Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19680 del 16/03/2018


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 19680 Anno 2018
Presidente: RAMACCI LUCA
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COLUCCI VINCENZO nato il 16/01/1952 a FASANO
TUNDO SALVATORA nato il 19/07/1954 a MARTANO
COFANO GIUSEPPE nato il 07/03/1978 a FASANO

avverso la sentenza del 16/01/2017 della CORTE APPELLO di LECCE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere ALESSIO SCARCELLA
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore dott. SANTE
SPINACI, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
Uditi i difensori, Avv. A. Tundo ed Avv. P. Petrosino, che hanno chiesto
accogliersi i ricorsi, in subordine eccependo lestinzione per prescrizione dei reati
ascritti o annullarsi la sentenza in applicazione dellart. 45, d.P.R. n. 380 del 2001
con riferimento ai reati urbanistici;

Data Udienza: 16/03/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza 16.01.2017, la Corte appello di Lecce confermava la sentenza del
tribunale di Brindisi 7.01.2016, appellata dagli attuali ricorrenti, che li aveva condannati alla pena condizionalmente sospesa di 2 mesi di arresto ed C 35.000,00
di ammenda, ritenuta la continuazione tra i reati ascritti (artt. 44, lett. b) e c), TU

immobile a natura residenziale delle dimensioni complessive di mq. 43, in assenza
di titolo edilizio e di autorizzazione paesaggistica, atteso che, all’interno di un fabbricato adibito a deposito/garage, venivano realizzate opere che ne determinavano
la trasformazione irreversibile in abitazione, con esclusivo uso residenziale, in relazione a fatti del 3.04.2012.

2. Contro la sentenza hanno proposto personalmente ricorso per cassazione gli
imputati, prospettando due identici motivi che meritano pertanto di essere congiuntamente illustrati, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la
motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deducono, con il primo motivo, il vizio di omessa motivazione.
Si dolgono i ricorrenti in quanto la Corte d’appello avrebbe omesso di fornire riscontro alla censura di cui al punto n. 2 dell’atto di appello relativa alla “erronea
valutazione dei titoli autorizzativi”; la doglianza verte, sostanzialmente, sulla contestazione relativa alla realizzazione del vano scala, non contemplata dal capo di
imputazione, che era stata oggetto di demolizione e di successivo accertamento
di compatibilità paesaggistica in sanatoria, su cui la Corte d’appello non si sarebbe
pronunciata; rilevano poi i ricorrenti che la contestazione aveva ad oggetto in particolare la realizzazione dell’impianto di riscaldamento e di un bagno completamente piastrellato e dotato di rubinetteria, contestazione che era stata oggetto di
decisione di questa Corte di legittimità che, con la sentenza n. 23966 del 2014 di
questa stessa Sezione, aveva annullato l’ordinanza del tribunale del riesame con
cui era stata rigettata l’istanza di dissequestro dell’immobile per mancanza della
motivazione. I giudici di appello, secondo la tesi difensiva, avrebbero giustificato
la conferma della condanna ancorandola alla mera lettura dell’ultimo p.d.c., da cui
sarebbe possibile leggere implicitamente che non era stata consentita la chiusura
del vano scala realizzato in difformità rispetto ai precedenti permessi, rimasto fuori
dalla sanatoria, aggiungendo che la realizzazione di tale volume che avrebbe comportato una modifica di prospetto in area paesaggisticamente vincolata, sarebbe

Edilizia e 181, d. Igs. n. 42 del 2004), per aver in concorso tra loro, realizzato un

stata di per sé sufficiente ad integrare le fattispecie contestate, in quanto opera
necessitante di titolo abilitativo e autorizzazione paesaggistica;.
Si dolgono i ricorrenti, sul punto, rilevando che anche per tale intervento, peraltro
mai oggetto di formale contestazione, si era allegato all’atto di appello il p.d.c. in
sanatoria 10.01.2013, invitandosi la Corte territoriale a prenderne atto; tale atto
costituiva l’approdo dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria 14.11.2012, do-

giudici del merito ad escludere la sussistenza del reato, trattandosi di opera, il
vano scala oggetto di chiusura, rientrante nella sanatoria; a conforto di ciò, la
difesa dei ricorrenti richiama quanto riferito dalla teste di PG (Vasta) che aveva
confermato l’intervenuto rilascio della sanatoria anche per tale intervento, nonché
quanto emergente dalla stessa sentenza di questa Corte del 2014 che aveva rilevato come tutte le opere risultassero assentite ed autorizzate dalla P.A.
Conclusivamente, nonostante in sede di atto di appello i ricorrenti avessero fatto
rilevare come tutti degli interventi, tra cui la chiusura del vano scala non contestato nell’imputazione, fossero stati tutti assentiti ed autorizzati dalla P.A., i giudici
territoriali si sarebbero limitati a confermare quanto statuito dal primo giudice,
senza fornire risposta a quello che la S.C. aveva già richiesto in sede di annullamento con rinvio in fase cautelare, ossia di indicare le «ragioni per le quali le opere
realizzate, se effettivamente conformi a , quelle regolarmente assentite, integrerebbero il fumus dei reati ipotizzati e costituirebbero “elementi univocamente significativi” del mutamento di destinazione d’uso del locale, e non siano invece
compatibili con l’attuale destinazione» (v. pag. 3 sentenza n. 23966 del 2014).

2.2. Deducono, con il secondo motivo, il vizio di manifesta illogicità della motivazione.
Si dolgono, poi, i ricorrenti in quanto la Corte d’appello, anziché prendere atto che
anche il vano scala rientrasse tra gli interventi autorizzati e che nessuno degli
interventi oggetto di contestazione fosse abusivo, avrebbe invece giustificato la
conferma della condanna di primo grado sostenendo che, nel caso in esame, si
sarebbe assistito ad una “escalation” di singoli interventi autorizzati che, presi in
considerazione da soli, non apparirebbero incompatibili con l’opera originaria, ossia un deposito/garage ma che, valutati congiuntamente proverebbero l’intervenuto mutamento della destinazione d’uso di tale vano in uso residenziale. Si tratterebbe di una motivazione viziata, soprattutto laddove censura l’operato degli
organi comunali i quali non avrebbero tenuto colposamente in considerazione
l’opera nel suo complesso, autorizzando artificiosamente piccole porzioni di lavori

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cumentazione, questa, dirimente che, se esaminata, avrebbe dovuto condurre i

e modifiche che, portando al rilascio di due pp.dd.cc ., solo se unitariamente considerate avrebbero consentito di far emergere tale mutamento della destinazione
d’uso, sicchè solo la parcellizzazione dei permessi avrebbe consentito la realizzazione delle singole opere oggetto delle singole richieste. Il ragionamento sarebbe
arbitrario e erroneo, non solo perché lo stesso teste dí PG sentito all’ud.
26.03.2015, riferendo del sopralluogo 17.09.2012, pur ravvisando l’esistenza di

fiche interne e realizzazione di scala esterna per l’accesso al lastrico solare al servizio dei locali garage/deposito – aveva riferito che tali opere erano state regolarmente assentite in sanatoria in data 10.01.2013 e che, peraltro, sempre lo stesso
teste, a fronte delle insistenti domande del PM di udienza, aveva confermato che
la destinazione d’uso, ad opere eseguite, rimaneva quella di deposito/garage essendo compatibili gli interventi eseguiti, ossia la predisposizione dell’impianto di
riscaldamento e le tramezzature per la realizzazione di un bagno, con la destinazione d’uso originaria. Non risponderebbe quindi al vero che gli organi comunali
non avessero tenuto in considerazione l’opera nel suo complesso, per come attestato anche dallo stesso personale della P.A. sentito in udienza.
Si censura, poi, la circostanza che la Corte d’appello si sarebbe spinta in considerazioni di carattere squisitamente tecnico, rilevando che gli attacchi idrici predisposti in uno dei tre ambienti corrisponderebbero a quelli tipici per lavelli da cucina, collocati accanto ad una presa Bosch indispensabile per l’alimentazione di
forni e piani cottura, ritenendo ciò ulteriore indizio del reato contestato; i ricorrenti
censurano l’affermazione perché non rispondente alla realtà fattuale, trattandosi
di impianti ed attacchi comuni, presenti in ogni ambiente e non unicamente utilizzati per lavelli e cucine. Infine, si censura la motivazione per aver richiamato, a
sostegno della tesi accusatoria, alcune decisioni di questa Corte che non sarebbero
pertinenti al caso in esame, segnatamente ricordando che nell’immobile in esame
tutti gli impianti erano stati assentiti ed autorizzati, dunque non potrebbero essere
richiamate quelle decisioni che, riscontrando interventi finalizzati ad un mutamento di destinazione d’uso, avevano però evidenziato che gli interventi non erano
stati oggetto di autorizzazione.

3. Con il proprio ricorso personalmente proposto, infine, l’imputato Cofano deduce
un terzo motivo ad esso esclusivo, denunciando la violazione di legge ed il vizio di
motivazione, con cui si duole (pagg. 14/16 del ricorso) della motivazione assai
stringata dedicata dalla Corte d’appello alla posizione del ricorrente, progettista
delle opere definite dalla stessa Corte come “meramente estetiche e di modifica

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opere difformi da quelle autorizzate con il p.d.c. 2011/P143 – consistenti in modi-

del prospetto”, opere rispetto alle quali erano stati richiesti ed ottenuti i titoli abilitativi, facendoli eseguire in conformità. Inspiegabilmente, la Corte d’appello
avrebbe comunque ritenuto l’imputato colpevole sulla base della consequenzialità
di un’opera regolarizzata in sanatoria definita dalla stessa Corte come estetica,
consistendo nello spostamento di una finestra e nell’apposizione di una ringhiera),
vedendo in tale azioni l’essenza di un vero e proprio aggiramento delle prescrizioni

escludere la destinazione che sarebbe stata chiaramente assunta dall’opera edilizia.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Seguendo l’ordine suggerito dalla struttura dell’impugnazione proposta in sede
di legittimità, si procederà all’esame dei singoli motivi, secondo l’ordine di illustrazione supra svolto, dovendosi premettere all’esame dei singoli motivi che gli stessi,
complessivamente, hanno in comune un vizio di fondo, prestando il fianco al giudizio di genericità per aspecificità, non tenendo conto delle ragioni esposte dai
giudici di primo grado e di appello a confutazione delle identiche doglianze esposte
nei motivi di appello. Deve quindi essere fatta applicazione del principio, già affermato da questa Corte, secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le
stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che
risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla
decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 4, n.
18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849).

5. I motivi si appalesano, peraltro, manifestamente infondati.

6. Ed invero, quanto al primo ed al secondo motivo, comuni a tutti i ricorrenti che, attesa l’omogeneità dei profili di doglianza mossi e l’intima connessione tra di
essi esistente, meritano congiunta illustrazione – è sufficiente a destituire di fondamento le censure di vizio motivazionale dedotte quanto emerge dalla lettura
della sentenza della Corte territoriale.
Premessa l’inammissibilità del vizio di omessa motivazione circa la mancata risposta al punto 2) dell’atto di appello – atteso che, in sede di legittimità non è censurabile la sentenza, per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata col
gravame, quando questa risulta disattesa dalla motivazione complessivamente
considerata, essendo sufficiente, per escludere la ricorrenza del vizio previsto
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e sorvolando sull’assenza di arredi nell’ambiente in quanto ciò non consentiva di

dall’art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., che la sentenza evidenzi una
ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della prospettazione difensiva
implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa (v., tra le tante:
Sez. 2, n. 1405 del 10/12/2013 – dep. 15/01/2014, Cento e altri, Rv. 259643) deve rilevarsi come i giudici territoriali pervengono alla conclusione che l’insieme
delle opere edilizie realizzate, e regolarmente assentite in sanatoria, in realtà ce-

rage a destinazione residenziale, attraverso una valutazione globale degli interventi eseguiti che, si legge in sentenza, aveva fatto sì che la situazione riscontrata
in occasione del sopralluogo eseguito dal teste Valentino, ispettore CFS che il
15.07.2013, all’esito del rilascio del p.d.c. in sanatoria n. 2012/P252, ultimo della
serie, era tale da denotare inequivocabilmente tale “mutata” destinazione: l’immobile viene infatti descritto come distinto in tre vani, due adibiti a deposito ed
uno a garage, ed un bagno, tutti collegati tra loro e, all’interno del locale garage
vi era un termocamino con predisposizione per attacchi idrici, nei due locali deposito vi erano poi termosifoni già montati, canne anche nel bagnò, completamente
rifinito in ogni elemento. E’ ben vero, ricordano i giudici di appello, che questa
stessa Corte, con la sentenza n. 23966 del 2014 aveva annullato per vizio di motivazione l’ordinanza con cui il tribunale del riesame aveva rigettato l’istanza di
dissequestro delle opere, ritenendo “astratta ed apparente la motivazione su una
effettiva concreta destinazione del manufatto ad un uso abitativo, desunta da attuali univoci elementi significativi” (così la sentenza di questa Corte); ma è altrettanto vero, ricorda la Corte d’appello, che il tribunale del riesame, decidendo in
sede di rinvio disposto da questa Corte con la sentenza di cui sopra, aveva confermato l’esistenza del fumus dei reati ipotizzati,.in particolare rilevando l’intervenuta modifica della destinazione dell’immobile, avuto riguardo alla creazione di
appositi vani e un bagno, alla predisposizione di attacchi idrici e di un termosifone,
nonché alla presenza di un termocamino – risultando invece solo assentita la predisposizione di tubazione per impianto di riscaldamento – che si appalesava come
un vero e proprio elemento di arredo, valutando l’impiego di materiali e rifiniture
confacenti più ad un’abitazione che ad un deposito.
A ciò, poi, la Corte d’appello aggiungeva un’ulteriore considerazione discendente
dalla visione del materiale fotografico relativo all’accertamento eseguito in data
15.07.2013, che aveva consentito alla Corte territoriale di apprezzare, quale ulteriore indizio del mutamento di destinazione d’uso, che gli attacchi idrici predisposti
in uno dei tre ambienti in cui è stato suddiviso il garage/deposito corrispondevano
a quelli tipici per lavelli da cucina e risultavano collocati ad una presa di tipo Bosch,

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lassero un vero e proprio mutamento di destinazione d’uso del vano deposito/ga-

con le caratteristiche tre punte, indispensabile per l’alimentazione di forni e piani
cottura elettrici.

7. Orbene, rileva il Collegio come, al cospetto di tale apparato argomentativo, le
doglianze difensive si appalesano all’evidenza manifestamente infondate.

in sede di atto di appello i ricorrenti avessero fatto rilevare come tutti degli interventi, tra cui la chiusura del vano scala non contestato nell’imputazione, fossero
stati tutti assentiti ed autorizzati dalla P.A., i giudici territoriali si sarebbero limitati
a confermare quanto statuito dal primo giudice, senza fornire risposta a quello che
la S.C. aveva già richiesto in sede di annullamento con rinvio in fase cautelare,
ossia di indicare le «ragioni per le quali le opere realizzate, se effettivamente conformi a quelle regolarmente assentite, integrerebbero il fumus dei reati ipotizzati
e costituirebbero “elementi univocamente significativi” del mutamento di destinazione d’uso del locale, e non siano invece compatibili con l’attuale destinazione»
(v. pag. 3 sentenza n. 23966 del 2014).
E’ sufficiente, a tal proposito, esaminare la sentenza di questa Corte per rendersi
conto delle ragioni che avevano determinato l’annullamento dell’ordinanza, considerato che: 1) si evidenziava l’erroneità dell’ordinanza che faceva riferimento alla
ipotesi di mutamento di destinazione d’uso accompagnata da opere comportanti
aumento di cubatura, dal momento che nella specie era pacifico che non vi è stato
alcun aumento di cubatura (circostanza, questa, su cui non viene fondata all’evidenza la condanna); 2) si evidenziava che l’ordinanza impugnata non contenesse
alcuna motivazione sulla eccezione che le opere e gli interventi da cui si desunneva
la variazione della destinazione d’uso risultavano tutti assentiti ed autorizzati dai
competenti organismi della PA, avendo i ricorrenti ottenuto dapprima il permesso
di costruire poi integrato da due permessi in sanatoria, trattandosi, si legge nella
sentenza di questa Corte, di opere tutte regolarmente assentite, che non avrebbero comportato alcuna irreversibile trasformazione dell’immobile e compatibili
con la destinazione d’uso dei beni (ma, come detto, i giudici del riesanne prima,
con l’ordinanza 18.07.2014 adottata in sede di rinvio e, successivamente, la Corte
d’appello, individuano ulteriori elementi indiziari, convergenti a qualificare, nel
complesso, l’insieme delle opere come finalizzate ad un mutamento della destinazione d’uso originaria del vano deposito/garage in uso residenziale); 3) si evidenziava che la motivazione si risolveva “in una asserzione tautologica, non essendo
spiegato come attualmente un bagno possa essere privo di lavandino, o di bidè, o
di piatto doccia, o non essere piastrellato, e non essendo stati indicati elementi
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8. Anzitutto, perché non colgono nel segno le doglianze secondo cui, nonostante

che dimostrerebbero in modo evidente il mutamento di destinazione d’uso. La circostanza che in un futuro potrebbe darsi luogo ad una eventuale destinazione
residenziale non potrebbe giustificare il provvedimento di sequestro, che presuppone l’esistenza di un reato” (ma, come già evidenziato, sia i giudici del riesame
che la Corte d’appello si preoccupano di indicare elementi che dimostrano in modo
evidente il mutamento di destinazione d’uso: predisposizione di attacchi idrici e di

predisposizione di tubazione per impianto di riscaldamento – che si appalesava
come un vero e proprio elemento di arredo; impiego di materiali e rifiniture confacenti più ad un’abitazione che ad un deposito; gli attacchi idrici predisposti in
uno dei tre ambienti in cui è stato suddiviso il garage/deposito corrispondevano a
quelli tipici per lavelli da cucina e risultavano collocati ad una presa di tipo Bosch,
con le caratteristiche tre punte, indispensabile per l’alimentazione di forni e piani
cottura elettrici).

9. A fronte di tali considerazioni, pertanto, emerge chiaramente la manifesta infondatezza del primo motivo, avendo infatti la Corte d’appello, come già il primo
giudice, operato una valutazione delle emergenze processuali, pervenendo alla
conclusione che quanto realizzato, ed assentito, in realtà celasse un intervento
edilizio complessivamente da considerarsi illegittimo perché solo la parcellizzazione degli interventi in più fasi aveva consentito di realizzare quel mutamento di
destinazione d’uso del locale adibito originariamente a deposita/garage; a tal proposito merita qui di essere ribadito che la valutazione di un’opera edilizia abusiva
va effettuata con riferimento al suo complesso, non potendosi considerare separatamente i singoli componenti, in virtù del concetto unitario di costruzione (Sez.
3, n. 4048 del 06/11/2002 – dep. 29/01/2003, Tucci, Rv. 223365; Sez. 3, n. 5618
del 17/11/2011 – dep. 14/02/2012, Forte, Rv. 252125; Sez. 3, n. 15442 del
26/11/2014 – dep. 15/04/2015, Prevosto e altri, Rv. 263339; Sez. 3, n. 16622 del
08/04/2015 – dep. 21/04/2015, Pnnt in proc. Casciato, Rv. 263473; Sez. 3, n.
30147 del 19/04/2017 – dep. 15/06/2017, Tomasulo, Rv. 270256), con la conseguenza che, del tutto legittimamente, i giudici territoriali hanno disatteso le doglianze difensive che, incentrate sulla esistenza “parcellizzata” di titoli abilitativi
per i singoli interventi edilizi, tendevano a sostenere che si trattasse di opere del
tutto legittime. A ciò, poi, va aggiunto, che l’intervenuto rilascio del titolo abilitativo non equivaleva a rendere ex se l’opera legittima e quindi ad escludere che la
stessa, nel suo complesso, non rivestisse i caratteri dell’abusività sotto il profilo
del mutamento della destinazione d’uso. Ed infatti, ricorda il Collegio come il giudice penale può verificare in via incidentale l’illegittimità del permesso di costruire
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un termosifone; presenza di un termocamino – risultando invece solo assentita la

in sanatoria che lo rende privo di validi effetti, in quanto contrastante con le previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente, dovendosi escludere che il mero dato formale dell’esistenza
di tale permesso precluda al giudice ogni valutazione in ordine alla sussistenza del
reato (da ultimo, v.: Sez. 3, n. 12389 del 21/02/2017 – dep. 15/03/2017, Minosi,
Rv. 271170).

della motivazione, i giudici di merito hanno escluso qualsiasi rilevanza ai titoli abilitativi intervenuti successivamente in sanatoria, ritenendoli illegittimi come si desume chiaramente laddove gli stessi censurano l’operato degli organi comunali i
quali non avrebbero tenuto colposamente in considerazione l’opera nel suo complesso, autorizzando artificiosamente piccole porzioni di lavori e modifiche che,
portando al rilascio di due pp.dd.cc ., solo se unitariamente considerate avrebbero
consentito di far emergere tale mutamento della destinazione d’uso, sicchè solo la
parcellizzazione dei permessi avrebbe consentito la realizzazione delle singole
opere oggetto delle singole richieste.

10. Le doglianze difensive, dunque, sotto l’apparente deduzione di inesistenti vizi
motivazionali, in realtà tentano, da un lato, di coinvolgere questa Corte nell’esercizio di un sindacato sul merito relativamente a fatti rispetto ai quali vengono
riproposte le medesime doglianze già adeguatamente confutate dalla Corte d’appello; dall’altro, le censure finiscono per risolversi nell’evidente manifestazione di
“dissenso” dei ricorrenti sulla ricostruzione dei fatti e, soprattutto, sulla valutazione delle prove operata dalla Corte d’appello, operazione vietata in questa sede.
Deve, sul punto, essere ricordato che gli accertamenti (giudizio ricostruttivo dei
fatti) e gli apprezzamenti (giudizio valutativo dei fatti) cui il giudice del merito sia
pervenuto attraverso l’esame delle prove, sorretto da adeguata motivazione
esente da errori logici e giuridici, sono sottratti al sindacato di legittimità e non
possono essere investiti dalla censura di difetto o contraddittorietà della motivazione solo perché contrari agli assunti del ricorrente; ne consegue che tra le doglianze proponibili quali mezzi di ricorso, ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., non
rientrano quelle relative alla valutazione delle prove, specie se implicanti la soluzione di contrasti testimoniali, la scelta tra divergenti versioni ed interpretazioni,
l’indagine sull’attendibilità dei testimoni e sulle risultanze peritali, salvo il controllo
estrinseco della congruità e logicità della motivazione (v., tra le tante: Sez. 4, n.
87 del 27/09/1989 – dep. 11/01/1990, Bianchesi, Rv. 182961). Il controllo di legittimità sulla motivazione è, infatti, diretto ad accertare se a base della pronuncia
del giudice di merito esista un concreto apprezzamento del materiale probatorio
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E, nel caso di specie, è evidente che, per implicito, come emerge dal complesso

e/o indiziario e se la motivazione non sia puramente assertiva o palesemente affetta da vizi logici. Restano escluse da tale controllo sia l’interpretazione e la consistenza degli indizi e delle prove sia le eventuali incongruenze logiche che non
siano manifeste, ossia macroscopiche, eclatanti, assolutamente incompatibili con
altri passaggi argomentativi risultanti dal testo del provvedimento impugnato: ne
consegue che non possono trovare ingresso in sede di legittimità i motivi di ricorso
fondati su una diversa prospettazione dei fatti ne’ su altre spiegazioni, per quanto

15/05/1998 – dep. 01/06/1998, Albano L, Rv. 210923).
La sentenza impugnata non merita dunque censura sotto tale profilo.

11. Né può ritenersi sussistere il vizio di illogicità della motivazione (secondo motivo comune a tutti i ricorrenti), sol perché i giudici avrebbero desunto dal complesso degli interventi realizzati la prova, indiziaria, dell’avvenuto mutamento di
destinazione d’uso, individuati nei seguenti: a) predisposizione di attacchi idrici e
di un termosifone; b) presenza di un termocamino – risultando invece solo assentita la predisposizione di tubazione per impianto di riscaldamento – che si appalesava come un vero e proprio elemento di arredo; impiego di materiali e rifiniture
confacenti più ad un’abitazione che ad un deposito; c) attacchi idrici predisposti in
uno dei tre ambienti in cui è stato suddiviso il garage/deposito corrispondevano a
quelli tipici per lavelli da cucina e risultavano collocati ad una presa di tipo Bosch,
con le caratteristiche tre punte, indispensabile per l’alimentazione di forni e piani
cottura elettrici.
Ed invero, sul punto, non hanno pregio, osserva il Collegio, le censure difensive,
tutte orientate a contestare le modalità valutative della Corte d’appello che
avrebbe ricostruito il fatto, e desunto il mutamento di destinazione d’uso del deposito/garage dai predetti elementi indiziari. Quanto oggetto di deduzione da parte
della Corte d’appello, lungi dal rappresentare un metodo argomentativo viziato da
manifesta illogicità ed incoerenza, è invece frutto dell’esercizio del potere di valutazione spettante al giudice di merito che può fare ricorso a giudizi ipotetici (quale
l’essere stati in presenza, nel caso di specie, di un vero e proprio aggiramento
delle prescrizioni degli strumenti urbanistici), non essendo precluso al giudice,
nell’esercizio del proprio apprezzamento delle prove e degli indizi giudiziali, escludere la fondatezza della prospettazione difensiva sulla scorta di un siffatto giudizio
sempreché, ovviamente, lo stesso non si fondi su elementi congetturali, o non sia
espressione di un mero convincimento soggettivo o, ancora, si presti, per la sua
articolazione, al sindacato di manifesta illogicità argonnentativa, nella specie insussistente, essendo ravvisabile solo ove si ravvisabile la frattura logica evidente
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plausibili o logicamente sostenibili, formulate dal ricorrente (Sez. 6, n. 1762 del

tra una premessa, o più premesse nel caso di sillogismo, e le conseguenze che se
ne traggono (v., tra le tante: Sez. 1, n. 9539 del 12/05/1999 – dep. 23/07/1999,
Commisso ed altri, Rv. 215132).

12. Ad analogo giudizio di inammissibilità si presta il terzo motivo, proposto
nell’esclusivo interesse del ricorrente Cofano.

gnata, in particolare osservando come già il primo giudice aveva osservato conne
le opere assentite con la prima sanatoria, di competenza del Cofano, vedevano la
realizzazione di opere meramente estetiche e di modifica del prospetto, consistendo nell’aumento e spostamento nella realizzazione di alcune finestre, modifica
del muretto d’attico con la posa in opera di una ringhiera e con il rialzo dello stesso
nella misura di cm. 40, precisando come le stesse avevano un senso ben preciso
nell’evoluzione della vicenda in quanto il successivo p.d.c. n. 2011/P143
dell’11.10.2011, consentiva di dividere il solo locale depositi in due distinti vani,
che si aggiungevano al vano garage, di spostare il bagno rispetto all’originaria
collocazione e di realizzare la scala esterna in muratura.
Trattasi di motivazione del tutto immune dai denunciati vizi, rispetto alla quale la
censura difensiva (secondo cui, inspiegabilmente, la Corte d’appello avrebbe comunque ritenuto l’imputato colpevole sulla base della consequenzialità di un’opera
regolarizzata in sanatoria definita dalla stessa Corte come estetica, vedendo in
tale azioni l’essenza di un vero e proprio aggiramento delle prescrizioni e sorvolando sull’assenza di arredi nell’ambiente in quanto ciò non consentiva di escludere
la destinazione che sarebbe stata chiaramente assunta dall’opera edilizia), con cui,
ancora una volta, si pretende che sia questa Corte a sostituire la propria valutazione a quella operata dai giudici territoriali, in particolare sugli elementi fattuali
indicati a sostegno della complessiva finalizzazione degli interventi realizzati a mutare l’originaria destinazione d’uso del deposito/garage, operazione inibita in questa sede perché con la stessa si finisce per richiedere a questa Corte di legittimità
di svolgere apprezzamenti di fatto.
Deve ribadirsi, a tal proposito, infatti che in tema di giudizio di cassazione, sono
precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (tra le tante: Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015 – dep.
27/11/2015, Musso, Rv. 265482).

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Ed invero, la Corte d’appello dedica all’imputato le pagg. 6/7 della sentenza impu-

13. Alla stregua delle considerazioni che precedono i ricorsi devono essere, dunque, dichiarati inammissibili. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della
Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per
ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità
medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del

delle ammende, equitativamente fissata in 2.000,00 euro ciascuno.

14. Solo per completezza, deve aggiungersi come non abbia alcun rilievo l’intervenuta estinzione del reato medio tempore intervenuta, in quanto il relativo termine è interamente decorso alla data del 12.09.2017 (prescrizione massima
3.04.2017, cui vanno aggiunti 5 mesi e 9 gg. di sospensione dal 17.06.2015 al
26.11.2015). Ed infatti, trova applicazione nel caso in esame il principio di diritto
autorevolmente affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi
non consente il formarsi di un . valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma
dell’art. 129 cod. proc. pen. (Nella specie la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso: Sez. U, n. 32 del 22/11/2000
– dep. 21/12/2000, D. L, Rv. 217266).

P.O.M.

La Corte dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese del procedimento e della somma di C 2.000,00 ciascuno in favore della Cassa
delle Ammende.
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 16 marzo 2018

procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa

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