Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19695 del 21/03/2018


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 19695 Anno 2018
Presidente: DI NICOLA VITO
Relatore: DI STASI ANTONELLA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
DIGIACOMOANTONIO GIUSEPPE, nato a Trinitapoli il 12/03/1972

avverso la sentenza del 27/04/2016 del Tribunale di Foggia

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott.ssa Antonella Di Stasi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
dott. Gianluigi Pratola, che ha concluso chiedendo la declaratoria di
inammissibilità del ricorso.

DEPOSITATA IN CN4CELLF,

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2018

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Data Udienza: 21/03/2018

RITENUTO IN FATTO
1.

Con sentenza del 27/04/2016, Tribunale di Foggia dichiarava

Digiacomoantonio Giuseppe responsabile dei reati di cui agli artt. 256, comma 1
del d.lvo 152/2006 e 674 cod.pen. e lo condannava alla pena di euro 6.000 di
ammenda.
2. Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto appello, convertito in
ricorso per cassazione ex art. 568, comma 5, cod.proc.pen., articolando due
motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione,

Con il primo motivo deduce violazione degli artt. artt. 256, comma 1 del
divo 152/2006 e 674 cod.pen. per erronea valutazione dei fatti e difetto degli
elementi costitutivi dei reati contestati.
Argomenta che il Tribunale aveva ritenuto l’imputato responsabile del reato
di furto, con conclusioni frutto di mere supposizioni e di ipotesi non suffragate
dalle circostanze di accertamento del fatto; difettava la prova dell’elemento
soggettivo e le dichiarazioni rese dai verbalizzanti comprovavano la non
colpevolezza dell’imputato.
Con il secondo motivo chiede la rideterminazione del trattamento
sanzionatorio lamentando che il primo giudice avrebbe dovuto applicare una
pena più adeguata ai fatti ed alla personalità dell’imputato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. In via preliminare va rilevato che l’atto di appello- convertito in ricorso
per cassazione- è stato proposto dal difensore di fiducia di Digiacomantonio
Giuseppe, avv. Antonio Di Pillo, che non risulta iscritto nell’albo speciale di cui
all’art.613 cod.proc.pen.
Nondimeno, il ricorso deve intendersi proposto personalmente dall’imputato,
in quanto reca in calce l’atto di nomina del difensore sottoscritto dall’imputato,
con implicito ma evidente valore di condivisione della dichiarazione e dei motivi
di impugnazione, che quindi devono giuridicamente ritenersi fatti propri
dall’imputato, il quale se ne assume la paternità (Sez. U, n.47803 del
27/11/2008, Rv.241355).
2. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Il motivo è inconferente con riferimento ai capi di imputazione.
All’imputato sono stati, infatti contestati i reati di cui agli artt. artt. 256,
comma 1 del divo 152/2006 e 674 cod.pen., nel mentre il motivo menziona una
imputazione per il reato di furto.

2

come disposto dall’art. 173 comma 1, disp. att. cod. proc. pen.

Deve, quindi, dichiararsi inammissibile il motivo, in quanto non ha alcuna
specifica attinenza al concreto decisum della sentenza impugnata e tale caso va
assimilato all’ipotesi di mancanza o aspecificità del motivo (Sez.3, n.39071 del
05/06/2009, Rv.244957).
3.

Quanto al secondo motivo, deve ricordarsi che la graduazione del

trattamento sanzionatorio rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il
quale la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi
enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., sicché è inammissibile la censura che

pena (Sez.3, n.1182 del 17/10/2007, dep.11/01/2008, Rv.238851;Sez.5,
n.5582 del 30/09/2013, dep.04/02/2014, Rv.259142).
Inoltre, costituisce principio consolidato che la motivazione in ordine alla
determinazione della pena base (ed alla diminuzione o agli aumenti operati per
le eventuali circostanze aggravanti o attenuanti) è necessaria solo quando la
pena inflitta sia di gran lunga superiore alla misura media edittale, ipotesi che
non ricorre nella specie.
Fuori di questo caso anche l’uso di espressioni come “pena congrua”, “pena
equa”, “congrua riduzione”, “congruo aumento” o il richiamo alla gravità del
reato o alla capacità a delinquere o a criteri di adeguatezza, sono sufficienti a far
ritenere che il giudice abbia tenuto presente, sia pure globalmente, i criteri
dettati dall’art. 133 cod.pen. per il corretto esercizio del potere discrezionale
conferitogli dalla norma in ordine al “quantum” della pena (Sez.2,n.36245 del
26/06/2009 Rv. 245596; Sez.4, n.21294 deI20/03/2013, Rv.256197).
4. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen,
non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del
ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al
pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in
dispositivo.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 21/03/2018

nel giudizio di cassazione miri ad una nuova valutazione della congruità della

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