Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19666 del 27/03/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 19666 Anno 2014
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: MANNA ANTONIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da Ambrosio Benedetta,
avverso l’ordinanza del 27.11.13 del Tribunale di Roma, sezione riesame;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita in Camera di consiglio la relazione del Consigliere Dott. Antonio Manna;
udito il Procuratore Generale nella persona del Dott. Francesco Salzano, che ha
concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore Avv. Antonio Villani, sostituto processuale dell’Avv. Paola
Balducci, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
Il 30.11.12 il GIP del Tribunale di Roma emetteva a carico di Giuseppe
Ambrosio e di sua moglie Stefania Ricciardi un’ordinanza di custodia cautelare
per vari fatti di corruzione commessi nell’ambito delle loro attività di dipendenti
del Ministero delle Politiche Agricole, ordinanza confermata in sede di riesame.
A sua volta l’ordinanza del riesame era annullata senza rinvio — per l’assorbente
rilievo dell’insussistenza delle esigenze cautelati, pur a fronte di una carente
motivazione dei gravi indizi di colpevolezza – dalla Sez. VI di questa S.C. con
sentenza 8.4.- 24.5.13 n. 22478.

Data Udienza: 27/03/2014

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Nelle more di tale sentenza, 1’8.2.13, permanendo all’epoca lo stato di custodia
cautelare di Giuseppe Ambrosio, il GIP del Tribunale di Roma accoglieva la
richiesta di giudizio immediato avanzata dal PM.
Il 17.12.12 il GIP dello stesso Tribunale aveva anche emesso decreto di
sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di
Benedetta Ambrosio (figlia di Giuseppe Ambrosio e Stefania Ricciardi), ritenuta
fittizia intestataria del conto corrente 1000/6699 avente un attivo di euro 330.000

Ambrosio.
Tale misura patrimoniale era confermata dal Tribunale del riesame di Roma con
ordinanza del 16.1.2013, che veniva poi annullata con rinvio dalla Sez. VI di
questa S.C. con sentenza n. 33145/2013, con la quale la Corte rilevava che nel
frattempo era intervenuta la sopra ricordata sentenza n. 22478/13 di annullamento
della misura personale nei confronti di Giuseppe Ambrosio con incidenza anche
sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e che vi era stata una nuova
decisione del Tribunale del Riesame di Roma in tema di sequestro, con obiettiva
incidenza sulla determinazione della somma da sequestrare.
Con la citata sentenza n. 33145/2013 la Sez. VI di questa Corte disponeva,
quindi, un nuovo esame della misura patrimoniale in ordine sia alla sussistenza di
indizi di reato sia alla fittizietà dell’intestazione del c/c (rispetto ad una possibile
donazione del denaro depositatovi) sia all’ingiustificata disponibilità patrimoniale
in capo agli indagati e, conseguentemente, al valore equivalente in beni
sequestrabili in funzione di una futura eventuale confisca.
Con ordinanza del 27.11.13 il Tribunale di Roma, sezione riesame, confermava
il decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente emesso
il 17.12.12 dal GIP dello stesso Tribunale nei confronti di Ambrosio Benedetta,
ritenuta fittizia intestataria del c/c 1000/6699.
Tramite il proprio difensore munito di procura speciale oggi ricorre Benedetta
Ambrosio contro l’ordinanza 27.11.13 del Tribunale del riesame, di cui chiede
l’annullamento per un solo articolato motivo, ossia per violazione degli artt. 321
c.p.p., 322 ter c.p., 12 sexies legge n. 356/92, 453 co. 1 bis e 455 c.p.p. e 627
c.p.p., derivante dall’omessa nuova valutazione della sussistenza degli indizi dei
reati per i quali il padre della ricorrente è sotto processo, nuova valutazione resasi
necessaria in forza del sopravvenuto annullamento della misura custodiale a suo

circa, denaro in realtà appartenente, secondo la pubblica accusa, ai genitori della

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tempo emessa nei confronti di Giuseppe Ambrosio. Si sostiene in ricorso che tale
nuova valutazione non può essere trascurata — contrariamente a quanto affermato
dall’ordinanza impugnata – in ragione del mero sopravvenuto rinvio a giudizio di
Giuseppe Ambrosio, essendosi trattato di giudizio immediato che, in forza del
combinato disposto degli artt. 453 co. 1 bis e 455 c.p.p., ha privato il GIP di ogni
potere di controllo sulla richiesta avanzata dal PM a seguito di misura cautelare;
diversamente opinando — conclude il ricorso — si dovrebbe ammettere la teorica

materia di indizi sol per l’intervenuto passaggio del procedimento alla fase
dibattimentale.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1- Il ricorso è infondato.
Si premetta che nei confronti di Giuseppe Ambrosio si è proceduto nelle forme
del giudizio immediato ai sensi del combinato disposto degli artt. 453 co. 1 bis e
455 c.p.p. prima che venisse emessa la citata sentenza n. 33145/2013 della Sez.
VI di questa Corte.
Ora, in sostanza le argomentazioni svolte in ricorso impongono di rispondere a
due interrogativi: se l’instaurazione del giudizio immediato cd. cautelare già
avvenuta prima della sentenza rescindente (la summenzionata sentenza n.
33145/2013 la Sez. VI di questa Corte) implichi una preclusione rispetto ad una
nuova delibazione circa il fumus di reato (che è quanto basta ai fini di una misura
cautelare reale) in sede rescissoria (come ritenuto dall’ordinanza impugnata) e, in
caso di risposta affermativa, se tale preclusione non rilevata dalla sentenza
rescindente possa essere rilevata da parte del giudice del rinvio senza che ciò
importi violazione dell’art. 627 c.p.p.
Ritiene questa Corte che al primo interrogativo debba darsi risposta affermativa.
Si cominci con il rammentare il principio generale per cui il rinvio a giudizio
dell’imputato disposto a conclusione dell’udienza preliminare, implicando un
accertamento positivo della sussistenza di elementi tali da integrare quella
qualificata probabilità di affermazione della responsabilità richiesta affinché si
possa configurare il requisito dei “gravi indizi di colpevolezza” di cui all’art. 273
c.p.p., preclude, in assenza di fatti nuovi sopravvenuti (la cui delibazione resta

possibilità di precludere una delibazione, magari innanzi alla Corte Suprema, in

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affidata al giudice del dibattimento), la possibilità di rimettere in discussione il
requisito medesimo.
È quanto hanno affermato le Sezioni unite di questa Corte con sentenza n. 38
del 25.10.95, dep. 27.11.95, sebbene tale arrét non abbia sopito i contrasti
giurisprudenziali a riguardo.
In quella occasione la Corte ha altresì precisato che analoga preclusione sussiste
tutte le volte in cui la rivalutazione della gravità degli indizi si risolva in un

stesso processo, a fondamento delle quali sia posta, in modo esplicito o implicito,
la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza; ed ha indicato, fra queste, la
sentenza di condanna, l’instaurazione del giudizio direttissimo, nonché il decreto
che dispone il giudizio immediato, che è basato sulla “evidenza della prova”
riscontrata dal giudice per le indagini preliminari.
A maggior ragione ciò deve valere quando sia richiesto il mero fumus del reato
(come nel caso di misura cautelare reale).
Né i termini della questione sostanzialmente mutano quando il giudizio sia stato
richiesto ai sensi del combinato disposto degli artt. 453 co. 1 bis e 455 c.p.p., che
— contrariamente a quanto si suppone in ricorso – non priva il GIP di ogni
possibilità di controllo sull’istanza del PM.
È pur vero che la richiesta di giudizio immediato nei confronti di persona in
stato di custodia cautelare per il reato in relazione al quale si procede viene
rigettata dal GIP ove l’ordinanza che dispone la custodia cautelare sia stata
revocata oppure sia stata annullata per sopravvenuta insussistenza dei gravi indizi
di colpevolezza per annullamento della misura custodiale, come statuito dall’art.
455 co. 1 bis c.p.p. e ribadito da Cass. Sez. H n. 15578 del 13.12.12, dep. 4.4.13
(che è la sentenza invocata in ricorso).
Ma il fatto che il GIP debba rigettare la richiesta di giudizio immediato basata
unicamente su titolo custodiale che, poi, sia stato annullato per sopravvenuta
insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza non dimostra l’esattezza della
proposizione reciproca, ossia che egli debba necessariamente accogliere tale
richiesta in ipotesi di permanenza del titolo custodiale medesimo, anche perché
quest’ultimo è funzionale, nell’ottica del co. 1 bis dell’art. 453 c.p.p., solo ad
esonerare il PM, nel formulare la richiesta di giudizio immediato, dal rispetto dei

contrasto con altre statuizioni, adottate da organi giurisdizionali nell’ambito dello

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termini di cui all’articolo 454 co. l ° c.p.p., non anche ad esonerarlo dall’evidenza
della prova.
D’altronde, è ius receptum che il cd. giudicato cautelare non produce effetti
ulteriori a quelli interni al relativo procedimento incidentale, esaurendo il proprio
ambito con la pronuncia sulla misura cautelare.
E persino la stabilità endoprocessuale del cd. giudicato cautelare è suscettibile di
essere superata in presenza di fatti nuovi che giustifichino la rivalutazione di

24.5.10).
Ciò significa, in sostanza, che la permanenza della gravità indiziaria resta
sempre oggetto di delibazione da parte del GIP anche in caso di richiesta di cd.
giudizio immediato cautelare.
Diversamente, resterebbe menomato il principio di impermeabilità del processo
rispetto agli esiti del procedimento cautelare, principio più volte statuito da questa
Corte Suprema e ribadito anche dalla Corte cost. con sentenza 28.1.09 n. 121, che
ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 405 co. 1 bis c.p.p. (inserito
dall’art. 3 legge n. 46/2006).
In conclusione, questo il principio di diritto da formularsi in relazione al primo
interrogativo di cui siopra: “Il combinato disposto degli artt. 453 co. 1 bis e 455
c.p.p. non priva il GIP del controllo sull’evidenza della prova a fronte di una
richiesta di giudizio immediato avanzata nei confronti di persona che si trovi in
stato di custodia cautelare.”.
Ciò significa che nel sistema non sussiste alcuna aporia interna al principio
secondo cui, una volta introdotta la fase dibattimentale (anche se a seguito di
richiesta di giudizio immediato cd. cautelare), si verifica la preclusione affermata
dalla citata sentenza n. 38/95 delle S.U., orientamento cui si è correttamente
attenuta l’ordinanza impugnata e al quale va data continuità.
Deve fornirsi risposta affermativa anche al secondo interrogativo, nei termini
appresso chiariti.
Ai sensi dell’art. 627 co. 4 0 c.p.p., nel giudizio di rinvio non possono proporsi
(né rilevarsi d’ufficio: cfr., da ultimo, Cass. Sez. VI n. 47564 del 14.11.13, dep.
29.11.13) le nullità, anche assolute, o le inammissibilità verificatesi nei precedenti
giudizi o nel corso delle indagini preliminari.

quelli già apprezzati (cfr., ex aliis, Cass. Sez. I n. 19521, del 15.4.10, dep.

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Per accertare se e in che misura tale divieto si estenda anche ad una preclusione,
già verificatasi prima della sentenza rescindente, come quella relativa ad
un’ulteriore delibazione circa il fumus del reato una volta che si sia passati alla
fase del giudizio (immediato o non), è opportuno riprendere la distinzione (di
origine dottrinaria, valevole in ambito tanto civilistico quanto penalistico) fra
rinvio restitutorio e rinvio prosecutorio.
Il primo si ha ove vanga accertato un vizio di attività, il che importa che il

al giudice i poteri che gli competevano per celebrare ex novo il processo nel
rispetto delle regole di rito.
Il secondo si realizza, invece, nel caso in cui il rinvio dipenda unicamente dai
limiti cognitivi della Corte, che le impediscono di adottare una decisione
sostitutiva di quella annullata.
In entrambe le ipotesi l’ordinamento appresta, con l’art. 627 c.p.p., apposite
regole per il giudizio di rinvio, in cui il giudice di rinvio ha sì gli stessi poteri del
giudice la cui sentenza è stata annullata, ma con le limitazioni stabilite dalla legge
e dal dictum contenuto nella sentenza rescindente emessa dalla Corte Suprema,
per sua stessa natura insindacabile.
Il primo limite derivante dall’insindacabilità delle decisioni della Corte è sancito
dall’art. 627 co. 1° c.p.p., che ribadisce il tradizionale canone dell’irretrattabilità
del foro commissorio. Da tale regola discende l’illegittimità del provvedimento
con cui il giudice investito da sentenza di annullamento declini la competenza in
favore di altro giudice, in assenza di fatti sopravvenuti, nonché la stessa
impossibilità per la Corte Suprema di modificare la designazione ricorrendo al
mezzo correttivo.
Ex art. 627 co. 3° c.p.p. il giudice di rinvio deve altresì uniformarsi alla sentenza
della S.C. “per ciò che concerne ogni questione di diritto con essa decisa”. Il
principio di diritto va desunto dalla parte argomentativa della sentenza
rescindente e va circoscritto alle enunciazioni che ne rappresentano la ratio
decidendi.
Il vincolo, di portata endoprocessuale, nascente dall’obbligo di uniformarsi alla
decisione sulle questioni di diritto decise dal giudice di legittimità viene meno in
due casi: quando la legge su cui si fonda cessi di avere efficacia per abrogazione o
per declaratoria di illegittimità costituzionale, o qualora intervenga un

processo regredisca alla fase in cui il vizio medesimo si sia verificato, restituendo

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provvedimento legislativo di interpretazione autentica diversa da quella enunciata
nella sentenza della Corte di cassazione. Il giudice di rinvio deve, pertanto,
attenersi al principio di diritto anche nel caso di sopravvenuto mutamento di
giurisprudenza, giacché la regula iuris fissata dalla sentenza rescindente
costituisce una sorta di legge speciale, che può essere disattesa solo nei casi
eccezionali appena indicati (estranei alla vicenda processuale in oggetto).
Se il rinvio ha natura restitutoria è chiaro che in nessun caso il giudice di rinvio

Invece, in caso di annullamento per vizio di motivazione — con rinvio che è di
tipo prosecutorio, come avvenuto nel caso di specie — se è vero che il giudice di
rinvio è tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema
implicitamente o esplicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, è però
altrettanto indiscutibile che ciò non gli sottrae la libertà di determinare il proprio
convincimento di merito mediante un’autonoma valutazione della situazione di
fatto concernente il punto annullato, con l’unico limite di non riprodurre i vizi
della motivazione rilevati nella sentenza annullata.
In altre parole, egli può decidere in maniera conforme alla sentenza annullata,
ma non può mai giustificare il proprio convincimento secondo lo schema logico
ritenuto viziato e censurato dalla S.C.
Questa regola si giustifica in considerazione del fatto che le sentenze del giudice
supremo coprono il dedotto e il deducibile e, quindi, contengono un’implicita
decisione negativa circa la sussistenza di una nullità o di un’inammissibilità.
Ulteriore limite al potere del giudice di rinvio riguarda l’impossibilità di rilevare
nullità o inammissibilità verificatesi nei precedenti giudizi, nel corso delle
indagini preliminari o nello stesso giudizio di legittimità (v. art. 627 co. 4 0 c.p.p.),
limite che si estende — nonostante il silenzio normativo — anche all’inutilizzabilità
di atti formati nelle fasi anteriori del procedimento e ciò in forza della necessaria
intangibilità delle sentenze di questa Corte.
Altri limiti ai poteri cognitivi e decisori del giudice di rinvio possono derivare,
per un verso, dall’annullamento parziale — che determina l’intangibilità di alcune
parti della sentenza — e, per l’altro, dall’applicazione del divieto di reformatio in
peius (ma queste sono evenienze estranee alla presente vicenda processuale).
Ulteriore limite deriva dal c.d. giudicato implicito: esso dipende dalla portata
del vincolo derivante dalla soluzione delle questioni di diritto.

potrà riprodurre la medesima pronuncia già annullata.

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Il problema si pone soprattutto in caso di annullamento totale con rinvio, ad
esempio ove risulti che vi erano le condizioni per applicare l’art. 129 c.p.p.: in
proposito la preclusione potrà ravvisarsi solo quando alla quaestio iuris non
espressamente affrontata era implicitamente subordinata la statuizione contenuta
nella sentenza rescindente.
Viceversa, il giudice di rinvio potrà applicare tale norma quando la declaratoria
di non punibilità dipenda dalla decisione di una questione di diritto che implichi

vicenda processuale in oggetto) oppure dalla soluzione di una quaestio facti.
Nel caso di specie non si pone problema di eventuale applicazione dell’art. 129
c.p.p., ma di eventuale rivalutazione del fumus dei reati per cui si procede nei
confronti di Giuseppe Ambrosio.
Ora, non può dirsi che ciò integrasse una quaestio iuris cui era implicitamente
subordinata la statuizione contenuta nella summenzionata sentenza n.
33145/2013, poiché essa in realtà si è fermata ancor prima.
Per meglio dire, la pronuncia rescindente, rilevato che nel frattempo era
intervenuto l’annullamento della misura personale nei confronti di Giuseppe
Ambrosio con incidenza anche sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e
che vi era stata una nuova decisione del Tribunale del Riesame di Roma in tema
di sequestro, con obiettiva incidenza sulla determinazione della somma da
sequestrare, ha demandato al giudice del rinvio un nuovo esame, a 360 gradi,
della misura patrimoniale, vale a dire riguardo a tutti i suoi presupposti (e cioè
fumus dei reati, fittizietà dell’intestazione a Benedetta Ambrosio del c/c rispetto
ad una possibile donazione del denaro depositatovi, ingiustificata disponibilità
patrimoniale in capo agli indagati e valore equivalente in beni sequestrabili in
funzione di una futura eventuale confisca).
E il rinviare alla sede rescissoria una nuova delibazione (anche) del fumus dei
reati non dimostra di per sé il necessario accertamento dell’inesistenza di
preclusioni a riguardo (anche perché la sentenza n. 33145/2013 non menziona
affatto il giudizio immediato già disposto, né se ne mostra in qualche modo
avvertita), ma soltanto la necessità di esaminare tale profilo preliminarmente
accertando se e in che misura lo stesso possa ritenersi già definito (ovviamente ai
limitati fini del giudizio cautelare in corso).

indagini non esperibili dalla Corte (ma anche questa ipotesi è estranea alla

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In breve, nel caso di specie non risulta violato nessuno dei vincoli alla
cognizione del giudice del rinvio enucleabili dall’art. 627 c.p.p. e dalla relativa
elaborazione dottrinaria o giurisprudenziale.
Questo, dunque, il principio di diritto da affermare in relazione al secondo
interrogativo: “Non implica violazione dell’art. 627 c.p.p. da parte del giudice del
rinvio il rilevare d’ufficio una preclusione non rilevata dalla sentenza rescindente
ove tale preclusione non integri una quaestio iuris implicitamente presupposta

2- In conclusione, il ricorso è da rigettarsi. Ex art. 616 c.p.p. consegue la
condanna della ricorrente alle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale,
rigetta ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processu li.
Così deciso in Roma, in data 27.3.14

dalla statuizione contenuta nella sentenza rescindente medesima.”.

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