. A conferma del fatto che i prevenuti ” costituivano il motore e il
terminale della gestione di ogni attività illecita portata avanti dal gruppo”, la sentenza
impugnata ha fatto, altresì, riferimento alle capacità organizzative messe in campo nella
realizzazione dei reati scopo ascritti ai capi B),C),D),E),F), agli esiti delle intercettazioni
telefoniche ed ambientali, alle concrete modalità impiegate dal clan per accaparrarsi la
gestione delle attività economiche della zona, evidenziando l’attribuibilità ai ricorrenti della
definizione degli obiettivi criminali del clan e la pianificazione delle attività necessarie al loro

giurisprudenza di legittimità che riconosce la qualifica di “capo” a chi si trova al vertice
dell’organizzazione e a quanti rivestano incarichi direttivi e risolutivi nella vita del gruppo
criminale e nel suo esplicarsi quotidiano in relazione ai propositi delinquenziali realizzati (Sez.
4, n. 29628 del 21/06/2016 , Pugliese e altri, Rv. 267464, Sez. 2, n. 19917 del 15/01/2013,
Bevilacqua ed altri, Rv. 255915), non essendo ragionevolmente revocabile in dubbio , alla
stregua delle risultanze acquisite, la centralità degli imputati sotto il profilo della promozione,
strutturazione operativa, direzione dell’attività della compagine.
Quanto

all’aggravante della dotazione di armi la Corte territoriale, conformemente alla

sentenza di primo grado, ne ha ritenuto la sussistenza sulla base degli atti intimidatori,
commessi con uso di armi od esplosivo, in danno del De Giorgi e del Calcagnile, evadendo il
gravame difensivo con motivazione congrua ed aderente agli esiti processuali scrutinati.
9.3 Inammissibile per manifesta infondatezza s’appalesa il quinto motivo che denunzia la
“ipervalutazione” delle dichiarazioni delle pp.00. De Giorgi e Calcagnile a fondamento dei
giudizio di penale responsabilità dei prevenuti per i delitti di estorsione ed intestazione fittizia
di beni loro ascritti. La Corte territoriale ha scrupolosamente evaso le doglianze difensive sul
punto, dando conto della loro infondatezza con motivazione priva di criticità logiche o aporie
giustificative. Invero, le dichiarazioni del De Giorgi sono state sottoposte a serrato vaglio già
dal primo giudice, il quale ne ha ricostruito in dettaglio i contenuti ( pag. 42 e segg.),
evidenziando i riscontri provenienti dalle conversazioni intercettate e negando fondamento al
sospetto insinuato dalla difesa che il dichiarante fosse consapevole delle captazioni e avesse
confezionato le conversazioni con amici e conoscenti in modo da precostituirsi una conferma a
quanto denunziato. Il percorso argomentativo dei giudici di merito appare frutto di una corretta
applicazione dei criteri d’apprezzamento della prova dichiarativa e sotteso da una trama di
stringente consequenzialità logica nell’evidenziare lo sviluppo del piano delittuoso volto
all’estromissione dell’Az Securteam dal mercato delle attività di sicurezza, attraverso le iniziali
richieste di assunzione dei fratelli Pellegrino, le successive richieste di danaro direttamente
formulate dal Padovano e dal Parlangeli per giungere alla sostituzione dell’impresa con altre,
direttamente collegate al sodalizio. I reiterati atti intimidatori subiti nell’arco temporale di
interesse dal De Giorgi ( esplosione di colpi di pistola contro l’abitazione della madre, il furto
18

cPA

conseguimento. La concorde valutazione dei giudici di merito è coerente con i principi della

nell’abitazione, l’incendio di un’automobile e di una moto custodite all’interno del box di sua
proprietà), quantunque non oggetto di specifico addebito, sono stati attendibilmente ritenuti
provenienti dall’associazione e diretti non solo all’obiettivo immediato di piegare le resistenza
della vittima ma anche a ingenerare un clima di assoggettamento negli imprenditori interessati
ai servizi, creando le condizioni per il subentro nell’attività di imprese gradite. Al riguardo sono
stati evidenziati, a conferma della credibilità delle dichiarazioni del De Giorgi, oltre i riscontri
provenienti dalle intercettazioni telefoniche e dalle denunzie sporte per le condotte minatorie,
ulteriori elementi di convalida desunti dalle dichiarazioni dell’Avv. Suez in ordine all’incontro

costituzione della cooperativa ” Lu Rusciu te lu nnaru”, dalle dichiarazioni degli imprenditori
Casciaro e Faiulo nonché dalle dichiarazioni del collaboratore Barba Giuseppe, il quale ha
riferito che dal 2011 ” Angelo Padovano stava cercando di accaparrarsi la gestione della c.d.
“sicurezza ” degli esercizi gallipolini ( sent. Gup pag. 69). Pertanto, i giudici di merito lungi dal
recepire mere illazioni e congetture del Di Giorgi, elevandole a dignità di prova, hanno
puntualmente verificato l’attendibilità del dichiarante con esiti appaganti sia con riguardo ai
criteri valutativi adottati che al supporto giustificativo fornito.
Allo stesso modo adeguatamente apprezzate risultano le propalazioni del denunziante
Calcagnile che trovano ampio riscontro nella deposizione assunta in abbreviato ex art. 441
cod.proc.pen. del collaboratore di giustizia Greco Gioele.
9.4 Con il sesto motivo di gravame la difesa del Padovano e del Parlangeli lamenta che,
sebbene il Gup abbia ritenuto assorbita l’aggravante di cui all’art. 7 L. 203/91 in quella di cui
all’art. 628, comma 3 n. 3, cod.pen. quanto ai reati fine, la Corte territoriale ha confermato gli
aumenti a titolo di continuazione, argomentando che i reati satellite sarebbero pur sempre
aggravati ai sensi della disposizione elisa. Osserva la Corte che il primo giudice, a pag. 267, ha
escluso il concorso tra la circostanza aggravante di cui all’art. 7 D.L. 13 maggio 1991 n. 152 e
quella di cui all’art. 628, comma 3, n. 3 in relazione all’art. 629, comma 2, cod. pen., ritenendo
l’assorbimento della prima nella seconda ma il riferimento impreciso della Corte all’art. 7 in
sede di dosimetria della pena e al fine di giustificare la congruità degli aumenti a titolo di
continuazione costituisce una mera imprecisione che non comporta alcuna violazione del
divieto di reformatio in pejus , stante l’evidente riferimento ai contenuti dell’aggravante, non
esclusi ma reputati sussunti per continenza nell’alveo della più grave circostanza ex art. 628
cod.pen.
9.5 Ad analoghi esiti di inammissibilità per manifesta infondatezza deve pervenirsi in relazione
alle doglianze che attingono il trattamento sanzionatorio e la mancata concessione delle
attenuanti generiche, avendo i giudici di merito fondato le proprie valutazioni su un corretto
apprezzamento degli indici dosimetrici di cui all’art. 133 cod.pen., richiamando in senso
ostativo alla concessione delle attenuanti generiche la gravità dei fatti ascritti ai prevenuti e, in
particolare, la spiccata capacità d’intimidazione espressa dal sodalizio di cui ricoprivano ruoli
19

tra la p.o. e il Parlangeli presso il distributore Esso di Gallipoli, dalle vicende relative alla

apicali, nonché la notevole intensità del dolo e la capacità a delinquere emergente dalle
condotte esecutive degli illeciti. Siffatte valutazioni, ampiamente argomentate, si sottraggono
a censura in questa sede in quanto ponderata espressione del discrezionale apprezzamento
del giudice nella commisurazione della pena, sorretto da adeguato supporto giustificativo.
10. Con riguardo alla posizione del ricorrente Cardellini Gabriele s’appalesa fondato il primo
motivo di gravame che censura l’intervenuta condanna alle spese nonostante la revoca della
confisca disposta dai giudici d’appello. Osserva la Corte che l’art. 592, comma 1 , cod.proc.pen.

impugnazione quello della soccombenza dell’imputato, per cui qualunque modificazione della
sentenza di primo grado in senso favorevole all’imputato stesso è d’ ostacolo alla sua condanna
alle spese del giudizio di appello. Pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata senza
rinvio in parte qua, stante l’illegittimità della statuizione.

10.1 Le ulteriori censure proposte nel ricorso principale e nei motivi aggiunti in punto
d’affermazione responsabilità per gli episodi di spaccio e di qualificazione degli illeciti alla
stregua del comma V dell’art. 73 Dpr 309/90 sono inammissibili per manifesta infondatezza. La
sentenza impugnata ha confermato il giudizio di responsabilità del prevenuto per le condotte
di cessione di stupefacenti ascritte al capo G), richiamando le conversazioni tra presenti
intercettate sul furgone in uso all’imputato e le dichiarazioni spontanee rese in sede di
discussione del giudizio abbreviato allorchè ammetteva lo svolgimento nel periodo d’interesse
di attività di spaccio, adducendo la necessità d procurarsi i mezzi per far fronte ai suoi bisogni
di tossicodipendente. La difesa lamenta che la sentenza impugnata ha malinteso l’ampiezza
del gravame, assumendo la sola generica contestazione degli episodi contestati, mentre, per
altro verso,risulterebbe impossibile considerare le dichiarazioni dell’imputato quale ammissione
di responsabilità in relazione agli specifici addebiti contestati.

Osserva la Corte che le doglianze sono palesemente destituite di fondamento dal momento che
la sentenza impugnata ( pagg. 97-102) ha richiamato per ciascun episodio contestato le fonti
probatorie che sostanziano l’illecito, confutando nel merito il gravame difensivo e dimostrando
l’autosufficienza ai fini del giudizio di responsabilità degli indizi, di univoco spessore
dimostrativo, tratti dalle conversazioni captate, a prescindere dall’assai modesto rilievo
riconducibile alle generiche ammissioni del prevenuto.

10.1.2. Peraltro, non ci si può esimere dal sottolineare come le doglianze proposte in sede
d’appello concernano profili già scrupolosamente sondati dal Gup ( pag. 231/252), il quale per
ciascun addebito ha valutato criticamente gli esiti intercettivi, dando conto delle ragioni a
fondamento del giudizio di responsabilità in maniera puntuale e oculata, come emerge dalla
pronunziata assoluzione per taluni degli episodi sub G ). A fronte di un apparato giustificativo
della decisione di primo grado oltremodo accurato nella descrizione dei singoli fatti di reato,
20

P)A

individua quale criterio regolatore dell’obbligo delle spese processuali nei giudizi di

nell’individuazione delle fonti dimostrative di responsabilità e nell’esame critico delle stesse,
ben si comprende il rilievo della Corte territoriale che ha evidenziato come il gravame si
limitasse a generiche contestazioni, non sottraendosi -nondimeno- ad un riesame di dettaglio
delle singole fattispecie. Non è ultroneo ribadire che le motivazioni delle conformi sentenze di
primo e di secondo grado si integrano in un percorso argonnentativo unitario sicchè se
l’appellante si limita alla riproposizione di questioni di fatto o di diritto già adeguatamente
esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, oppure prospetta critiche generiche,
superflue o palesemente infondate, il giudice dell’impugnazione ben può motivare per

motivazione, quando sono formulate censure o contestazioni specifiche, introduttive di rilievi
non sviluppati nel giudizio anteriore o contenenti argomenti che pongano in discussione le
valutazioni in esso compiute (Sez. 6, n. 28411 del 13/11/2012 , Santapaola e altri, Rv.
256435; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011 , Valerio, Rv. 252615; nel senso della legittima
preternnissione dell’esame di doglianze dell’atto di appello che avevano già trovato risposta
esaustiva nella sentenza del primo giudice, Sez. 2, n. 19619 del 13/02/2014, Bruno e altri, Rv.
259929) giacchè il vizio di motivazione è ravvisabile solo nell’omessa valutazione delle
allegazioni difensive dotate del requisito della decisività (Sez. 2, n. 10758 del 29/01/2015 ,
Giugliano, Rv. 263129; Sez. 5, n. 2916 del 13/12/2013 , Rv. 257967).

Alla stregua dei richiamati principi s’appalesa insussistente il vizio di motivazione denunziato
in relazione al capo M) con precipuo riguardo all’alternativa lettura della intercettazione in data
30.1.2014, atteso l’ ampio scrutinio operato dal primo giudice (pag. 257 e segg), con precisa
individuazione dei profili di responsabilità concorsuale del ricorrente sulla scorta di una
persuasiva lettura dei contenuti dell’intercettazione contestata, convalidata dagli ulteriori
elementi di prova acquisiti e dall’attività della P.g., elementi partitamente richiamati dai giudici
d’appello a confutazione dei rilievi difensivi. Infatti,l’obbligo di motivazione del giudice
dell’impugnazione non richiede necessariamente che egli fornisca specifica ed espressa risposta
a ciascuna delle singole argomentazioni, osservazioni o rilievi contenuti nell’atto
d’impugnazione, se il suo discorso giustificativo indica le ragioni poste a fondamento della
decisione e dimostra di aver tenuto presenti i fatti decisivi ai fini del giudizio, sicchè, quando
ricorre tale condizione, le argomentazioni addotte a sostegno dell’appello, ed incompatibili con
le motivazioni contenute nella sentenza, devono ritenersi, anche implicitamente, esaminate e
disattese dal giudice, con conseguente esclusione della configurabilità del vizio di mancanza di
motivazione di cui all’art. 606, comma primo, lett. e), cod.proc.pen. (Sez. 1, n. 37588 del
18/06/2014 , Amaniera ed altri, Rv. 260841).

10.2 Con riguardo alla denegata sussunzione dei fatti nel paradigma sanzionatorio dell’art. 73
comma 5 dpr 309/90, ampiamente contestata nei motivi aggiunti proposti,deve rilevarsi come
la Corte territoriale abbia fatto corretta applicazione degli indici ermeneutici

elaborati al

21

cpN

relazione; dovendo invece procedere a puntuale vaglio, dandone conto con adeguata

riguardo

dalla giurisprudenza di legittimità, richiamando in senso ostativo all’invocata

riqualificazione la continuativa e prolungata attività di spaccio di diverse sostanze stupefacenti,
organizzata e svolta in modo imprenditoriale con la collaborazione di fornitori e spacciatori al
minuto, con rilevanti ricavi destinati all’acquisto di beni immobili.
Questa Corte ha affermato che in materia di sostanze stupefacenti, è legittimo il mancato
riconoscimento della fattispecie di lieve entità, di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre
1990, n. 309, qualora l’attività di spaccio sia svolta in un contesto organizzato le cui

funzionali a tale scopo, l’accertata reiterazione delle condotte di spaccio e la disponibilità di
tipologie differenziate di sostanze stupefacenti, pur se in quantitativi non rilevanti, siano
sintomatiche della capacità dell’autore del reato di diffondere in modo sistematico sostanza
stupefacente. (Sez. 6, n. 3363 del 20/12/2017, Cesarano e altro, Rv. 272140). Infatti, se la
reiterazione nel tempo di una pluralità di condotte di cessione della droga non preclude
automaticamente al giudice di ravvisare il fatto di lieve entità, siffatto parametro deve essere
valutato congiuntamente agli altri dettati, in proposito, dall’art. 73, comma quinto, di talchè
è legittimo il mancato riconoscimento della fattispecie qualora la singola cessione di una
quantità modica, o non accertata, di droga costituisca manifestazione effettiva di una più
ampia e comprovata capacità dell’autore di diffondere in modo non episodico, nè occasionale,
sostanza stupefacente, non potendo la valutazione della offensività della condotta essere
ancorata al solo dato statico della quantità volta per volta ceduta, ma dovendo essere frutto di
un giudizio più ampio che coinvolga ogni aspetto del fatto nella sua dimensione oggettiva
(Sez. 3, n. 6871 del 08/07/2016, Bandera e altri, Rv. 269149; Sez. 4, n. 40720 del
26/04/2017, Nafia e altri, Rv. 270767. Sulla rilevanza della eterogeneità delle sostanze e delle
modalità organizzate della condotta quando risultano dimostrative di una significativa
potenzialità offensiva anche Sez. 6, n. 29132 del 09/05/2017, Merli, Rv. 270562).
Deve, pertanto, concludersi che la Corte territoriale ha adeguatamente giustificato l’esclusione
dell’ipotesi attenuata in ragione della capacità dell’ imputato di diffondere in modo non
episodico né occasionale sostanza stupefacente nel contesto territoriale di riferimento, desunta
dall’intensità del traffico, dalla pluralità di sostanze vendute, dalla sussistenza di una
rudimentale organizzazione dell’attività criminale, da una numerosa e fedele clientela acquisita,
e da incassi ingenti, con giudizio aderente agli esiti processuali e alle coordinate ermeneutiche
fissate dalla giurisprudenza di legittimità.
10.3 Analogamente non può riconoscersi fondamento alle censure che concernono il diniego di
concessione delle attenuanti generiche e la dosimetria della pena, avendo la Corte territoriale
ritenuto insussistenti profili di nneritevolezza atti a giustificare il riconoscimento delle
circostanze ex art. 62 bis cod.pen., argomentando, altresì, sulla congruità della pena ( fissata
in misura prossima ai minimi con contenuti aumenti a titolo di continuazione), giudizio in
22

PP’

caratteristiche, quali il controllo di un’apprezzabile zona del territorio, l’impiego di mezzi

questa sede non censurabile in quanto adeguatamente motivato.
11. La difesa di Fortunato Alessio deduce con il primo motivo l’erronea valutazione della
prova e il vizio di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità per capo N, nel quale
gli si addebita in concorso con Palazzo Sergio l’acquisto e l’illecita detenzione a fini di spaccio di
kg 1,290 di hascisc.Le doglianze difensive sono reiterative di quelle già introdotte in sede
d’appello e motivatamente disattese con un percorso argomentativo congruo e privo di criticità
logiche. La Corte territoriale ( pagg. 106-110) ha dettagliatamente ricostruito l’episodio sulla

dando conto delle ragioni a fondamento della conferma del giudizio di responsabilità del
prevenuto, individuato dagli operanti come il soggetto alla guida del veicolo Alfa 147, artefice
della consegna del pacco contenente lo stupefacente all’Oltremarini. La valutazione delle fonti
probatorie scrutinate dai giudici di merito non presta il fianco a censura per completezza e
congruenza ricostruttiva sicchè devono essere disattese le censure difensive che mirano ad
una rilettura delle stesse, orientata in senso liberatorio,in questa sede preclusa.
11.1 Quanto alla mancata esclusione della contestata recidiva, deve rilevarsi che la doglianza
non è consentita, in quanto non specificamente dedotta in sede d’appello e, comunque,
s’appalesa manifestamente infondata, avendo la Corte espressamente evocato a sostegno della
sussistenza dell’aggravante i reiterati precedenti del Fortunato, ritenendoli espressione di una
notevole progressione criminosa e di ingravescente pericolosità dell’imputato.
12. Con riguardo alla posizione di Oltremarini Rosario la difesa denunzia in via principale la
violazione dei criteri di valutazione della prova e il travisamento della stessa in relazione alla
contestazione sub P) ( tentata estorsione aggravata e continuata in concorso in danno di
Calcagnile Vincenzo) nonché la mancata derubricazione nel tentativo di ragion fattasi in quanto
l’attività intimidatoria asseritamente posta in essere nei confronti della p.o. troverebbe la
propria causale nel rapporto commerciale intercorso tra il Calcagnile e il coimputato Pellegrino
ed era finalizzata a consentire da parte di quest’ultimo il recupero di un credito. Anche in
questo caso le doglianze proposte hanno natura reiterativa e risultano ampiamente valutate,
con un adeguato supporto argonnentativo, dalla sentenza impugnata che, dopo aver delimitato
il giudizio di responsabilità all’episodio del 2/7/2014, ha escluso, in conformità alle dichiarazioni
della p.o., l’esistenza di crediti commerciali in capo al Pellegrino, richiamando le annotazioni
circa il saldo riportate sulle fatture esibite dalla difesa ed evidenziando come, anche a voler
valorizzare a sostegno della tesi difensiva le sole due fatture prive di siffatta attestazione,
l’importo dovuto sarebbe stato di gran lunga inferiore a quello preteso dagli imputati
Oltremarini e Pellegrino in occasione dell’incontro del 2 luglio 2014. La Corte ha, altresì,
enunziato le ulteriori circostanze che inducono a negare fondamento all’alternativa
prospettazione difensiva, come l’assenza di qualsivoglia cenno alle ragioni creditorie da parte
degli imputati e la stretta correlazione tra l’episodio in esame ed

altri episodi di

taglieggiamento ascrivibili a soggetti vicini o organici al clan Padovano.
23
033j

scorta delle captazioni telefoniche ed ambientali nonché del servizio d’osservazione della P.g.,

12.1 Quanto all’aggravante ex art. 7 L. 203/91 deve rilevarsi che le censure difensive non
hanno pregio, stante l’esaustiva motivazione resa in ordine alla ravvisabilità della stessa a
pag.97 della sentenza impugnata. Siffatta valutazione è coerente con i principi fissati dalla
giurisprudenza di legittimità, alla cui stregua la circostanza aggravante prevista dall’art. 7 L.12
luglio 1991, n. 203, nella specie del ricorso al metodo mafioso, è legittimamente desumibile
laddove la richiesta economica di natura estorsiva provenga da un soggetto ben noto alla
vittima quale associato alla locale malavita organizzata e dedito all’attività estorsiva, salvo che

contesti (Sez. 2, n. 36115 del 27/06/2017, Pacilli e altro, Rv. 271004), evenienza
attendibilmente esclusa alla luce della complessiva ricostruzione dell’episodio delittuoso.
13. Manifestamente infondato s’appalesa il ricorso proposto nell’interesse di

Palazzo Sergio

che assume l’erronea determinazione della pena alla luce dei contraddittori elementi forniti dal
primo giudice.La Corte territoriale a pag. 116 ha ritenuto di dover emendare gli errori di calcolo
denunziati dalla difesa ” dovendosi dare prevalenza alla pena, leale e conforme ai criteri di cui
all’art. 133 c.p., indicata in dispositivo”. Questa Corte ha precisato che in caso di difformità tra
dispositivo e motivazione, il primo prevale sulla seconda, in quanto il dispositivo costituisce
l’atto con il quale il giudice estrinseca la volontà della legge nel caso concreto, mentre la
motivazione ha una funzione esplicativa della decisione adottata (Sez. 2, n. 15986 del
07/01/2016, Marzico, Rv. 266717) e detto principio incontra una deroga solo nel caso in cui
l’esame della motivazione consenta di ricostruire chiaramente ed inequivocabilmente la volontà
del giudice (Sez. 2, n. 3186 del 28/11/2013, Fu Fenglou, Rv. 258533). Nel caso a giudizio non
vi è discrasia tra la pena enunziata in motivazione e quella indicata in dispositivo ma un errore
nel computo della stessa, individuabile in un refuso nella quantificazione della pena base e
dell’aumento per la recidiva, che la Corte d’appello ha legittimamente ritenuto di correggere,
facendo salvo il decisum del primo giudice.
14. Palesamente infondata risulta la doglianza proposta nell’interesse di Natali Carmelo che
assume il difetto di contestazione dell’ aggravante ex art. 7 L. 203/91 in relazione al capo F),
emergendo, al contrario, dalla lettura dell’imputazione la precisa contestazione della
circostanza , declinata per il Padovano e il Parlangeli anche sotto il profilo dell’agevolazione del
sodalizio criminale d’appartenenza. Quanto alle censure in punto di valutazione della prova
dichiarativa, con particolare riguardo al teste Marrella, osserva la Corte che la difesa sollecita
apertamente una rivalutazione in fatto delle emergenze probatorie poste a fondamento del
giudizio di penale responsabilità del ricorrente, eludendo il confronto critico con

l’ampia

motivazione spiegata dalla Corte territoriale, che ha ricostruito i profili della partecipazione del
Natali all’episodio estorsivo in danno dei gestori della discoteca Praya sulla base di una
complessa piattaforma che annovera i contenuti della conversazione in data 14/5/2013 tra il
De Giorgi e l’Avv. Suez , la dettagliata ricostruzione delle dichiarazioni di Marrella Angelo e
degli elementi di riscontro, la confutazione della pretesa inattendibilità del dichiarante,
24

,d3s

non ricorrano elementi indicativi della riconducibilità della indebita richiesta economica ad altri

elementi sinergicamente valorizzati e trasfusi in un apparato argomentativo privo di criticità
giustificative.
15. La difesa di Pellè Gabriele lamenta con il primo motivo la violazione artt. 63 e 210
cod.proc.pen. sull’assunto dell’inutilizzabilità patologica delle dichiarazioni rese da Calcagnile
Vincenzo. Trattasi di questione già devoluta in sede d’appello ed evasa dalla Corte territoriale
con esaustiva motivazione alle pagg. 86 e segg. della sentenza impugnata. Il ricorrente
attraverso la denunziata violazione di legge sollecita una rivisitazione dei profili di

truffa in danno di Corallo Vito Francesco per cui il Calcagnile ha riportato condanna in primo
grado nel luglio 2015. Va osservato al riguardo che ( come già rilevato per la posizione della
p.o. De Giorgi) la giurisprudenza di legittimità ritiene in maniera del tutto condivisibile che
allorché venga in rilievo la veste che può assumere il dichiarante, spetta al giudice il potere di
verificare al di là del riscontro di indici formali – come l’eventuale già intervenuta iscrizione nel
registro delle notizie di reato – l’attribuibilità allo stesso della qualità di indagato nel momento
in cui le dichiarazioni stesse vengano rese e il relativo accertamento si sottrae, se
congruamente motivato, al sindacato di legittimità (Sez. 2, n. 51840 del 16/10/2013, Caterino,
Rv. 258069; Sez. 6, n. 20098 del 19/04/2016.g. in proc. Scalisi ed altri, Rv. 267129). Questa
Corte ha ulteriormente precisato che è onere della parte interessata ad opporsi all’assunzione
della testimonianza di allegare, prima della assunzione delle dichiarazioni, le circostanze
fattuali da cui risultano situazioni di incompatibilità a testimoniare, sempre che la posizione del
dichiarante non risulti già dagli atti nella disponibilità del giudice e non sussistano i presupposti
perché questi si attivi d’ufficio, in conseguenza di una richiesta di prova formulata sul punto
dalle parti, ex art. 493 cod. proc. pen, ovvero in ragione dell’assoluta necessità di disporre
l’escussione del dichiarante, ai sensi dell’art. 507 dello stesso codice (Sez. 6, n. 12379 del
26/02/2016, Picciolo, Rv. 266422).

Risulta dalle sentenze di merito che, all’atto dell’esame del Calcagnile in sede di giudizio
abbreviato all’udienza del 10/11/2015 – disposto su richiesta condizionante della difesa
dell’imputato Pellegrino- il medesimo aveva già riportato condanna in primo grado per il delitto
di truffa in danno del Corallo, delitto che si assume connesso o collegato ai fatti a giudizio,
senza che alcun rilievo risulti formulato dalla difesa del prevenuto in ordine alla sua veste
dichiarativa, nonostante la contestazione concursuale dell’addebito sub P) al Pelle e al
Pellegrino.
Le Sezioni Unite con le sentenze n. 33583/2015, Lo Presti e n. 15208/2010, Mills hanno
evidenziato che per potere applicare la norma di cui all’art. 210 cod. proc. pen. il giudice deve
essere messo in condizione di conoscere le situazioni di potenziale incapacità a testimoniare o
di incompatibilità, le quali, se non risultano dall’incarto processuale, devono essere dedotte
dalla parte interessata, su cui grava l’onere di allegare le circostanze fattuali suscettibili
25

po\-

collegamento qualificato ex art. 371 lett. b) cod.proc.pen., con particolare riguardo al reato di

d’integrarle . Infatti,a norma dell’art. 187, comma 2, cod. proc. pen. costituiscono oggetto di
prova anche i fatti dai quali dipende l’applicazione di norme processuali sicchè il giudice è
tenuto a farsi carico dell’accertamento dell’esistenza di situazioni di incompatibilità a
testimoniare solo se le parti chiedono l’acquisizione di prove pertinenti in proposito ex art. 493
cod. proc. pen.
15.1 La difesa del Pelle deduce ulteriormente la violazione di legge e il vizio della motivazione
con riguardo al giudizio di responsabilità per i capi O) e P) della rubrica , reiterando rilievi già
devoluti in sede d’appello e disattesi con un congruo apparato argonnentativo che ha

riqualificazione del capo P) in tentativo di estorsione aggravata- le dichiarazioni della p.o.,
stimate intrinsecamente attendibili anche in esito al rinnovato scrutinio imposto dalla natura
delle doglianze difensive, e le dichiarazioni del chiamante in correità Greco Gioele, il quale ha
dettagliamente ricostruito la genesi della vicenda estorsiva e il suo coinvolgimento quale
materiale redattore — su suggerimento del Padovano- del biglietto contenente la richiesta di
pagamento di euro 50mila. Non hanno pregio, dunque, i rilievi difensivi in ordine al tempus
commissi delicti indicato nel capo O) alla stregua della denunzia della p.o. ( pag. 93 sent. di
primo grado) come pure l’assunto di un radicale difetto di prova in ordine alle condotte
partecipative del prevenuto. Invero, dalla ricostruzione della vicenda operata dai giudici di
merito emerge che l’imputato, oltre ad aver accompagnato i fratelli Parlangeli in occasione
degli incontri con la vittima nel corso dei quali furono formulate espresse minacce, si recò
insieme a Parlangeli Giovanni a consegnare al Greco la quota di sua spettanza proveniente
dall’estorsione e nell’occasione i due confidarono al collaboratore che erano stati loro ad
esplodere colpi di fucile contro la saracinesca dell’esercizio del Calcagnile mentre in occasione
dell’incontro presso l’area di servizio Esso sulla S.S.613 il ricorrente ebbe a minacciare
personalmente il Calcagnile , asserendo che gli avrebbe sparato se non avesse “sistemato
Gianni”. Né ha fondamento il rilievo in ordine alla mancata qualificazione giuridica della
fattispecie sub O) alla stregua di tentativo, avendo la Corte territoriale valutato la doglianza
difensiva, fornendo risposta negativa alla luce delle osservazioni conclusive riportate a pag. 91
della sentenza impugnata.
15.2 Fondata risulta la censura inerente la violazione degli artt. 522 cod.proc.pen. e dell’art.
7 L. 203/91. Nel quantificare la pena irrogata al Pelle a seguito della riqualificazione
dell’estorsione sub P) nella forma tentata, la Corte territoriale ( pag. 114/115) ha individuato
quale reato di maggiore gravità quello contestato al capo O) ed ha irrogato per tale titolo la
pena di anni sei di reclusione ed euro 7.500,00 di multa, aumentata di anni due di reclusione
ed euro 2.500,00 di multa ex art. 7, con ulteriori aumenti ex art. 81, comma 2, cod.pen. fino
all’inflitto. Osserva la Corte che, come segnalato dalla difesa, il delitto ascritto al capo O) non è
aggravato a norma dell’art. 7 L. 203/91, non risultando la contestazione della circostanza né
attraverso il richiamo agli estremi normativi né in fatto. Pertanto, l’operato aggravamento
26

richiamato a sostegno del giudizio di responsabilità per gli addebiti contestati- previa

sanzionatorio viola il principio di correlazione e impone l’annullamento della sentenza
impugnata in parte qua, con rinvio alla Corte d’Appello di Lecce- Sezione Distaccata di Tarantoper nuovo giudizio sul punto concernente l’individuazione del reato più grave e la conseguente
determinazione del trattamento sanzionatorio.
15.3 Inammissibili per manifesta infondatezza s’appalesano, invece, le doglianze in relazione
all’aggravante ex art. 7 L. 203/91 contestata al capo P), stante l’esaustiva illustrazione nel
capo d’imputazione delle modalità mafiose usate per le intimidazioni in danno del Calcagnile,

sentenza impugnata delle condotte a giudizio, i cui connotati esecutivi danno ragione della
ricorrenza della circostanza, integrata dal ricorso a modalità esecutive che evocano la forza
intimidatrice tipica dell’agire mafioso ed ascrivibile anche nel caso di reati posti in essere da
soggetti estranei al reato associativo.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la condanna al pagamento delle spese processuali nei confronti di
Cardellini Gabriele. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso del Cardellini.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Pellè Gabriele limitatamente alla ritenuta
sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 7 Legge 203/1991 in relazione al capo O
ed al trattamento sanzionatorio, con rinvio alla Corte d’Appello di Lecce -Sezione Distaccata di
Taranto – per nuovo giudizio sul punto. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso di Pellè
Gabriele.
Dichiara inammissibili i residui ricorsi e condanna i ricorrenti Padovano Angelo, Parlangeli
Roberto, Fortunato Alessio, Oltremarini Rosario, Palazzo Sergio e Natali Carmelo al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro duemila ciascuno a favore della Cassa delle
Amemnde.
Così deciso in Roma, camera di consiglio del 21 Marzo 2018

Il Consigliere estensore
Anna Maria De Santis

Il Presidente
Piercamillo Davigo

la motivazione resa sul punto dal primo giudice e la puntuale ricostruzione da parte della

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