Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19690 del 21/03/2018


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 19690 Anno 2018
Presidente: DI NICOLA VITO
Relatore: DI STASI ANTONELLA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
TRAPASSO ANGELO, nato a Catanzaro il 04/07/1978

avverso la sentenza del 26/04/2017 del Tribunale di Milano

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott.ssa Antonella Di Stasi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
dott. Gianluigi Pratola che ha concluso chiedendo la declaratoria di
inammissibilità del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. Fabrizio Manganiello, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 21/03/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 26/04/2017, il Tribunale di Milano dichiarava Trapasso
Angelo responsabile del reato di cui all’art. 659, comma 1, cod.pen.- perché
quale legale rappresentante della società D Sogno titolare dell’esercizio pubblico
denominato “Lacerba” sito in Milano alla via Orti n. 4 arrecava disturbo alle
occupazioni ed al riposo delle persone ivi residenti permettendo e comunque non
impedendo il propagarsi del rumore determinato dall’attività e dal vociare della

2.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione Trapasso

Angelo, a mezzo del difensore di fiducia, articolando i motivi di seguito enunciati
nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173
comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
Il ricorrente deduce violazione dell’art. 659 cod.pen. in relazione all’ad 4 del
D.P.C.M. 14.11.1997 e correlato vizio di motivazione in punto di sussistenza
della contravvenzione e di attribuibilità della stessa al ricorrente.
Argomenta che la relazione tecnica dell’ARPA, le cui risultanze davano atto
del superamento dei valori limiti previsti dall’art. 4 del D.P.C.M 14.11.1997 per
superamento del valore soglia di 40 decibel, non indicava il valore della sorgente
disturbante necessario per calcolare il cd valore differenziale riportato nella
consulenza; pertanto, difettava la prova dell’elemento oggettivo del reato
contestato.
Deduce, inoltre, che provenendo gli schiamazzi da avventori che si
trattenevano non all’interno del locale ma sulla pubblica via, occorreva, per la
sussistenza del reato, che fosse stata fornita la prova che l’imputato non avesse
esercitato il potere di controllo sugli avventori, prova che, nella specie, difettava.
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La prima doglianza relativa alla valutazione operata dal giudice di merito
in ordine alla effettiva idoneità delle emissioni sonore ad arrecare pregiudizio ad
un numero indeterminato di persone costituisce censura di merito non
proponibile in sede di legittimità.
Il ricorrente, attraverso una formale denuncia di violazione di legge e vizio di
motivazione, richiede sostanzialmente una rivisitazione, non consentita in questa
sede, delle risultanze processuali, essendo la doglianza sostanzialmente diretta a
richiedere a questa Corte un inammissibile sindacato sul merito delle valutazioni

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clientela- e lo condannava alla pena di euro 1000,00 di ammenda.

effettuate dal Tribunale (Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, Fachini, Rv. 203767;
Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. U, n. 24 del
24/11/1999, Spina, Rv. 214794).
Giova, peraltro, ricordare che è stato affermato, in tema di disturbo delle
occupazioni e del riposo delle persone, che per l’integrazione del reato previsto
dall’art. 659 cod. pen. è sufficiente l’idoneità della condotta ad arrecare disturbo
ad un numero indeterminato di persone, non occorrendo l’effettivo disturbo alle
stesse (Sez. 3, n. 8351 del 24/06/2014, dep. 25/02/2015, Rv. 262510;

emissioni sonore ad arrecare pregiudizio ad un numero indeterminato di persone
costituisce un accertamento di fatto rimesso all’apprezzamento del giudice di
merito, il quale non è tenuto a basarsi esclusivamente sull’espletamento di
specifiche indagini tecniche, ben potendo fondare il proprio convincimento su
altri elementi probatori (quali le dichiarazioni testimoniali) in grado di dimostrare
la sussistenza di un fenomeno in grado di arrecare oggettivamente disturbo della
pubblica quiete (Sez.3, n.11031 del 05/02/2015, Rv.263433.).
2. Con riferimento alla seconda doglianza, va osservato che nella sentenza
impugnata si dava atto che la situazione di rumore, idonea ad arrecare
pregiudizio ad un numero indeterminato di persone, derivava dall’attività e dal
vociare della clientela del locale esercizio commerciale denominato “Lacerba”, del
quale è titolare la società di cui il ricorrente è legale rappresentante.
La deduzione difensiva, in base alla quale sarebbe stata attribuita al
ricorrente la penale responsabilità in relazione a fatti non imputabili allo stesso,
quali i rumori creati dagli avventori del locale che si trattenevano all’esterno di
esso, è manifestamente infondata.
Questa Suprema Corte, con un assunto condiviso dal Collegio, ha già avuto
modo di precisare che “risponde del reato di disturbo delle occupazioni e del
riposo delle persone il gestore di un pubblico esercizio che non impedisca i
continui schiamazzi provocati dagli avventori in sosta davanti al locale anche
nelle ore notturne” e che “la qualità di titolare della gestione dell’esercizio
pubblico comporta l’assunzione dell’obbligo giuridico di controllare, con possibile
ricorso ai vari mezzi offerti dall’ordinamento come l’attuazione dello

ius

exdudendi e il ricorso all’autorità di pubblica sicurezza, che la frequenza del
locale da parte degli utenti non sfoci in condotte contrastanti con le norme poste
a tutela dell’ordine e della tranquillità pubblica (Sez. 1, n. 48122 del 03/12/2008,
dep. 24/12/2008, Rv. 242808, nonché in senso conforme Sez. F, n.34283 del
28/07/2015, Rv.264501).
Non coglie nel segno il richiamo del ricorrente alla sentenza della Sez. 3, n.
9633 del 2015, nella quale si ribadisce proprio il suesposto principio di diritto e si

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Sez.1,n.7748 del 24/01/2012,Rv. 252075) e che l’effettiva idoneità delle

precisa che laddove gli schiamazzi o i rumori avvengano all’esterno del locale,
per poter configurare la responsabilità del gestore è necessario quanto meno
fornire elementi atti a evidenziare che egli non abbia esercitato il potere di
controllo e che a tale omissione sia riconducibile la verificazione dell’evento.
Orbene, nella specie, la sentenza impugnata dava adeguatamente atto, in
aderenza alle emergenze istruttorie, che il potere di controllo incombente
sull’imputato era stato esercitato in maniera inadeguata ed inefficace in quanto
limitato alla predisposizione di misure interne al locale (apposizione di cartelli,

locale durante la stagione estiva e rimozione di sistemi di riscaldamento esterni
durante la stagione invernale), misure che, di fatto, non avevano impedito
l’offesa al bene giuridico della pubblica quiete.
La motivazione è in linea con i principi di diritto suesposti nonché congrua e
non manifestamente illogica e si sottrae, pertanto, al sindacato di legittimità.
5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen,
non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del
ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al
pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in
dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso, 21/03/2018

Il Consigliere estensore
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Il Presidente
Vito Di Nicola

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